“Olive Kitteridge” di Elisabeth Strout: un romanzo a racconti sulla fame di vita
“Olive Kitteridge” è un romanzo di Elisabeth Strout, edito da Fazi nel 2009, che ebbe notevoli apprezzamenti: vinse il Premio Pulitzer nel 2009; il Premio Bancarella nel 2010; il Premio Mondello, nel 2012.
Seguitemi, vi porto nel Maine, precisamente a Crosby, un piccolo villaggio sull’Oceano Atlantico.
Lo stridere dei gabbiani si fonde con la piccata carezza delle onde, che si lanciano sugli scogli, a volte morendo in bianca spuma, a volte uccidendo e inondando sezioni della costa.
Le barche dei pescatori solcano l’azzurro del mare e si protendono verso quello del cielo, stancamente cariche, al ritorno, di pesci e crostacei.
L’odore salmastro dei pini è addolcito dal profumo sprigionato dalla varietà di fiori che, nelle varie stagioni dell’anno, adornano i giardini di villette curate, costruite pezzo dopo pezzo, con l’orgoglio di chi le ha viste crescere.
La neve, la pioggia e il sole si alternano in inverno e primavera; l’estate è mite e poi… poi c’è l’autunno e allora il mondo si colora di rosso, arancione e marrone dorato, come un cigno che, nel canto dell’addio, sfoggia le piume più belle.
Seguitemi, vi porto nel microcosmo del villaggio fatto di piccoli locali che servono ciambelle; di farmacie a conduzione familiare; di piano bar in cui ognuno ha diritto alla propria canzone preferita; di scuole e chiese che serbano la memoria della collettività; di drugstore forieri di progresso; di fermate di autobus dove si compiono scelte.
Seguitemi ancora, vi porto in ogni singola casa: le pareti si dissolvono e appare la cucina, in cui si preparano frittele; si piangono uomini che hanno lasciato la vita o solo la sposa sull’altare; si decide l’organizzazione di un funerale; si rimprovera un bambino che si sporca con il latte; si guardano occhi azzurrissimi nei quali specchiarsi, ogni giorno.
Il viaggio non è finito. Vi porto in ogni singola anima nuda e controversa: un mondo minimo e segreto di felicità, rancore, rimpianto, sincerità e menzogna che, anno dopo anno, cresce e, infine, invecchia. Fino a quando lo spettacolo è finito e cala il nero sipario della morte, a decretare conclusa la commedia di una vita, una fra tante.
Il romanzo di Elisabeth Strout si articola in capitoli che possono apparire racconti, concentrandosi di volta in volta sui singoli abitanti di Crosby, ma c’è un filo che li tiene stretti e che li fa annodare come una rete da pesca: Olive Kitteridge.
Quest’ultima è un’insegnante di matematica che conosciamo alle prese con le lezioni, la gestione della casa, l’incomunicabilità con il figlio preadolescente e l’esasperazione della monotonia del menage coniugale.
Alta, grossa, bruna, intelligente e cinica, per nascondere la propria fragilità, Olive invecchia nelle pagine del libro, diventando una pensionata settantacinquenne che, finalmente, comprende il senso della vita e la preziosità degli attimi vissuti inconsapevolmente, nella errata convinzione che il meglio è sempre altro e altrui.
“Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura, sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi”, dice Olive ai suoi alunni della settima classe e a noi lettori che comprendiamo il perché la protagonista divori biscottini e nasconda fette di torta alla marmellata nella borsa.
Abbiamo tutti fame, una fame insaziabile di amore e di vita, eppure, spesso, il cibo offerto non lo apprezziamo e lo lasciamo sfreddare, nell’indifferenza.
Questo nostro percorso finisce qui, ma, se leggerete “Olive Kitteridge”, preparatevi ad un viaggio nel cuore della storia altrui, che sentirete al punto da riconoscere in essa tracce della vostra.
Written by Emma Fenu