“L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafón: la Spagna degli anni franchisti

Mé mêdra la dgìva: al vèint a n va mia a lètt con la sèj. Mia madre aveva ragione, il vento, sempre assetato, porta la pioggia, non appena ha smesso di condurre le nuvole dove ha deciso lui.

L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón
L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón

Quando un bimbo è vivace, si dice che l ē ‘na tinpèsta a sèch, un vento vorticoso, con o senza grandine, c’al sdraia al grân, piega le messi. La Spagna di quegli anni franchisti era una burrasca continua, dove nulla era certo, tutto era inquieto e pericoloso.

Sono stato a Barcellona un paio di volte, di primavera e d’estate, e ricordo sempre un sole infuocato che non ambiva altro che d’essere ammirato. In quest’Altra Barcellona, per tutto il tempo o piove, o il tempo un po’ migliora e un po’ no. Non fa quasi mai freddo e neanche caldo. Si esce in strada, ove accadono tutte le cose, belle e orrende che siano: mai meravigliose, a volte piacevoli.

Provo a immaginare un libro lasciato aperto sul davanzale, e un vento leggero che gli sfoglia le pagine, come se volesse leggerlo. Quell’esserino fatto di cellulosa diventerà un mio amico per sempre, che non vorrò mai abbandonare perché, dopo che l’ho letto, è diventato una parte di me.

Se ancora m’è ignoto, è una sfida, un’eventualità futura, a cui un giorno m’accosterò. Davanti a me c’è una mensola lunga tre metri, che contiene un centinaio di volumi che un giorno mi parleranno, ma che al momento se ne stanno lì, come passeri arruffati e senza respiro.

Mi sono chiesto talvolta quanto si siano accorti della mia presenza e cosa possano pensare di me. Forse mi stanno aspettando, ma solo quando li avrò, uno dopo l’altro, tra le mani, capiranno i miei limiti umani e mi perdoneranno l’immeritata attesa.

Carlos Ruiz, del primo capitolo, Il cimitero dei libri dimenticati, vorrei riportare tutto, perché, di quel che scrivi, meno si butta, meglio è: “Questo luogo è un mistero, Daniel, un santuario. Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un’anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di cha sognato grazie a esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.” Potrei continuare per altre quattrocento pagine, ma per ora m’arresto.

E continuo stamattina, dopo il caffè: “… quando un libro si perde nell’oblio, noi, custodi di questo luogo, facciamo in modo che arrivi qui. E qui i libri che nessuno ricorda, i libri perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa del giorno in cui potranno tornare nelle mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito.”

Daniel Sempere, il primo io narrante, uno dei due protagonisti, adocchia la “regina delle stilografiche, una Montblanc Meinsterstück a serie limitata, appartenuta, così asseriva il negoziante, nientemeno che a Victor Hugo. Da quel pennino d’oro, ci informò, era scaturito il manoscritto de I miserabili.”.

La penna costa troppo per le finanze di casa, e rimane al momento in negozio.

Daniel regala il libro che ha scelto (o che l’ha scelto?), L’ombra del vento, a Clara, una giovane che ha saputo ammaliarlo con la sua cecità, al che, quando lo scopre, “Mio padre mi guardò come se lo avessi pugnalato.”

Il romanzo di Carlos Ruiz Zafón è composto da dieci capitoli di varia lunghezza, ognuno a se stante, e correlati, non solo l’uno all’altro, ma al Tutto, in cui sono compresi gli umani, i libri, le penne, le perturbazioni atmosferiche, le lacrime, il sangue, il vino, i panini basta che ci sia qualcosa dentro e tutto il resto.

I protagonisti, dissi prima, sono due: Daniel e l’autore del libro che egli ha scelto, misterioso e sconosciuto, un certo Julián Carax. In realtà sono milioni, miliardi. Sono quegli oggetti che sono riusciti, nel corso della Storia (che così si chiama grazie a loro) a fissare su dei materiali eterogenei una voce umana, un pensiero, un’anima.

Io sarei forse in grado di leggere uno scritto scolpito su una pietra, intinto su una pergamena, stampato su della carta, ma non so se farò in tempo ad aver voglia di leggere un testo sul computer che superi le due o tre pagine, a meno che non sia stato scritto da me. Chi vivrà, leggerà.

Se infatti, per puro caso, io avevo scoperto tutto un mondo in un unico libro, tra gli innumerevoli conservati in quella necropoli, altre decine di migliaia sarebbero finiti nel dimenticatoio. Ebbi la sensazione di essere circondato da milioni di pagine abbandonate, da anime e mondi senza padrone che si inabissavano in un oceano tenebroso mentre fuori di lì il genere umano, tanto più smemorato quanto più convinto di essere saggio, scivolava verso un consapevole oblio.

Julián e Daniel sono staccati l’uno dall’altro, eppure uniti, particelle che rimangono collegate tra loro da un filo invisibile, lungo quanto il cosmo intero.

Ipotizzo che il discorso valga anche per me. Anch’io sono, pur separato, insieme a loro. Per quanti esseri viventi (e cosa non lo è, dov’è che non brulica l’esistenza?) varrà?

Il giorno del suo compleanno, Daniel riceve in dono dal padre la penna che fu di Hugo.

Nuria Monfort, che aveva conosciuto (e amato Julián) dice di lui: “Era molto riservato e, a volte, sembrava che non provasse più alcun interesse per il mondo o per la gente. Secondo il signor Cabestany era molto timido e un po’ lunatico, ma io credo che Julián viveva per se stesso e per i suoi libri, nelle storie dei suoi romanzi, come un recluso di lusso.”

Poi aggiunge:Una volta gli ho chiesto a chi si ispirava per creare i suoi personaggi; lui mi rispose che erano tutti una proiezione di se stesso.” E anche questo dice: “Gli avrebbe fatto piacere sapere che qualcuno voleva ricordarlo. Diceva sempre: esistiamo fintanto che siamo ricordati.”

Carlos Ruiz Zafón
Carlos Ruiz Zafón

Di te, Carlos Ruiz, o Daniel, amo troppe cose, che non possono essere contenuti in questa mia reazione. Mi piace il tuo modo di dire le cose, che sanno trasformare in umorismo le banalità, a esempio quando dici (anzi, scrivi): “Tomás e io rimanemmo soli, in un silenzio più solido del franco svizzero”, i cui 5 franchi argentei del 1922 sono rimasti gli stessi per 45 anni.

Un personaggio del romanzo di Julián Carax si chiama Laín Coubert. A un certo punto della storia appare un tale con quel nome, che ha l’obiettivo dichiarato di “cancellare dalla faccia della terra quel poco che rimane di Carax bruciando i suoi libri.

Una frase mi confonde, ed è quella che un prete, Padre Fernando rivolge a Daniel: “Lei assomiglia un po’ a Julián da giovane, sa?

Altra frase notevole, detta da Julián e riportata da quel prete:I libri sono specchi: riflettono ciò che abbiamo dentro.

Strana coincidenza:Il padre di Julián era un bottegaio e la madre una modesta insegnante di musica.” Il padre di Daniel è un libraio, della madre so poco se non che, essendo morta che lui era piccolo, Daniel non ricorda il suo viso.

Il sempre affamato e saggio Fermín, gli chiede: “Quindi crede che se riuscirà a riscattare dall’oblio Julián Carax potrà ricordare il volto di sua madre?”

Altra frase micidiale:Solo chi dispone di appena una settimana di vita è capace di sprecare il suo tempo come feci io in quei giorni.”

Da sempre ho l’illusione di essere immortale, temo però di non farcela a leggere tutti i libri finora scritti. E quelli che lo saranno nel tempo che verrà.

Daniel fissa la sua penna d’oro e pensa che “non scrivevo una riga da anni e che stava diventando un bel paio di guanti mai regalato a un monco.” – non scrivere è una forma di letteratura invisibile, che pochi prescelti riusciranno a leggere.

“… e poi me ne andai sotto la pioggia incessante che si portò via le mie lacrime.”

Caro lettore di lettore, sappi che ogni tanto nella storia si parla di Julián e io penso che si tratti di Daniel, e viceversa. Si parla di Penélope (amata da Julián) e io penso a Bea (amata da Daniel), e viceversa. Pensando a Laín Coubert, non ho affatto idea di chi possa essere.

Le sue lacrime rilucevano come gocce di resina. Si voltò col viso solcato da lacrime.”

Nuria è l’io narrante più importante del romanzo, subito dopo Daniel. E sa tutto di Julián, e lo scrive per intero a Daniel. Sa anche che gli “incontri clandestini” fra la mamma di Julián e un riccastro ignobile (padre di Penélope) “durarono novantasei giorni.”

Dirò di un certo Fumero, compagno d’infanzia di Julián. È la persona più distruttiva che sia mai esistita nelle pagine di questo romanzo, un umano che ama uccidere i suoi simili, possibilmente dopo averli fatti soffrire come dei cani. Per questo, forse, “Fumero odiava la parola scritta almeno quanto amava gli insetti.

Antoni, il padre di Julián, è un pover’uomo che nulla sa, ma che verso la fine della sua penosa vita giunge a una sua stramba saggezza, che lo porta a dire:Si ama davvero una sola volta nella vita, Julián, anche se non ce ne rendiamo conto.”

Posso ricordarti come il miglior umano del romanzo, caro Miquel? Tu hai dato tutto al tuo amico, e ora che stai svanendo nel nulla, gli dici: “Ricordati del nostro patto. Quando morirò tutto quello che è mio sarà tuo…”, e lui ti risponde: “… eccetto i sogni.”

E che dire di te, infelice e materna Jacinta, che hai subito ogni sorta di violenza, senza mai smarrire, nemmeno per un attimo, la tua virtù?

Victor Hugo
Victor Hugo

La mancanza di secchezza in questo romanzo fa talvolta lacrimare di gioia.

Mi svegliò il picchiettio della pioggia. Il letto era vuoto, la stanza umida e grigia.”

Quella ragazza meravigliosa…destinata a morire dissanguata, rinchiusa tra quelle quattro pareti che erano diventate la sua cella.”

Delle lettere incise sul marmo bianco, colavano nere lacrime di umidità.”

Julián odiava i libri a cui aveva dedicato una vita e che nessuno leggeva. Odiava la propria esisteva, fatta di inganni e di menzogne. Odiava ogni secondo, ogni respiro sottratto alla morte.”

Odiava i suoi lettori. E li amava.

Sulla scrivania trovai l’astuccio della stilografica che avevo acquistato a Parigi, la penna di Victor Hugo. Il fumo veniva dalla stufa a legna. Quando aprii lo sportello vidi che Julián l’aveva riempita con…” – povera Nuria, quella sera andasti da tuo padre, al suo “Cimitero dei Libri Dimenticati”, dove ti toccò assistere alla trasformazione di Julián in un Altro Essere che “era l’odio a mantenere in vita.” – atroce sentimento che si estingue con la vendetta.

Dovesti vendere la penna di Hugo, che poi sarebbe stata inviata dal Destino nelle mani di Daniel.

Nelle settimane successive alla caduta di Barcellona venne sparso più sangue che in oltre due anni di guerra, ma di nascosto, in segreto.”

È un tempo che pare fatto a misura di “uomini come Fumero” che “non smettono mai di odiare. Il loro odio non è motivato: odiano come respirano.

Proverbio del giorno: ôgni cajòun a gh’à la so passioun, per alcuni è leggere e scrivere, per altri è uccidere la propria anima.

Una volta Julián ha scritto che le coincidenze sono le cicatrici del destino.– il caso esiste e opera quotidianamente, per questo la vita è un casino.

Attesi il suo ritorno in salotto, al buio, ascoltando lo scrosciare della pioggia, fino all’alba.” – Nel frattempo, Julián pensa a Daniel e dice “Quel ragazzo mi somiglia”. Nuria gli aveva appena detto: Sembra quasi che tu stia parlando di te stesso.” – che singolarità del caso…

Julián ti osservava e ti guardava crescere. Ti considerava un dono del cielo…”

Vedeva in Bea, “un’altra Penélope” e “parlava di te come di un figlio. Vi stavate cercando, Daniel. Era convinto che la tua innocenza lo avrebbe salvato da se stesso.”

L’entanglement quantistico è quella misteriosa proprietà della materia, per cui due particelle che vengono a contatto casualmente rimarranno per sempre correlate. Al variare dell’una, muterà anche l’altra. Fenomeno inspiegabile che risvegliano in esse un’antica somiglianza, la mistica unità che è sorta all’alba dei tempi.

Quando leggo un autore rimango coinvolto da lui e, nella mia fantasia, lo sento mutare insieme a me, suo ipocrita lettore.

Temevo che Julián avesse ragione quando diceva che siamo uniti dal destino e dal caso come gli anelli di una catena. Avevo paura di rivedere in te il Julián che avevo perduto.”

Nuria giudica le sue memorieun carcere di ricordi”, da cui non si può uscire che in un modo.

E finisce la sua lunga missiva dicendo: “Ricordami, Daniel, anche se in segreto, in un angolo del tuo cuore. Non permettere che me ne vada per sempre.” – garantisco per lui, e per me.

Con lo sguardo rivolto al cielo, quel principe dell’alba tentava di afferrare i fiocchi di neve con le mani inguantate, ridendo.” – per cui l’anima scivola e si santifica.

La neve cadeva fitta, ammantando i marciapiedi. Il vento gelido mi penetrava fin nelle ossa e lambiva la ferita sanguinante sul viso. Non so se piansi per il dolore, la rabbia o la paura. La neve, indifferente, cancellò le mie lacrime codarde e io mi allontanai nel chiarore dell’alba, un’ombra tra le tante che aprivano un varco tra la forfora di Dio.” – e noi siamo le sue miserabili pulci.

“… il vento aveva spento le candele e spruzzato il pavimento di neve.” – elargisce di tutto, gioie e tragedie.

Fumero captò il movimento dei miei occhi pieni di lacrime…”il Male è sempre teso per il Bene, per stroncarlo.

“… sollevò lentamente l’arma macchiata di sangue.” – Su, Demone, un ultimo sforzo…

“… e il suo sangue maledetto gocciolò sull’acqua ghiacciata…”arricchendola del suo caldo vapore.

Gli sorrisi e lui scoppiò a piangere.” – così capita quando c’è il sole e, al contempo, piove.

Di giorno Fermín si rimpinzava di bistecche alla mensa della clinica per produrre globuli rossi nel caso si rendesse necessaria un’altra trasfusione.” – se non ci fosse la sua bocca sempre attiva, il romanzo non avrebbe avuto senso.

Ho un ricordo nebuloso di quella giornata.” – nella nebbia uno può celare ogni cosa, ma non se stesso.

Julián Carax avvicinò un bicchiere d’acqua alle mie labbra e mi sostenne la testa mentre lo sorseggiavo.” – è una specie di battesimo.

Lo pregai di riprendersi quella penna, che era sempre stata sua, e di ricominciare a scrivere.” – è l’ultima condanna che riceve.

Carlos Ruiz Zafón
Carlos Ruiz Zafón

“…Julián era scomparso otto giorni prima nella bufera, lasciando una scia di sangue sulla neve.” – che ti permetterà di ritrovarlo, un giorno.

“…e vidi che l’astuccio era aperto e che la penna non c’era più.” – era partita per la grande guerra!

Restammo seduti lì, cullati da una strana calma, a guardare i riflessi sull’acqua del mare. Poco dopo, Barcellona si tinse di una luce ambrata.” – addà finì la bufera.

“Poco dopo, figure evanescenti, padre e figlio si confondono tra la folla delle ramblas, mentre l’eco dei loro passi si perde per sempre nell’ombra del vento.” – e io, per sempre, appresso a loro.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia
Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento, Mondadori

 

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