“Laura Lanza la Baronessa di Carini” di Pietro Trapassi: una figura femminile tra storia e leggenda

Pietro Trapassi, nato a Palermo nel 1939, dove ha vissuto sino agli studi universitari presso la Facoltà di Giurisprudenza, si è poi trasferito a lavorare in Toscana, nella provincia fiorentina, ove tuttora vive. Ha continuato negli anni a coltivare il suo amore per la scrittura, giungendo a pubblicare nel 2003 Il gelso.

Laura Lanza la Baronessa di Carini

Alcuni anni più tardi, nel 2008, ha dato alle stampe il romanzo I ragazzi del Rione Zaccaneddri, ambientato nel quartiere palermitano in cui ha vissuto l’infanzia e la fanciullezza. Nel 2013 arriva la menzione d’onore al Premio Merano-Europa “Mario Conti” per il suo romanzo Caino vive a Palermo, in cui narra dell’attentato mafioso che costò la vita a suo fratello Mario Trapassi, maresciallo dei Carabinieri e caposcorta di Rocco Chinnici, brutalmente assassinato il 29 luglio del 1983.

Pietro Trapassi è anche autore di poesie.

L’ultimo romanzo di Pietro TrapassiLaura Lanza la Baronessa di Carini. Romanzo di cappa e spada“, edito da Bonfirraro, editore con sede in provincia di Enna, è uscito sul finire del 2016 e già dai comunicati stampa editoriali e dai propositi apertamente dichiarati dall’autore, si pone da un lato come romanzo storico, che tenta di recuperare dall’alone della leggenda e di una storia reale in parte mistificata e occultata, la figura della giovane nobildonna Laura Lanza, ma d’altro canto, forse ancor di più, il fine di condannare ogni sopruso, oltraggio, violenza e pregiudizio nei confronti delle donne che per troppo tempo sono state considerate come oggetti, merci di scambio, elementi passivi della società.

Afferma, infatti, l’Autore nell’esergo:Ho voluto trascrivere questa storia romanzata per deplorare ancora la situazione di inferiorità della donna nei confronti dell’uomo, tranne che in alcuni casi, rari. Ancora oggi si assiste a situazioni aberranti che mostrano la donna su un piano più basso.

Contro leggi antiche e moderne, dalla romana Lex Iulia de adulteriis sino all’età contemporanea, con l’abolizione in Italia del “delitto d’onore” soltanto nel 1981, è scritto questo libro per ricordare, insieme a Laura Lanza, tutte quelle donne che l’altrui volontà e la soppressione della libertà di scelta e autodeterminazione hanno portato tragicamente alla fine.

La storia è ben nota: sullo sfondo, tra Palermo, Carini e altri feudi circonvicini, le vicende familiari, economiche e di rango sociale, di alcune grandi famiglie. Il barone Cesare Lanza di Trabia concorda il matrimonio della figlia quattordicenne Laura con Vincenzo II La Grua. Il Lanza porta ricchissima dote alle casse stremate di una famiglia che può offrire in cambio titolo nobiliare di alto rango, vantando addirittura sangue reale. Tra i due sposi non ci fu mai amore e la giovane amò, riamata, Lorenzo Vernagallo, appartenente a ricca famiglia che, però, non poteva vantare quarti di nobiltà e che, sebbene in affari coi Lanza, proprio per interessi economici, entrava con essi spesso in contrasto. La fine tragica degli amanti, scoperti, è funzionale al ristabilimento di equilibri di tipo economico (in base ad alcune ipotesi recentissime alla base del fattaccio sarebbe un forte debito insoluto) e sociali, oltre che, in primo luogo, alla difesa dell’onore delle due famiglie, Lanza e La Grua.

Opera dagli alti intenti dunque. Non biografia romanzata è questa, o non solo e non tanto, ma vero e proprio romanzo storico ci pare, con grande spazio dato, a più e più riprese, agli eventi a livello di micro e macrostoria, con un quadro economico, politico e sociale ben definito, documentato, aderente alla realtà nelle sue precise dinamiche. E già di per sé, con gli illustri precedenti che il romanzo storico in Italia si porta dietro, ardua e irta di insidie e possibili scivoloni è l’impresa!

Da un lato occorre una solida conoscenza storica di fatti, luoghi, personaggi, date, e operare ricerche di tipo archivistico e bibliografico che, a volte, possono comportare anni di studio. Di fronte alla mole dei materiali, poi, può capitare di tralasciare studi di rilievo, magari anche recenti, capaci di dare ulteriore luce alle vicende che si desidera trattare.

D’altro canto pur sempre di un romanzo si tratta, per cui la fantasia dell’autore, in libertà, sceglierà di modificare quanto occorrerà per rendere avvincente la narrazione, trasportando i fatti su un piano letterario che, pur nella verosimiglianza, possa introdurre elementi di novità e interesse.

Pietro Trapassi

Il difficile è riuscire a fare entrambe le cose tenendole in armonia, senza effettuare una cronaca o una cronistoria, ma senza tralasciare fatti o personaggi chiave per un coerente inquadramento che renda la storia narrata non fuorviante rispetto al progetto originario.

In parte, secondo me, l’autore è riuscito in entrambi i due ostici compiti. Infatti, indubbiamente si intravede fin dall’inizio della narrazione, che alla base vi è stata una ricostruzione dei fatti seguendo, per lo più, la versione “ufficiale” degli avvenimenti, che è poi quella avvalorata da una lunga tradizione orale che ha dovuto supplire una carenza di documentazione scritta. Proprio per questo, dunque, si sarebbe dovuta prestare maggior attenzione in fase di editing, alle date e, ahimè, una bella svista la troviamo nella prima parte dell’opera, a p. 28, dove si parla dell’anno 1941 in relazione a una spedizione di Carlo V contro i musulmani.

La trama, poi, pare dipanarsi con un ritmo lentissimo, a volte ripetendo stancamente passaggi, situazioni, descrizioni. Sembra che passino anni e anni, mentre alla fine del testo sembrerebbe che il tutto sia avvenuto quando i protagonisti sono ancora giovanissimi, con un certo senso di disorientamento o quantomeno di straniamento temporale, nella percezione del lettore.

Inoltre, mentre alcuni personaggi paiono essere definiti con maggior approfondimento psicologico e caratteriale, altri, pur di primissimo piano, restano, malgrado gli sforzi dell’Autore, definiti a un livello che appena ne sfiora la superficie. Almeno sino a un terzo del libro, lo confesso, ho trovato pesante procedere oltre, poi, affezionandomi vieppiù alla povera e quasi evanescente fanciulla, succube dei voleri del padre, forzosamente andata in sposa a chi poteva garantire titolo nobiliare e alleanza di casate, beh, ho deciso di andare avanti. Alcune pagine belle ci sono, nelle descrizioni dei luoghi, soprattutto, dalla Palermo del Cinquecento, di cui ancora oggi si può ammirare tanto, ai feudi circonvicini, Carini in primis, alle campagne e alle selve. L’alternarsi delle stagioni nel particolare clima mediterraneo della Trinacria sono rese in modo coinvolgente per il lettore. Meno coinvolgenti, spesso, i dialoghi. Forse l’aver reso anche le emozioni più forti, paura, rabbia, passione, amore, nostalgia, in terza persona e comunque con una preponderanza all’elemento maschile, non ha dato ragione alla povera Laura Lanza per emergere e brillare un po’ più di quella luce che i fatti reali le hanno poi sottratto.

Alcuni svarioni, invero, limitati a pochi casi, sui modi verbali (‘puntava’ in luogo di ‘puntasse’, ‘è’ in luogo di ‘fosse’) avrebbero potuto facilmente essere rimossi nell’editing finale che parrebbe un po’ la pecca di quest’opera dalle alte e, credo, giustificatamene, aspirazioni.

Se si fosse tenuto conto, tra gli altri, anche dell’apporto delle recenti ricerche storiche di Calogero Pinnavaia, o di altri testi interessantissimi, ora disponibili anche in rete, forse si sarebbe potuto reperire ulteriore materiale per rendere ancora più ricca e affascinate la narrazione, anche sfruttando le numerose leggende sorte nei secoli attorno alla Baronessa (ben 400 sarebbero le varianti presenti nella tradizione orale della vicenda, contro due soli documenti ufficiali, scritti, coevi ai fatti: l’istanza-confessione del barone Cesare Lanza, padre e uccisore di Laura, e l’atto di morte di Laura e del suo amante Vincenzo Vernagallo, conservato presso la chiesa madre di Carini).

Alcuni interessanti spunti, compreso l’epilogo della vicenda, così come originalmente ricreato dal Trapassi, mi farebbero auspicare una nuova edizione dell’opera che renda giustizia allo sforzo dell’Autore verso l’esaltazione di ideali di giustizia, parità dei diritti, amore e bellezza, perché tanta ce n’è in queste pagine, invero un po’ troppo occultata e soffocata da una narrazione talora troppo lenta e ripetitiva e che troppo spesso non riesce a raggiungere e far vibrare le corde di ciò che è stata una storia di passioni e che dovrebbe tradursi in un altrettanto vibrante ed emozionante romanzo.

In attesa di una nuova versione riveduta, che attenderò speranzosa, abbraccio in pieno quello che è lo scopo più importante di questo romanzo di cappa e spada: la denuncia dell’oppressione dell’universo femminile.

 

Written by Katia Debora Melis

 

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