“Fedeltà” di Marco Missiroli: serve passare per l’infedeltà per raggiungerla
“E adesso voleva vedere il mare e per tutto il tempo che impiegò per raggiungerlo ebbe l’impressione che Rimini lo sapesse, era un addio.”

Una fredda mattina di febbraio ho fatto colazione al bar prima di entrare a scuola leggendo la bella recensione di Antonella Lattanzi per TuttoLibri (la Stampa) che offriva (ed offre) un’invitante critica dell’ultima fatica letteraria di Marco Missiroli, Fedeltà. Da lì ho avvertito il desiderio di leggere il romanzo. E ringrazio Oubliette Magazine per avermene dato l’opportunità.
Come molti sapranno, il libro è risultato finalista al Premio Strega 2019 classificandosi come vincitore assoluto nella sezione Giovani i cui giurati sono costituiti da studenti di età compresa tra i 16 e i 18 anni, e al quinto posto nella serata decisiva del 4 luglio.
In alcune sue interviste l’autore ha raccontato di aver lavorato in un’edicola quando viveva ancora a Rimini e di aver imparato, dal continuo contatto con la gente, ad ascoltare le storie degli altri giungendo addirittura a rubarle: in questo c’era il suo germe di scrittore. Poi si è trasferito a Milano. Si tratta di dettagli importanti che ritornano anche nel suo libro, benché non sia autobiografico.
Devo anche ammettere che questi dettagli hanno contribuito ad attrarmi verso la lettura dell’opera. Rimini è una città bellissima, non solo per il turismo marittimo e per la movida dei locali, ma anche per gli interessanti eventi culturali offerti dalla Biblioteca civica Gambalunga e per la ricca presenza di testimonianze storico-archeologiche: l’antica Ariminum, infatti, fu fondata dai Romani nel 268 a.C. ed era una colonia strategica per la sua posizione.
Il mondo delle edicole mi affascina da quando andavo al liceo e il mio docente di Storia e Filosofia consigliava in classe l’acquisto di due inserti culturali: il primo è TuttoLibri (che ancora leggo), il secondo è Domenica de Il Sole24 ore. In generale, grazie al mio professore, mi sono educata a farmi un’idea della realtà partendo dalla lettura dei quotidiani. Ricordo che lui, oltre a citare le sue testate cult (Corriere Della Sera e la Stampa), raccomandava sempre la lettura del giornale, di uno qualsiasi, per comprendere l’attualità. Memore di ciò, ancora oggi quando passo in un’edicola, sento di compiere un’azione civica e di grande libertà.
Infine Milano è una città che ho imparato a conoscere e ad amare nelle mie fugaci, ma frequenti visite degli ultimi anni: Milano, città “fatta” da tutti gli italiani che vi si sono trasferiti, che l’hanno arricchita con le loro tradizioni, spesso trasformate in un lavoro vero e proprio; Milano che dà spazio a quanti hanno idee concrete da realizzare; Milano con i suoi mezzi di trasporto efficienti e con le sue importanti mostre a Palazzo Reale.
Il romanzo si divide in due parti ciascuna senza titolo e senza ulteriori suddivisioni in capitoli quasi a voler costituire un unico flusso narrativo, le cui pause sono evidenziate solo dalle spaziature bianche collocate talora all’interno delle pagine e dalla pagina vuota lasciata tra la prima e la seconda parte.
Non è, ovviamente, solo questione di pagina non scritta. Tra la prima e la seconda parte corrono nove anni che non sono trascorsi senza apportare il loro contributo alle vicende raccontate.
Questa inizia in medias res e presenta, nella sua evoluzione, un intreccio piuttosto complesso fatto di flashback e di ellissi.
Siamo nel 2009, l’anno successivo alla crisi finanziaria globale proveniente dagli States, e siamo a Milano. Carlo Pentecoste, trentacinquenne, è il figlio di un noto medico, ma non ha seguito l’orma borghese della sua famiglia e con essa è anzi spesso in contrasto. Si è laureto in Lettere, vorrebbe fare lo scrittore, si divide tra il lavoro come redattore per una casa editrice turistica e quello come docente part-time in un master di Tecniche della narrazione alla Statale di Milano. Ha ottenuto quest’ultimo incarico non per meriti propri (paradossalmente non ha mai scritto un libro), ma per una raccomandazione paterna. È sposato con Margherita, architetto che si è reinventata come agente immobiliare di una piccola ditta di sua proprietà. I due sono felici, si amano e hanno una forte intesa sessuale; pur nella precarietà della loro condizione economica (che è quella di tutti i giovani a partire dal 2008!), progettano l’acquisto di una casa. Faccio notare solo a latere che il tema della casa è particolarmente sentito in una città come Milano, dove l’acquisto del mattone si presenta spesso davvero difficile, se non proibitivo.
Nonostante siano in una fase pienamente propositiva, Carlo si è infatuato di un’allieva del suo master, Sofia Casadei, una ventiduenne che si è trasferita da Rimini nel capoluogo lombardo per avere più opportunità per coltivare la sua passione per la scrittura. Addirittura l’ha seguita nel bagno delle donne dell’Università e, se lei non fosse svenuta, probabilmente sarebbe riuscito ad averla. Per questo Carlo sarà allontanato dall’insegnamento. Resta il problema con la moglie, con la quale cerca di giustificarsi parlando di un “malinteso”. Certo, è vero, Carlo non è riuscito a portarsi a letto Sofia (cosa che può essere vista come una delle sua tante inettitudini), ma è proprio questo l’elemento di disturbo perché lui continua a desiderarla e Margherita ne è consapevole.
La bella Sofia, quasi infastidita dal corteggiamento insistente del “professore”, lascia il master e torna nella sua Rimini dove rimette in piedi insieme a suo padre la ferramenta di famiglia, divisa tra la nostalgia per la madre defunta e quella per il suo talento di scrittrice non coltivato.
Margherita dal suo canto (probabilmente anche per un desiderio di rivalsa), non è esente dalle tentazioni e inizia la frequentazione non proprio solo platonica di Andrea, il fisioterapista ventisettenne che sta curando la sua pubalgia. Andrea è un personaggio complesso, professionista prestante, amorevole figlio che aiuta i suoi genitori nell’edicola di famiglia, giovane non esente da certe dipendenze. Corteggiato da Cristina e poi da Margherita, il ragazzo non riesce tuttavia ad amare le donne in quanto omosessuale, come risulterà palese nel corso delle vicende.
Mediante un’ellissi il lettore è condotto all’improvviso nella seconda parte del libro, ambientata nel 2018, nove anni dopo l’avvio del racconto. In questa seconda parte è possibile recuperare molte informazioni omesse nel salto temporale operato dal narratore: Carlo e Margherita sono riusciti, con tanti sacrifici e con l’aiuto delle loro famiglie, a comprare la loro casa dei sogni e ad avere un figlio. Si tratta di conquiste non prive della loro problematicità sul piano pratico ed affettivo. Inoltre non sono senza strascico gli eventi accaduti nove anni prima.

La crisi economica iniziata tra il 2008 e il 2009 ha costretto Margherita a chiudere la propria agenzia e a farsi riassumere in una grande ditta immobiliare, ma Carlo ha addirittura perso il lavoro e si ritrova disoccupato. Lui che avrebbe potuto essere insieme professore, scrittore, marito, padre, si ritrova a non essere nulla, o meglio ad aver fallito in tutto. Ha consumato il tradimento con altre donne, pur non avendo più sentito e visto Sofia, se non virtualmente osservando i suoi profili su Facebook ed Instagram (il riferimento ai social costituisce un interessantissimo spaccato dei mutamenti sociali, culturali ed economici, che avvengono tra il 2009 e il 2018).
Margherita, invece, ha tradito suo marito solo con Andrea, ma la sua sembra una colpa minore: l’omosessualità del giovane ha impedito alla relazione di andare avanti; tuttavia “negli anni erano diventati qualcosa, lei e Andrea”, scrive il narratore. Ma questo non pare un inganno, come quello lungamente perpetrato da Carlo nei confronti di sua moglie.
E tuttavia Carlo non riesce “a distanza di anni” a comprendere il motivo che lo ha spinto a tradire: “Lui era felice con Margherita, davvero felice. Lo aveva fatto per qualcosa di primordiale, per il mutuo, per i Pentecoste, per il figlio che ancora non si erano decisi ad avere, per le difficoltà in casa editrice, per l’orgasmo mancato con Sofia? L’aveva fatto e basta”.
A distanza di anni, inoltre, Sofia Casadei è ancora un ostacolo per la coppia e non soltanto perché la donna a suo modo, ricerca il suo ex insegnante, spinta dal motivo che “avrebbe dato molto per tornare a farsi desiderare come Pentecoste l’aveva desiderata”. La ricomparsa dell’altra è “solo” l’occasione scatenante di una violenta lite tra Carlo e Margherita, che in realtà cova da tempo, in quanto a lungo rimandata. Ancora una volta è la moglie di Pentecoste ad avere ragione. Infatti lei crede davvero che suo marito non sia mai andato a letto con la giovane, ma è proprio questo il problema, altrimenti se la sarebbe tolta dalla testa.
La speranza che tra i due durerà, nonostante tutte le tentazioni, i tradimenti, i problemi pratici, è tenuta in serbo dalla saggezza di Anna, la madre di Margherita, osservatrice discreta degli eventi, il collante invisibile, ma forte, che tiene unito il matrimonio dei due protagonisti: “i loro corpi sapevano stare vicini, questo la rasserenava ogni volta”.
Durerà anche perché ora Carlo è pronto a fare ciò che sua moglie indirettamente gli chiede: e così, quasi sul finire del romanzo, dopo l’ennesimo colloquio di lavoro che è un po’ uno spaccato dei tempi che viviamo, ma anche l’occasione in cui, a mio avviso, Carlo si riscatta, vediamo l’ex professore prendere un frecciabianca per Rimini. Al termine di questo viaggio, intrecciato di suggestioni per i ricordi della sua adolescenza trascorsa nella città romagnola, e per il dubbio su cosa dirà a Sofia, Carlo ritrova “la sua ballerina in punta di piedi”. La rivede, non visto, dalla vetrina della ferramenta e la saluta in silenzio, senza entrare a parlarle: capisce solo ora, infatti, che può “lasciare andare l’ultima giovinezza”.
A dire il vero tale esito mi ha delusa; non perché mi aspettassi che Carlo avrebbe lasciato Margherita per Sofia, ma perché mi prefiguravo almeno che avrebbe potuto riparlare con la sua ex studentessa. Tutta il racconto, al di là dei sui intrecci, lascia molta suspense in merito a come sarebbero andate a finire le cose con Sofia. E tutta l’aspettativa, secondo me, non è sufficientemente ripagata.
Ho cercato allora di trovare una spiegazione a questo addio silenzioso: esso, mi sono detta, ha un suo ruolo nella storia di Marco Missiroli e sancisce la vittoria definitiva della fedeltà sull’infedeltà. E serve ad affermare compiutamente il messaggio che la fedeltà come dato in sé può far paura, ma che esso rimane al tempo stesso una conquista. E, talora, paradossalmente serve passare per l’infedeltà per raggiungerla. Allora Sofia, le altre donne, Andrea e tutto il resto, sono solo momenti “negativi” (in senso hegeliano) che portano alla riaffermazione finale del valore della famiglia, in cui l’amore, nonostante i suoi acciacchi, domina sempre. La fine del romanzo, dunque, non coincide con l’addio a Sofia, ma con le sue conseguenze, ovvero con la piena ri-acquisizione, da parte dei due sposi, di consapevolezze latenti, ma mai morte, come il valore esclusivo del matrimonio in cui non è possibile separare amore e sesso. Eppure, nel groviglio e nel vortice dell’intreccio, i due si erano illusi che ciò fosse possibile.
La mia parziale delusione è stata comunque ben bilanciata e ben compensata da altri aspetti. Ho apprezzato le suggestioni legate alle descrizioni dei luoghi della vicenda, i continui riferimenti ad una Milano che cambia e che, dopo la crisi del 2009, torna ad essere una città vivace e dinamica, i nostalgici richiami a Rimini, al suo mare, alla sua primavera, alle sue nebbie. Marco Missiroli, che conosce bene entrambe le città, accompagna il lettore nelle loro strade e nei loro luoghi, da quelli meno noti a quelli più rappresentativi. In tal modo il lettore può sia conoscere punti mai visti della metropoli lombarda e della provincia romagnola, sia riconoscere con piacere (o anche con dolore) quelli già visti, tentando di ricordare il contesto reale ed emotivo da lui vissuto quando vi si era trovato.
Per questo, ma anche per la complessità della storia narrata, Fedeltà è un romanzo per tutti noi che abbiamo bisogno di farci domande e di capire le risposte. Non solo quelle legate al mondo degli affetti, ma anche quelle legate alla società e ai tempi che cambiano, all’avvento delle nuove forme di comunicazione e alla necessità di guardare la globalità degli eventi con saggezza, senza pregiudizi e conformismi.
Fedeltà, dunque, è un documento della nostra società, sia nel senso che guarda ad essa, sia nel senso che nasce da essa: lo ha spiegato benissimo Missiroli in un video di presentazione della sua opera, disponibile su Facebook QUI.
In questo filmato lo scrittore mostra il bar di Milano dove ha concepito la propria creatura. Egli racconta, infatti, di aver provato a scriverla in casa, ma di non esservi riuscito, quasi per paura della solitudine: per questo definisce il suo come “un romanzo corale”. Anche questo è segno, del resto, del grande valore civico della cultura, ovvero del suo valere non solo per se stessa, ma anche per gli altri.
Condivido in toto le parole di Missiroli e lo capisco perché anche io quando devo leggere, studiare o scrivere non riesco a farlo in casa, ma ho bisogno di rifugiarmi in biblioteca. Mentre sto scrivendo questa recensione sono a Milano ed è la settimana di Ferragosto; le biblioteche sono quasi tutte chiuse e così ho deciso di venire a CityLife: l’esperimento è riuscito perché ho trovato un luogo che mi ha letteralmente tenuto compagnia durante la stesura, tra un caffè e qualche parola scambiata con le persone incontrate qui per caso.
Buona Fedeltà a tutti e ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi
Bibliografia
Marco Missiroli, Fedeltà, Einaudi, Torino 2019, 224 pp. 19 euro