Intervista di Emma Fenu al poeta Paolo Pablo Peretti: fra ossimori e metafore dell’essere vivo

 “Il silenzio dell’inizio della fine/ oh, quanto urlava di dolore il cielo.”  – Paolo Pablo Peretti

Paolo Pablo Peretti
Paolo Pablo Peretti

Paolo Pablo Peretti ha due nomi e due anime. E due vite e due storie. Forse più di due. È dicembre in tempesta, un mattino di primavera, il tripudio di luglio. È la neve che non vuole sciogliersi, il bambino che non vuole crescere, il bacio negato.

La sua poesia è una capoeira fra contraddizioni e ossimori, tensioni attuali – e ancestrali – dell’Uomo e un tango fra Eros e Thanatos. I suoi versi si muovono dal foglio, cercano, affannosamente, pace sui volti dei lettori.

Nato in Italia, a San Donà di Piave, vicino Venezia, dal 1999 abita a Copenhagen: si è trasferito ancora ragazzo e oggi, a distanza di più di vent’anni, si è talmente integrato come persona e come professionista da definirsi italo danese.

Ha pubblicato numerose raccolte, alcuni suoi componimenti sono inseriti in romanzi di Paola Calvetti e sue poesie sono state lette su RAI3 e citate su importanti riviste italiane. Il suo ultimo libro, edito nel 2020 per Emersioni, si intitola “Essere o non essere? Nessun problema!” ed è scritto in italiano e danese.

 

E.F.: Benvenuto Paolo, la tua penna si dibatte fra Apollo e Dionisio. Chi preferisci fra le due divinità? Sei mai risorto?

Paolo Pablo Peretti: Dionisio è istinto, spontaneità, gioco, ebbrezza e trova forma nella danza e musica, mentre Apollo è ordine, razionalità, equilibrio. Li lascio entrare nella mia vita e giocare, mi lasciano vivere e questo mi rende felice. Non potrei mai rinunciare alle mie contraddizioni; Apollo e Dionisio vengono amati e ripudiati continuamente da me. Il mio perfetto disequilibrio. Diceva Nietzsche: “Quando Dionisio è sveglio, Apollo va a dormire, e viceversa”.

Risorgo spesso da me stesso. Ho bisogno di far morire le mie ansie e paure per risorgere più coraggioso e sicuro di me. È una lotta continua essere insicuri: non posso cambiare il mio modo di essere, troppo tardi; però posso modificarmi, per questo ho bisogno di reinventarmi. Un’araba fenice non ha paura di morire.

 

E.F.: Per vivere bisogna un po’ morire?

Essere o non essere? Nessun problema!
Essere o non essere? Nessun problema!

Paolo Pablo Peretti: Per poter vivere discretamente bene, penso continuamente alla morte come un qualcosa che mi accadrà e che non dovrebbe spaventarmi come non mi ha spaventato l’essere nato. La morte mi crea curiosità tanto come il vivere. Quindi Eros e Thanatos mi invitano a guardarli con stupore nel loro meraviglioso, sensuale e decadente balletto che mi dedicano ogni giorno.

 

E.F.: La felicità è l’istante perfetto o la melanconica memoria di esso? O l’attesa dell’imperfezione?

Paolo Pablo Peretti: Temo la felicità e quella euforia che crea e che illude che sarà per sempre. La felicità è una prostituta d’alto bordo, ti seduce, ti porta via e ti abbandona stordito e nudo in uno squallido motel che credevi fosse il castello dei tuoi sogni. Guardo con dolce malinconia qui pochi attimi che mi ha regalato: mi faccio tenerezza nel rivedermi felice. Ora sono innamorato dello stare bene senza aspettare che bussi alla mia porta; i mulini a vento li lascio volentieri ai poveri Don Chisciotte. Un sorriso è la mia felicità.

 

E.F.: Il tormento è necessario al poeta e all’uomo?

Paolo Pablo Peretti: Il tormento è tutto. Necessaria benzina per il mio irrequieto vivere. Come puoi addomesticare un iperattivo? Ho bisogno di vedere, sentire, parlare, scrivere amplificato; ho bisogno di appagare la mia curiosità per questo mio essere qui, in questo mondo. I miei migliori amici sono i “perché”.

 

E.F.: La Lei delle tue poesie è l’archetipo della madre, la donna che impasta le torte, che diventa più bella con il rossetto, che accoglie e non lascia che un rattoppo alla sua assenza. Come definisci il mondo femminile?

Paolo Pablo Peretti: Mia madre è il grande amore della mia vita: quella che mi ha portato per nove mesi nel suo grembo, che mi ha allattato, amato, desiderato. Nei miei scritti è una grande musa. Anche lei scriveva composizioni poetiche. È stata lei che mi ha infettato con i suoi scritti rendendomi un malato di poesia. Era, oltre a essere mia madre, come una sorella gemella e, di fronte allo stupore della sua morte, l’ho resuscitata nei miei versi. Una forma per renderla immortale, come credevo fosse.

Il mondo femminile dovrebbe avere la stessa importanza di quello maschile. La sensualità, la raffinata intelligenza, l’eleganza, la semplicità di una donna sono elementi che mi affascinano. Mi piacciono le donne sobrie, e con classe. Mi piacciono le donne semplici e vere che non si vergognano di essere tali e che ti regalano il loro essere autentiche. Non mi piacciono (come per i soggetti maschili) quelle volgari, pettegole, presuntuose, snob e che amano gli intrighi. Le donne dovranno lottare tanto ancora per superare il loro maledetto cliché imposto da tanti uomini che le hanno da sempre considerate esseri inferiori. La strada del divenire è, in ogni caso in salita e arriveremo, ne sono sicuro, al giorno delle pari opportunità. Dovrebbero cancellare anche quel passo della Bibbia che le vede nascere da una costola di un uomo. Le donne sono essere umani come gli uomini, punto e basta. Anche quei delinquenti che le ammazzano sono figli loro. Per fortuna nascono anche uomini per bene che le amano e le apprezzano. Ci vuole rispetto, siamo tutti figli delle donne (grazie Mia Martini).

 

E.F.: Componi in italiano o in danese? E in che lingua sogni, preghi e speri?

Paolo Pablo Peretti
Paolo Pablo Peretti

Paolo Pablo Peretti: La composizione nasce in lingua italiana, poi cerco di adattarla al danese e/o inglese. Mi piace giocare con le lingue. Tradurre una metafora (cosa difficilissima) e poi soddisfatto ritrovarmi letto in altre nazioni. È un regalo che faccio ai tanti amici non italiani. Non mi sento di possedere una lingua ufficiale; nel lavoro parlo danese, poi la sera con i miei amici virtuali solo italiano, come nei sogni, nelle preghiere e nelle speranze. Devo ammettere, però, che dopo 22 anni di Danimarca, comincio a sognare e a pensare bilingue… non mi dispiace tutto ciò. Contengo moltitudini.

 

E.F.: Saluta i nostri lettori con alcuni tuoi versi.

Paolo Pablo Peretti: Con grande piacere, e grazie per questa opportunità di farmi conoscere a chi ancora non mi conosce. Cito una poesia Alcune delle mie che inserirò, forse nel 2021, in una raccolta in italiano e inglese.

“Mi spoglio di te/ vestito pesante di un amore finito./ Richiami di luci…/ … questa sera Marte/ mi inonda di strani segnali./ Potrei ascoltare solamente la pazzia/ invece di renderla bella/ con pianeti e pianti./ Mi troveranno/ sulla strada di un mancato ritorno/ con sigarette/ che non fumo più/ e una barba lunga/ per il troppo aspettare./ Quel “Ciao”/ che mi ossessiona/ del suo silenzio/ e quelle mani/ che si muovono nel nulla./ Sentirsi soli./ Sei un telefono/ che non mi parlerà più.” – Paolo Pablo Peretti

 

Written by Emma Fenu

 

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