Apollonia: ammutinamento e omicidio in alto mare, la convivenza a bordo di una barca a vela in un caso di cronaca nera degli anni ‘80

Nelle serate all’ancora, i velisti amano raccontare le loro storie di viaggio. Paradisi esotici, burrasche, porti, e… storie raccapriccianti. Una di queste, riguarda un caso di cronaca nera avvenuto nel dicembre del 1981, a bordo dello yacht tedesco Apollonia che ha tenuto col fiato sospeso i velisti di tutto il mondo.

Apollonia, il diario di bordo della paura

Quando in alto mare le relazioni interpersonali diventano catastrofiche, nemmeno le vittime sono senza colpa– Der Spiegel

Oceano Atlantico: è il diciottesimo giorno in mare.  L’Apollonia, sei persone a bordo, ha quasi completato la traversata dalle Isole Canarie all’isola caraibica di Barbados. Fra due, tre giorni al massimo, i sei compagni di viaggio potranno godere di sabbie bianche, e paradisi tropicali. Il sole splende, soffia una piacevole brezza, i due armatori stanno tranquillamente pisolando in coperta sul mare calmo, ma talvolta i disastri giungono in sordina.

Alla fine della giornata, due persone saranno morte, un terzo sarà gravemente ferito, raggiunto da colpi di pistola a distanza ravvicinata. È la terribile conclusione di un’epidemia di odio e violenza che esplode nella ristrettezza claustrofobica della barca come fosse nitroglicerina.

Questo fatto di cronaca, è narrato dalla penna di Klaus Hympendahl, giornalista e velista tedesco, nel romanzo “Apollonia, il diario di bordo della paura, edito in Italia dalla casa editrice Mursia.

L’autore ripercorre i fatti in forma parzialmente biografica, e parzialmente romanzata, celando i veri nomi dei protagonisti sotto pseudonimi. Hympendahl, infatti, incontrò realmente l’Apollonia e il suo equipaggio alle Canarie, un mese prima della tragedia, nel porto di Pasito Blanco.

Lo stesso assassino, pochi mesi prima, aveva riparato lo yacht di Hympendahl. Anni dopo, nel 2000, l’autore ritrova casualmente l’assassino in un cantiere navale di Brema, uscito di prigione dopo una pena di 17 anni e due mesi. Lo intervista e lo incontra più volte, e si fa narrare la storia che verrà poi inserita nel romanzo.

Apollonia è uno yawl del 1967: costruita in legno, lunga 18 metri, è considerata una barca veloce e solida. Aveva attraversato più volte l’Atlantico con il nome originale di “Wappen von Bremen”, cambiato poi in Apollonia, nome noto ai cristiani per l’omonima martire protettrice del sorriso, ma forse utilizzato dal nuovo armatore per riportare al femminile il greco Apollon, dio del Sole, delle arti, della medicina, dell’armonia, delle profezie. Alle feste Delfinie, corrispondenti circa al 6 aprile, coincideva la riapertura della navigazione per rispettare la tradizione marinara che vorrebbe i nomi delle barche femminili.

Forse nessuno gli aveva però detto che cambiar nome alla barca… porta una gran sfortuna.

Questa volta la barca non ospita i rudi allievi dello yacht club di Brema, ma un equipaggio eterogeneo: Manfred Schön, 36 anni, è un vivace e giovane agente commerciale, la cui fortuna si è esaurita con l’acquisto dello yacht; poco esperto di navigazione, ha deciso di lasciare il suo lavoro in Germania e di aprire un’attività di charter a Barbados.

Manfred è accompagnato dalla fidanzata Petra, estetista bella e ingenua, fumatrice accanita, che distribuisce a bordo mozziconi, cenere, e un fumo pestilenziale.

Apollonia Yacht

Jörg Röttich, è un tenebroso gigante barbuto, ha alle spalle una carriera da pilota di elicottero e di militare dei reparti speciali. Dopo un breve periodo di impiego alla S-Bahn di Amburgo, sogna un lavoro come capitano da charter nei Caraibi. Ha anche i brevetti necessari, ma quasi nessuna esperienza pratica di navigazione.

La sua compagna Andrea, parrucchiera e violinista proveniente da una famiglia socialmente disagiata, si è presentata a bordo incondizionatamente. I due sono stati sbarcati privi di paga e senza un soldo in tasca dai rispettivi yacht su cui lavoravano, erano due cosiddetti “spiaggiati”, così vengono definiti nel mondo dei velisti coloro che non son più in grado di continuare il loro viaggio per mare, e sopravvivono come possono nell’ultimo porto toccato. I due si sono imbarcati sull’Apollonia come equipaggio, per realizzare il sogno di Jörg di diventare skipper ai Caraibi.

Oliver e Charlie, 29 e 26 anni, sono una coppia di amici, anch’essi tedeschi, marinai a bordo di un battello sul Lago di Costanza. Ciascuno ha pagato 1.000 marchi per il viaggio transatlantico, e volevano solo una cosa: divertimento. Hanno deciso di raggiungere la meta delle loro vacanze, i Caraibi, come ospiti charter di Manfred, totalmente disinteressati a partecipare alle manovre di bordo e alla conduzione dell’imbarcazione.

Quello che è successo durante la navigazione dell’Apollonia è una vicenda di cronaca nera realmente accaduta: un equipaggio di sei individui, tre coppie, che non si conoscevano prima della partenza, si ritrovano a stare a stretto contatto per venti giorni, sulla stessa barca, senza vie di fuga. Un’impostazione sbagliata dei rapporti interpersonali, e il mancato stabilirsi dei ruoli a bordo, e il viaggio si traduce in tragedia.

Attraverso le pagine di Klaus Hympendahl ‒ che ha conosciuto i protagonisti di questa follia poco prima che salpassero dal Marina di Gran Canaria –  è possibile rivivere il susseguirsi di una serie di episodi a prima vista banali, ma che a lungo andare creano una realtà distorta e perversa, fino a sfociare in due omicidi.

Dopo alcuni giorni in mare, c’è una disputa a bordo: Jörg è un ex militare, abituato ad una rigida educazione alla disciplina, alla gerarchia di comando, al lavoro di squadra: tutte cose che vengono a mancare a bordo dell’Apollonia: la situazione di anarchia a bordo, il non aver stabilito un leader del gruppo, alimentano la sua rabbia. Le manovre a vela non funzionano. Il proprietario, Manfred, è negligente, mentre Jörg si attiene alla sua conoscenza da manuale e gioca a fare il maestro.

Oliver e Charlie sono poco partecipativi alle manovre a bordo, i turni, i ruoli e gli accoppiamenti non sono rispettati, né gestiti dal comandante, che di fatto non si sa chi è, e la situazione presto degenera nell’intolleranza reciproca sino al 18 ° giorno.

Apollonia -Yacht Murder

Ancora una volta c’è stata una disputa su chi deve preparare colazione. Jörg nei giorni di traversata ha a lungo sospettato che non ci sarebbe stato futuro per lui sulla barca come skipper da charter. Poiché è indigente, richiede al proprietario almeno un certificato di referenza, da compilarsi immediatamente, per poter trovare un lavoro ai Caraibi. Manfred rifiuta. Jörg perde dominio di se stesso, e si impadronisce di una pistola che era custodita a bordo. A mano armata ottiene che il proprietario firmi dei fogli in bianco. Quindi prende il comando a bordo.

È ammutinamento! 

Jörg minaccia di sparare al proprietario: “Voglio la mia vendetta per tutte le umiliazioni subite su questa barca!!!” Nessuno osa dire qualcosa. Quindi la minaccia: “Hai ancora dieci minuti da vivere!”

L’equipaggio è terrorizzato. Tutti stanno implorando per la propria vita. Ma nonostante tutto, Jörg pretende che prima venga servita la cena, uova strapazzate. Il pasto del boia.

Terminata la cena, si siede dando le spalle all’equipaggio al tavolo da carteggio. Vuole calcolare la posizione dello yacht. Nella sua disperazione, Manfred afferra il manico metallico della pompa di sentina, e colpisce una volta, due volte, ancora una volta sulla testa di Jörg, ma non abbastanza forte. Jörg in reazione all’aggressione cerca la sua arma. Il sangue gli scorre sul viso. Spara all’indietro contro l’aggressore. Ma il proiettile colpisce Oliver, che cade ferito alla spalla in pozzetto.

Un secondo colpo colpisce Petra in testa uccidendola sul colpo. Anche Manfred, che nel frattempo era scappato sul ponte, infine, viene raggiunto da Jörg e, colpito mortalmente al petto, cade all’indietro oltre la battagliola, nelle acque dell’Atlantico.

L’orrore regna su Apollonia.

Mentre Oliver si contorce dal dolore nel pozzetto, il suo amico Charlie viene costretto a trascinare il cadavere di Petra dal salone al ponte e a gettarlo fuori bordo, mentre Andrea, la fidanzata di Jörg, nel frattempo si siede indifferentemente in cabina e si dipinge le unghie dei piedi di color rosso sangue. Difficile credere che Oliver sopravvivrà alla grave ferita che gli ha perforato il polmone.

Tre giorni dopo, l’Apollonia arriva alle Barbados. Sul diario di bordo, Jörg dichiara di essere incappato in una tempesta e descrive dei falsi incidenti in cui avrebbe perso in mare due persone.

I sopravvissuti sono tenuti a tacere con minacce di morte e a firmare una liberatoria che scagiona Jörg e Andrea. Passati i controlli doganali ai Caraibi, tutti tornano immediatamente in Germania. Solo allora la notizia ovviamente viene a galla grazie alla immediata denuncia di Oliver e Charlie alle autorità tedesche. Un anno dopo, Jörg viene condotto in tribunale a Brema. Un processo che fa scalpore.

Avvocati, psicologi e filosofi dibattono sulla particolare situazione psicologica a bordo di una barca in mezzo all’Oceano.

Apollonia – Yacht

In un mondo che inizia a prua e termina a poppa, i membri dell’equipaggio devono necessariamente interagire frequentemente e strettamente con il gruppo di cui fanno parte. La sopravvivenza per lunghi periodi a bordo di una barca a vela, per quelle che sono le esigenze moderne, è oggi possibile con l’aiuto di supporti tecnologici, nonché di un ben strutturato piano di lavoro.

La capacità di adattamento umano a questo ambiente, nonostante tutte le difficoltà che sembra presentare ad una prima analisi, si dimostra comunque possibile: molti psicologi e velisti pongono comunque l’accento sulla grande rilevanza di fattori psicologici, sociali e culturali nei processi di adattamento personali durante la permanenza a bordo. Non mancano tra le esperienze di un qualsiasi skipper i racconti di litigi furiosi, fine di amicizie decennali, e persino divorzi, dopo appena pochi giorni di navigazione sotto costa.

Una ipotesi abbastanza comune è che gli ambienti non convenzionali come una barca in mezzo al mare, una stazione di ricerca nell’Antartide, o una navicella spaziale, aumentino i conflitti interpersonali, la rabbia e l’irritabilità, che a loro volta influenzeranno la coesione all’interno del gruppo. Le ostilità, comunque, sono viste in modo negativo dall’equipaggio, in quanto pericolose per la coesione all’interno del gruppo e i marinai esperti sviluppano una serie di tipologie comportamentali che aiutano il contenimento dei conflitti come ad esempio evitare giochi altamente competitivi o la comunicazione emozionale.

Al momento dell’arrivo a bordo di una imbarcazione, l’individuo si trova di frequente in mezzo a persone sconosciute, e deve di conseguenza ricostruire un ruolo sociale all’interno del nuovo equipaggio. L’autostima e la valutazione di sé diventano in questo momento cruciali, in quanto il velista si trova analizzato e scrutato da persone quasi o totalmente sconosciute. La creazione di un’identità all’interno del gruppo, la creazione di nuovi concetti di sé in relazione al resto dell’equipaggio, sono ulteriori fonti di stress. Ruoli incompatibili o incomprensibili come ad esempio l’equipaggio in relazione agli armatori e agli ospiti paganti e tutte le combinazioni tra loro possono portare conflitti, generalmente sulla base del diverso centraggio degli obiettivi di ognuno dei gruppi presenti a bordo, o sulle differenti priorità degli stessi.

La cosa più importante a bordo, è la conservazione dell’armonia all’interno del gruppo.

Nel caso dell’Apollonia, i conflitti tra i membri dell’equipaggio hanno avuto effetti devastanti per la sicurezza dell’intero gruppo non appena si è verificato un evento critico.

Il fatto di dover stare insieme forzatamente e la monotonia sociale sono sicuramente tra i fattori di stress che più hanno contribuito alla sciagura. Dopo 2 settimane di confinamento a bordo, gli irritanti comportamenti  tenuti dai compagni di viaggio, erano sufficienti per Jörg a stabilire l’inadeguatezza della leadership di Manfred, che non ha saputo gestire il comportamento degli altri membri a bordo e i conflitti che possono accendersi in questi casi: di fatto, mancava la figura del comandante, mancavano la comunicazione e la gerarchia di comando in contrapposizione alla comunicazione interpersonale, che viene accentuata, e il confinamento in questo particolare ambiente aumenta l’intimità e l’apertura verso gli altri.

Tuttavia, i soggetti che si sono inizialmente aperti agli altri, però, potrebbero pentirsi di averlo fatto, in un momento successivo. È facile, per non dire inevitabile, che a bordo si verifichino perdite di informazioni e pettegolezzi che vengono presto scoperti, i quali, tra compagni di navigazione possono portare a numerosi sentimenti negativi.

Mantenere la segretezza di alcune informazioni diventa quasi impossibile. Uno degli esempi più classici, è quello che avviene negli equipaggi a prevalenza maschile, in cui le donne sono spesso oggetto di pettegolezzi riguardanti la loro (supposta) disponibilità sessuale.

Queste tensioni possono portare a divisioni all’interno del gruppo con la conseguente formazione di sottogruppi o addirittura di un intero gruppo contro un solo individuo e dare adito persino ad ammutinamenti o fughe dell’equipaggio, del comandante, o degli ospiti a bordo. Creare chiarezza nei ruoli, da parte del comandante, e a partire dallo stesso, può essere un modo per facilitare il processo di formazione dell’equipaggio e limitare/creare minori conflitti tra l’equipaggio, tra gli ospiti o tra i due gruppi.

Di seguito, possiamo leggere alcuni estratti conformi agli atti delle perizie psicologiche e legali della difesa e dell’accusa che hanno provato a ricostruire ed esaminare gli eventi e le cause che hanno condotto a questa strage.

Gli estratti riportati provengono dal libro di Hympendahl:

Apollonia Yacht

“Per quanti fatti possano rimanere oscuri e incerti, una cosa è indiscussa: le ultime parole di Röttich prima di sparare a Schön sono state: È questa la promessa che mi hai fatto???
Questa frase dà un’idea di ciò che in quel momento stava accadendo nel suo animo. Al momento dell’ultimo sparo, la delusione e l’umiliazione nei confronti di Schön erano estreme e, in seguito ai colpi subiti, si è forse sentito costretto a sparare. L’intenzione di uccidere un’altra persona per permettere o per coprire un altro delitto – come sostenuto dal procuratore generale – presuppone un’azione mirata. Dev’essere il movente dell’azione.
Il suo gesto implica la futilità del movente prevista dalla legge sull’omicidio? Delusione e collera costituiscono moventi futili solo se a loro volta fondati su convinzioni di bassa morale. Valutando ancora una volta le circostanze che agli occhi di Röttich rappresentavano la promessa di Schön di ingaggiarlo come capitano ai Caraibi, e considerando il fatto che la rottura di quella promessa costituiva l’epilogo di sviluppi complessi ai quali Röttich ha contribuito solo in parte, non si può affermare che il comportamento sia da considerare infimo o particolarmente riprovevole. Si deve inoltre tenere presente che il fattore scatenante degli spari sono stati i colpi inferti da Schön.”

Continua un secondo perito:

“Ciò che è sfociato nel gesto di Röttich è un miscuglio di forze accumulatesi nel corso di molto tempo, tra le quali c’è sicuramente anche l’odio. A mio parere, quell’odio non sarebbe di per sé stato sufficiente a portarlo a volere e a progettare l’omicidio coscientemente fin dall’inizio; durante gli ultimi avvenimenti a bordo, ha tuttavia sicuramente rivestito un ruolo decisivo.”

Infine la conclusione dell’avvocato della difesa:

“Il grado di responsabilità che ricade su Jörg Röttich per i colpi, in parte mortali, sparati a bordo dell’Apollonia non può essere determinato con una semplice formula. La personalità di Röttich, i rapporti interpersonali sviluppatisi a diversi livelli e con i relativi conflitti, ciascuno di diversa intensità, e lo spazio particolarmente ristretto di una barca a vela sono tutti elementi che fanno apparire le reali problematiche di questo caso troppo intricate, complesse e differenziate perché la pena assoluta e rigida della condanna all’ergastolo possa essere considerata una reazione coercitiva adeguata.”

La sentenza:

“In ordine all’omicidio perpetrato ai danni di Manfred Schön e Petra Meinhard, viene pronunciata la condanna all’ergastolo in due casi. Con riferimento al tentato omicidio ai danni del testimone Otten il giudice ha fatto ricorso alle cause di attenuazione della pena previste dagli articoli 22, 23, 49 StGB. L’imputato ha in tal senso potuto beneficiare del fatto che il testimone Otten è sopravvissuto e non ha riportato rilevanti conseguenze con riferimento alle ferite inferte. Per tale atto viene comminata dal tribunale una pena detentiva di 15 anni commisurata alla colpa e come tale necessaria.

Nella commisurazione della pena con riferimento all’imputata Kleefeld, il giudice ha giudicato a suo favore il fatto che non avesse precedenti penali. Il tribunale ha inoltre giudicato a favore dell’imputata il fatto che, durante lo svolgimento degli eventi, essa sia stata coinvolta dall’imputato Röttich. Inoltre, è stata fatta valere l’ipotesi di doppia attenuazione della pena ai sensi dei paragrafi 27, 49 StGB e 35 comma 2, 49 StGB.
Per contro, è stata considerata circostanza aggravante il comportamento dell’imputata Kleefeld dopo il delitto, e cioè la minaccia dei testimoni Otten e Gei
ßler.

In considerazione di quanto rilevato in merito alla commisurazione della pena, il giudice ha riconosciuto commisurata e indispensabile all’espiazione, una pena detentiva di 3 anni.”

Il processo fu seguito dalla rivista di vela tedesca Yacht, la quale dedica un articolo che pone un interessante spunto di riflessione in conclusione al racconto di questa drammatica vicenda.

“Nell’equipaggio che nel dicembre del 1981 viaggiava a bordo dell’Apollonia ha trionfato il male in Jörg Röttich. Non poteva più scappare, perché a bordo non si può scappare da niente. Tutti sappiamo quanto può essere sottile la linea tra il bene e il male. Chi può dire che le vittime non potrebbero diventare i persecutori, e i persecutori le vittime? Dobbiamo avere compassione.” – J. Neuport in Yacht, n2/1983

 

Written by Claudio Fadda

 

 

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