“Colpevoli” di Algo Ferrari: pregiudizio e potere in un’epoca di migrazione globale

Chi siano i veri colpevoli, forse non lo si sa, forse non lo si vuol dire, però lo si intuisce: tutti noi.

Colpevoli di Algo Ferrari
Colpevoli di Algo Ferrari

La colpa ha un nome certo, chiaro e una diffusione universale: pregiudizio.

Il libro di Ferrari cerca di rendere consapevole il lettore che il pregiudizio è la forma normale del nostro pensiero, che precede qualsiasi nostro ragionamento. Qualsiasi giudizio attuale diverrà il pregiudizio di domani. Ogni giudizio partecipa alla fondazione del suo successore.

Ciascuno di noi gestisce il suo rapporto col mondo esterno grazie a una rete di pregiudizi. Essi si chiamano, a seconda del campo e del modo d’indagine: postulati, dogmi, assiomi, credenze, stereotipi, i quali servono a favorire l’approccio all’oggetto indagato.

Già F. Nietzsche, verso la fine dell’Ottocento, criticava aspramente chi, paradossalmente, trasformava l’approccio scientifico, che siccome tale dovrebbe essere privo di pregiudizi, esso stesso in pregiudizio verso altre forme di conoscenza.”

Un pregiudizio doc è quello di Popper, secondo cui la teoria religiosa non è falsificabile, né dimostrabile; quella scientifica sì.

Certe tesi non si possono falsificare. Dio esiste? Sì, no, forse. Dimostralo, allora. No, non posso.

Il tempo è un’illusione? Sì, no, forse. Dimostralo! Barbour e Rovelli ci stanno provando da decenni, tra la diffidenza dei rappresentanti delle varie scuole di fisica tradizionali. Rovelli viene definito comunemente un loopista (a volte, sarcasticamente, un lupparolo), in quanto, con la sua gravità quantistica a loop, cerca da anni di conciliare i due estremi della meccanica quantistica e della teoria relativistica.

In tempi passati, in India, il sikhismo tentò di armonizzare le teorie religiose islamiche con quelle induiste. Questo nobile movimento, che non prevede né clero, né ascetismo, ma che predica la moderazione e l’indipendenza dai vizi, in virtù di soli tre comandamenti: pregare, lavorare, condividere, fu quasi sterminato dalle due religioni che intendeva conciliare.

L’istituzione dei langar, cioè delle mese comuni, ha per loro il fine di accogliere chiunque abbia fame, al di là delle sue convinzioni. Dopo tali persecuzioni, i maschi del sikhismo erano tenuti a girare per le strade con un coltello ammucciato nell’abbigliamento, usanza ormai andata in disuso.

Per i Sikhs, la necessità ha determinato il nascere della diffidenza e dell’autodifesa dal prossimo. Se il pregiudizio è tale da non accettare un contraddittorio, è da intendersi di tipo religioso. Non occorre provarlo, basta crederci.

Un pensiero diventa pregiudizio soltanto quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze. Un pregiudizio, a differenza di un semplice concetto erroneo, resiste attivamente a qualsiasi prova della realtà.

Secondo Godel, nessun sistema abbastanza coerente ed espressivo da contenere l’aritmetica, può essere utilizzato per dimostrare la sua propria e interna coerenza. L’aritmetica, per quanto logica nel senso nei suoi discorsi successivi, è indimostrabile a priori.

1 + 1 = 2 è una doxa non comprovabile in senso assoluto. Perché nulla esiste in senso assoluto. Si ha la necessità di tale scienza, e della capacità di contare le cose, per cui occorre essere consapevoli di questo aspetto deficitario, senza però lasciarsene condizionare.

L’autore intende sostenere la tesi che le nostre credenze interiori, sedimentate nel corso degli anni e durante la nostra vita culturale, tendono talvolta a sopraffare l’evidenza delle cose, al di là della nostra consapevolezza.

Si cerca a volte di trovare una ragione che possa legittimare il nostro preconcetto, in un modo che si finisce per rendere complesso quello che potrebbe essere rappresentato da una concezione semplice.

“… cercherò quindi di dimostrare come l’ideologia, in quanto espressione della lotta per l’egemonia sociale e politica, svolga un ruolo preminente, di giustificazione o d’inibizione per la traduzione del pregiudizio in azione discriminatoria e persecutoria verso persone o gruppi.”

Il potere, questo bieco compagno di sventura di ogni forma di società conosciuta, utilizza ogni forma di pre-potenza ideologica al mero fine di sopravvivere.

L’ideologia diventa il sistema politico che esso si crea per immunizzarsi dalle idee altrui, per combatterle e ridurle al minimo termine, come inadeguate, pericolose e irreali.

“… con il rito del capro espiatorio, il popolo, o più semplicemente una comunità o un gruppo, cerca di liberarsi delle proprie colpe, vere o presunte non ha importanza, attribuendole ad altri, attraverso il processo psicologico della proiezione.”

Il potere crea la figura del nemico, ove essa non sia già in agguato, per creare quella coesione del popolo che da esso si sente rappresentato, che servirà a giustificare ogni sua azione.

Algo Ferrari
Algo Ferrari

Il rito serve a rappresentare quell’illusoria forma di sacralità che stabilisce e santifica di volta in volta le regole sociali e politiche, che favoriscono lo status quo. E la conservazione dell’élite dirigente.

“… solamente nella calma che si crea attorno al cadavere della vittima, che i primi uomini insieme hanno contribuito ad eliminare, si proverà un senso di complicità e d’appartenenza ad un gruppo.”

Questo rito contribuisce a fondare e a sostenere il consenso nei confronti di chi è al potere.

“Secondo la mia tesi, sono le élites dominanti a svolgere un ruolo fondamentale per la riproduzione sociale del pregiudizio e della discriminazione, all’interno dei una strategia politica complessiva orientata alla conservazione del potere.”

Inquietante è la citazione di Platone (Repubblica, 389 b), in epigrafe al capitolo 6: “Se c’è qualcuno che ha diritto di dire il falso, questi sono i governanti, per ingannare nemici o concittadini nell’interesse dello stato.”

La frase è giustificata nell’ideale visione del potere, dove il regnante è il possessore della verità: fenomeno che non è affatto ricorrente nella Storia (detto con ironia).

Tale determinazione è stata adoperata in maniera illegittima dall’élite di potere in tutte le occasioni in cui essa è servita a simulare o a dissimulare la verità, ma soprattutto a nascondere delitti e complicità.

Con siffatte menzogne è stata costruita la Storia, per cui il compito di chi si occupa di storiografia è di rinvenire tutti gli ammucciamenti turpi e colpevoli che hanno inquinato quello che doveva essere destinato alla memoria collettiva. La Storia da coacervo di menzogne deve diventare memoria delle stesse e della loro ragione d’essere.

Torno all’argomento esplorato con tanta efficacia da Ferrari. Oggi più che mai, in un pianeta rovesciato, dove ogni centro è capillarmente collegato a tutti gli altri, in un villaggio globale, si assiste come mai prima all’incontro e alla problematica convivenza di etnie diverse.

Il fenomeno, ora drammatico e urgente, ha sempre operato all’interno di quel campo gravitazionale che secondo la celebre frase di Margaret Thatcher non esiste: la società.

Mia nonna (nata nel 1881, morta nel 1968), indicava tutti i Meridionali come Napoletan.

Successivamente, e fino a pochi anni fa, gli Italiani meridionali (originari dalla Campania o più a Sud) erano detti Maruchin. Tutto ciò è durato fino alla fine degli anni ‘80, quando i veri Marocchini hanno iniziato a stabilirsi in dose massiccia in città (rappresentando ben presto la minoranza etnica più forte).

Poi Reggio Emilia iniziò a ospitare migliaia di Africani, i quali, pur non essendo solo Marocchini, o Maghrebini, o Arabi, o Mussulmani, ma anche Senegalesi, Ghanesi, Animisti, Evangelisti, Avventisti, etc, erano tutti chiamati, indifferentemente, Maruchin, da chi intendeva accomunare, ghettizzandolo, il variopinto popolo d’immigrati.

Recentemente a Reggio ho sentito spesso definire nigher tanto gli arabi quanto i centrafricani.

Gli Italiani del Sud si dovevano accontentare dell’assai consolidata espressione teroun che, per brutta che sia diventata, li identifica da due millenni, significando, in origine, possessori di terra con cui costruire case. I Romani andavano poco a Sud di Napoli, a Cava dei Tirreni, a comprare l’argilla con cui venivano edificati i loro edifici.

I meridionali di Reggio alla seconda generazione si sentono arsan testa quedra, cioè reggiani dalla testa quadra.

Un Campano però sempre si distinguerà da un Calabrese, un Catanzarese da un Crotonese, un Crotonese da uno Cutrese, un Cutrese (da Kyterion in greco, città della creta), da uno Scandalese.

Mi fece sorridere un giorno un tipo di nome Cesare che, interrogato sulle sue esatte origini, disse che la mamma lo partorì per strada, mentre si recava a piedi da Cutro a Scandale. Per mia nonna sarebbe stato senz’altro un Napoletan cme tôt chièter.

Recentemente un certo Matteo II, già appartenente a una lega nordica, ha riscoperto l’acqua tiepida: anche gli abitanti di Pisciotta (105 chilometri a sud di Salerno) sono da ritenersi Italiani.

Anch’essi possono svolgere la funzione di contrapposizione sociale e politica nei confronti degli immigrati extracomunitari. Quest’ultimo è un termine ambiguo, in quanto identifica est europei, africani, asiatici e sudamericani, ma non svizzeri e statunitensi, cioè coloro che appartengono storicamente al Primo Mondo, ma solo quelli che provengono bisognosi di lavoro dal Secondo e dal Terzo.

In quella ridente località La lega per Pisciotta sta diventando uno dei partiti più apprezzati. Ancora una volta: Tutto è vanità e Niente di nuovo dotto il sole. Cambiano i ruoli, gli attori, ma non la sceneggiatura.

Pisciotta è fittamente abitata da ucraini e rumeni. Quando rientreranno in tale Mescaa Francesca?

Il pregiudizio razziale-etnico ha un cuore antico. La storia della maledizione di Cam e dei suoi discendenti camitici ne è un esempio terribile. Tutto si risolve, prima o poi, anche un’invettiva patriarcale.

In Genesi si legge l’invettiva di Noè:Maledetto sia Canaan il figlio di Cam! Sarà l’infimo servo dei suoi fratelli!”

Nella nota al verso, il curatore scrive:Quella di Cam ha sempre ottenuto fra i popoli l’ultimo posto, tuttavia si sta destando rapidamente. Gli Europei, convertendosi alla fede di Cristo, hanno fatto entrare Jafet nelle tende di Set.”, Edizioni Paoline, 1964.

All’esterno dell’esercizio, a questuare, o a rimettere a posto il carrello della spesa, al modico prezzo di mezzo euro, è rimasto Johnny il Ghanese.

Ferrari sottolinea il fatto che la discriminazione ora è riferita non tanto alla razza, concetto ormai obsoleto, ma all’etnia, definizione efficace, essendo più elastica e meno fuorviante.

Gli Arabi sono Semiti, come gli Ebrei; fra gli Islamici figurano gli Iraniani, che non sono né Arabi, né Semiti. Fra i Sudamericani esistono figli e nipoti di immigrati italiani, e qui il discorso si complica e risulta opportuno glissarlo.

Jiddu Krishnamurti
Jiddu Krishnamurti

Vorrei infine espletare un tentativo di falsificazione della tesi di Ferrari, secondo cui il pregiudizio è ineliminabile, e che perciò basta avere coscienza di tale limite (e opportunità).

Jiddu Krishnamurti scrisse decine di libri illuminati e illuminanti al fine di rendere consapevole il prossimo che non esistono verità e che bisogna liberarsi dal conosciuto, affrontando la vita con la mente sgombra dalle idee.

Solo in tal modo si può cogliere la realtà come se fosse un cobra, cioè agitando d’istinto un bastone senza più pensarci. In termini più padani e comprensibili: come se fosse una zanzara che si affronta eroicamente a mani nude: sc-iafff!

Quel che mi resta del suo insegnamento mi aiuta un po’ a comprendere il mondo che si presenta al mio cospetto ogni mattina. La sua era una, pur prolissa, filosofia che proponeva una mistica del silenzio, del pensiero muto, che porta dritto dritto in bocca alla Pienezza della vita, tramite La domanda impossibile, ottenendo La visione profonda. Egli ha insegnato La prima e l’ultima libertà. E sussurrò con voce autorevole: Impariamo ad imparare, comunicando Cosa vi farà cambiare, attraverso Verità e realtà. Al di là della violenza, perché usare rispetto nel portare L’uomo ad una svolta. Questa scelta rappresenta La sola rivoluzione possibile.

Ora Jiddu non è più tra noi, ma il suo insegnamento potrebbe avere ancora un suo valore, qualora risultasse corretto e fosse in grado di informare la nostra quotidianità.

Arthur Schopenhauer ha coniato l’espressione Velo di Maya, derivato dalla cultura induista, di cui fu cultore appassionato. Che la vita sia soltanto un sogno, fin dal ventre materno, è una condizione esistenziale congenita all’uomo.

Il Velo separa gli esseri dagli oggetti, impedendone una conoscenza effettiva, tenendoli tutti gli enti insieme in una rete che impedisce una reale consapevolezza da parte di alcuno di essi.

È un fenomeno da cui pare impossibile liberarsi, perché se ne temono troppo gli effetti. Ecco perché ci si affida al pregiudizio, perché si teme una vera rinascita dell’anima, una sua liberazione pericolosa.

Per dirla con Fromm, spesso citato nel libro di Ferrari in riferimento alla sua opera più famosa, si teme una fuga (assoluta) verso la Libertà (ontologica, esistenziale tout court), da cui invece ci si fugge impauriti, per il timore, il pregiudizio di essere inadeguati a gestirla.

Ma se si riuscisse a far davvero tabula rasa delle opinioni pregresse e in tal modo cogliere immediatamente la realtà…?

Scoprirlo potrebbe essere la più eroica delle nostre missioni esistenziali.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Algo Ferrari, Colpevoli, Pardes edizioni, 2005

 

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