“Il segreto dei Dioscuri” di Marco Mogetta: un thriller archeologico con finale al cardiopalma
A pagina 68, Capitolo Tredici, Margherita Misci, un’attraente studiosa di lingue antiche, descrive a Simone Santoro, suo committente, il programma SAM, che è in grado di tradurre “ogni lingua conosciuta di tutti i tempi, alfabeti, grammatiche e soprattutto metodi di cifratura” in tutte gli idiomi del mondo.
Poco dopo aggiunge che “mano a mano che accumula informazioni, che siano nuovi articoli, fonemi e articoli sconosciuti lui riconfronta tutta la mole in suo possesso alla ricerca di nuovi collegamenti”.
È un infinitum in fieri, un universo in espansione, il cui funzionamento è basato sulla logica che vale per la rete di sinapsi neuronali, per cui ciascuna informazione è collegata con tutte le altre, in modo che siano reintegrate ogni qualvolta viene immesso un dato.
La ragazza ha intuito che la lingua del documento è particolare: “non si tratta propriamente di etrusco, ma dell’idioma da cui esso è derivato. Sono commenti in rasenna, una lingua antichissima, praticamente sconosciuta”, che il programma sarà in grado d’interpretare.
L’autore del manoscritto risulterà essere niente di meno che Giovanni Boccaccio.
Il romanzo di Mogetta è disposto su innumerevoli piani narrativi, ambientati in età e luoghi diversi: dal 508 a.C. al 499 a.C., dal 26 al 29 a.C., dal 904 al 918 d.C., dal 1199 d.C al 1202, nel 1275, nel 1294, nel 1328, nell’aprile 2016; nel luglio 2018; a Clusium (l’antica Chiusi), Aricia, Fanum Voltumnae (Orvieto), Lago Regillo, Cuma, Roma, Alatri, San Genesio, Semifonte, Avignone, Chartres, Firenze, Certaldo, Petrognano, Poggio delle Fate; quando e dove gli attori recano nomi celebri, di quelli che hanno fatto la Storia.
L’epilogo avverrà infine nella caraibica Cayman Brac.
Questo fa sì che il libro non cessa mai di di-vertire il lettore, il quale, insieme ai personaggi, è incessantemente fatto rimbalzare da un luogo e da un evo all’altro, con una soluzione di continuità che coincide con la variazione del capitolo.
È un po’ come essere catturati da un teletrasporto startrekkiano e meta-temporale, ricondotti di volta in volta Altrove, dove la Storia sta continuando, per conto proprio, ininterrottamente.
Il tempo assoluto non esiste, come assicurano studiosi come Julian Barbour e Carlo Rovelli, oppure che esiste, ma a piacer suo. È Lui che combina ogni evento, producendo realtà e illusioni, mentre all’osservatore è consentita la possibilità di cambiare postura sul divano.
Fino a un certo punto gli è anche permesso di cessare di leggere, ma non oltre il punto di ebollizione, in cui è ormai divorato dalla curiosità di sapere come andrà a finire quel tempo infinito.
Se poi si tratta di one mission man, per cui ogni libro affrontato diventa per un tempo discreto lo scopo della vita, il discorso di una sua resa non si pone neppure.
Mi viene ora in mente l’idea sconvolgente di Frank J. Tipler, per cui, se ad ogni stato quantico di ogni particella del cosmo, dall’inizio alla fine, intendendo, non quello di poco fa e di fra poco, ma di tutti i poco fa e i fra poco immaginabili… se ad esso, dicevo, fosse abbinata l’informazione di sé, ecco che l’esistenza del tutto potrebbe essere creata e ricreata, in eterno, ad libitum, da una specie di divino lettore.
Non so come si potrebbe gestire questo tipo di marchingegno, ma forse basta disporre di un po’ di fantasia e abilità e diventa lecito il ri-creare un passato e un presente che non sono ancora accaduti, e che forse mai lo saranno, e persino un futuro, quando l’unica condizione è che lo si sappia ri-vivere.
Il fenomeno, apparentemente irreale, non capita forse di continuo nell’imo di ognuno di noi?
Ai due improvvisati colleghi s’aggrega poi Carlo Valdidiori, un aitante tombarolo d’alto bordo, un po’ più anziano rispetto ai due, che, con tutto il suo charme, s’inserisce tra la coppia, rompendone una quasi raggiunta intesa. La presenza ingombrante di Carlo renderà problematico il loro rapporto. La stessa ragazza teme di subire il cinico fascino di quest’ultimo e sembra indugiare, tra sé e sé, su tale conturbante prospettiva.
I tre, diffidenti l’uno dell’altro, si recano a Chartres, la cui cattedrale è il luogo ove tutto potrebbe essere spiegato. Nessuno sa cosa, se non che si tratta di un quid irreale che affascinò personaggi come Petrarca e lo stesso Boccaccio.
Grazie a un raggiro retorico realizzato dal più sagace dei tre, l’azzimato tombarolo (praticamente una supercazzola confezionata al momento), i tre novelli Indiana Jones ottengono l’autorizzazione a esaminare i documenti della biblioteca della cattedrale.
Una frase m’intriga: “in buona parte dei mondi possibili, il bluff del tombarolo sarebbe stato abnorme, totalmente irresponsabile e foriero di gravi conseguenze legali. Ma in quella specifica realtà…” e mi suggerisce qualcosa che non m’è ancora del tutto chiaro.
La scrittura di Mogetta è agile e spregiudicata. Nel medesimo periodo sono immessi periodicamente dati provenienti da differenti unità temporali e abitudini linguistiche, in un gioco che assomiglia a un caleidoscopio, in cui essi si mescolano in maniera imprevedibile e apparentemente infinita.
A pagina 233 del Capitolo Quarantacinque, è da leggere con attenzione la frase: “Ed ecco che, come in un connubio ideale fra Tetris e Snake, la possibile soluzione per affrontare la mappa del labirinto si andò a formare sulla pianta dell’archivio, in un susseguirsi di curve e rettilinei che, svolazzando da una parte e all’altra del monitor, si incastonavano perfettamente in un cammino fatti di numerosi passaggi…” e continua…
Conosco e ho giocato a Tetris, ma ero più esperto di Nyet, la sua evoluzione sovietica. Credevo di non conoscere Snake, ma da Google scopro che ne avevo già un’idea. Nel medesimo motore di ricerca rinvengo il significato di Clusium e di Fanum Voltumnae.
Ho riscontrato un utilizzo frequente di espressioni gergali anglofone, come nella frase: “Sembrava uno di quei banner che ti vogliono convincere a fare trading mentre vedi una partita in streaming.”
Il libro di Mogetta si apprezza soprattutto se lo si legge tenendo uno smartphone col motore sempre acceso, e con la fredda determinazione di consultarlo a ogni piè sospinto. A meno che uno non sia un pozzo di scienza che si annida da anni nel corpo di un nerd. O anche viceversa, tanto il risultato non cambia.
La compagnia dei tre eterogenei avventurieri è denominata l’Ordine della Collonna 2.0. che, per chi ha (mentalmente) meno di trent’anni significa il Rinnovato Ordine della Collonna.
Sia la trama che la caratterizzazione dei personaggi sono originali. Ho colto alcune suggestioni da classici della letteratura che hanno ispirato film dal successo planetario, primo fra tutti, mi è parso, It di Stephen King.
Frequenti sono le citazioni di personaggi di film popolari o di computer game che hanno la funzione di alleggerire talvolta la tensione. O di appesantirla, se uno non ama quel genere di argomenti.
Il romanzo è concepito come un thriller archeologico e il finale al cardiopalma, assai ben concepito, appare idoneo a una sua trasposizione cinematografica.
Quel che accade all’interno del libro è collegato nel corso di oltre due millenni e mezzo, attraverso un filo narrativo che si giova di trasmettitori d’informazioni che si chiamano Tarquinio Prisco, Porsenna, Arunte, Aulo Postumio, Tito Livio, Augusto, e numerosi altri, i cui dati implementati giustificano logicamente la Storia.
La narrazione costruisce uno dei tanti multiversi possibile, di cui anche quello in cui noi viviamo è un esempio.
Giordano Bruno fu uno di quei grandi pensatori che si pose le questioni: e se ci fossero infiniti mondi possibili?; il mondo è finito o infinito?; l’universo è ordinato o caotico?; risponde alle leggi di necessità o a norme casuali?
Sono questioni che la mente umana non è in grado di risolvere.
C’è una serie televisiva, Rick e Morty, dove lo zio scienziato e il suo perspicace nipote girano il cosmo al fine di risolvere i più disparati enigmi, tra cui quelli enunciati da Bruno, e che a un certo punto si trovano, per caso, ad attraversare un multiverso. È interessante scoprire come la società che vi ritrovano sia ispirata alla Città ideale di Platone. Tutto ciò accade, al di là di ogni ragionevole dubbio, nella logica di quel cartoon.
Nella cosmologia del XX secolo Hugh Everett III, elaborò la teoria di realtà parallele (o a molti mondi), basata sulla fisica della particella, il cui percorso appare imprevedibile. Everett ipotizzò che, se in un altro universo ogni particella seguisse un diverso tragitto, esso sarebbe strutturalmente simile al nostro, ma con stati e leggi diverse. A distanza di sessant’anni, l’idea, per la sua natura non comprovabile, né falsificabile, rimane un’ipotesi affascinante, la cui natura è sospesa a metà strada fra la scienza e la fede religiosa.
Tutti i multiversi sarebbero necessariamente non-comunicanti fra di loro, non essendo consentito alcun passaggio di informazioni fra due realtà avulse. A meno che… un artista, contro ogni logica, non tenti di costruire Qui un mondo di Altrove. E tale miracolo, a pensarci, avviene ad ogni romanzo.
Ogni cosmo ha la sua Storia, unica, definitiva e sperimentabile.
Marco Mogetta, però, ne conosceva un’altra, di Storia, e ce l’ha qui raccontata.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Marco Mogetta, Il segreto dei Dioscuri, Bookabook, 2020