Intervista di Raffaele Lazzaroni al regista Alessio Padovese: vi presentiamo “Bandiza – Storie venete di confine”

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Lunedì 11 aprile allo stimato Cinema Edera di Treviso è stato proiettato “Bandiza – Storie venete di confine”, lungometraggio documentario diretto, prodotto, fotografato e montato dall’esordiente Alessio Padovese, nato nel 1975 a Camposampiero in provincia di Padova.

Alessio Padovese

Un’indagine nata, cresciuta e finanziata interamente al di fuori dell’alveo della distribuzione ufficiale, che si propone di raccontare, senza filtri e senza maschere, una realtà di preoccupante attualità, sfuggente, taciuta o vilmente “accomodata”, ossia confinata, come accennato nel titolo. In passato “bandiza” indicava il limite che divideva due province venete, senza permesso oltrepassando il quale si diveniva “banditi”. C’è chi lo fa ancora oggi, rendendo mortifera questa linea di frontiera.

Padovese e il suo gruppo di preziosi co-autori hanno percorso la regione in lungo e in largo alla ricerca dei numerosi martiri dell’incoscienza di quei governatori, imprenditori, banchieri, provveditori, che per il paesaggio e i suoi abitanti certo non bramano crucciarsi, ponendosi di buon grado sotto l’egida degli “interessi economici ed energetici”: “solo dei barbari possono pensare una cosa del genere”, dichiara qualcuno.

Avveniristici manti autostradali posti su un humus a dir poco nocivo che riducono le aziende padane a francobolli, “fazzoletti di terra” per dirla con Taffarel, in alcuni casi così trafficati da poterci giocare a calcio; progettazioni minimamente avvallate da carotaggi e studi orogenetici che mirano a scavare tunnel sotto ville del ‘700 a costo di rischiare frane, alluvioni, irreversibili danni a siti posti sotto la protezione dell’UNESCO; convegni fitoiatrici in cui le case farmaceutiche promuovono principi attivi sempre più efficaci contro i loro stessi sempre più efficaci pesticidi, ricevendo autorizzazioni e sovvenzioni “senza condizioni”.

Le contropartite comunali, non di rado generose, raramente disdegnano l’elevazione di misteriose e agli atti illegittime strutture che violino le direttive dei piani territoriali regionali, che istighino alla dispersione insediativa, alla morte dei centri storici, dei piccoli negozi, dell’autonoma economia di un numero sempre maggiore di famiglie, dove, fra un pensionato da 358€ al mese e uno stormo di avvoltoi pronti a comprare con poco quello che si è sudato una vita intera, si apre l’abisso del pianto e del rammarico, delle aste e dei sensi di colpa, della disoccupazione e del suicidio.

C’è spazio anche per coloro che sono affetti da sensibilità chimica multipla, da cancri maligni, dolorosamente isolati dagli stessi amici, privati dei figli, delle gioie della socialità, senz’alcun contributo per le spese mediche, afflitti dal timore di dover nutrire una nuova creatura con del latte “corretto alla diossina” e permettere un giorno alla stessa di frequentare una scuola investita giorno e notte da miasmi tossici contro cui nessuna denuncia e nessuno studio epidemiologico paiono saper porre un freno concreto.

Eppure in questa seviziata pianura veneta, cui dal 1970 circa al 2010 sono stati sottratti, senza ritegno per alcuna forma di risparmio ambientale, 220.000 ettari devolvibili all’agricoltura, c’è chi fa ancora il vino per piacere personale, con spontaneità e passione, c’è chi continua a riporre una fiducia incrollabile nella straordinaria ricchezza che un panorama potenzialmente puro come quello in cui vive saprebbe offrire; e c’è chi lotta tenacemente affinché queste indegne barriere dell’anima vengano sradicate e incenerite una volta per tutte.

Bandiza – Storie venete di confine

Se Alessio non avesse abbandonato gli studi letterari e filosofici per mettere a frutto la sua passione per il cinema, forse non avrebbe mai visto la luce l’opera che, riassumendo tutte le esperienze artistiche del passato del suo autore, sta ora assurgendo con umiltà e risolutezza a manifesto di cambiamento determinato e determinante a favore di un territorio che non ha alcuna volontà di giungere alla sua capitolazione in termini di appetibilità turistico-culturale e prospettiva di vivibilità. Riferimento principale e degna ancella dell’intervista cui ho ormai terminato di introdurre è il sito ufficiale dell’opera (rintracciabile in calce al post), dal quale è facile osservare il suo durevole iter propagandistico, così come ordinare, qualora lo si desiderasse, i dvd completi di booklet, interviste inedite e colonna sonora integrale.

 

R.L.: È ormai un anno che assieme ai tuoi collaboratori giri il Veneto diffondendo “Bandiza” e i suoi contenuti. Quasi 80 le proiezioni contate dallo scorso maggio, per un progetto che esce consapevolmente dalla distribuzione ufficiale, autofinanziato e manifestamente controcorrente. Dove risiede l’origine e l’ispirazione di questo tuo esordio alla regia?

Alessio Padovese: L’origine sta nel raggiungimento e superamento del limite umano di sopportazione, quando vivi a 20 metri dal transito di quasi 1.000 tir al giorno e a 500 metri dal passaggio di 50.000 veicoli di cui 10.000 sono tir, a qualche centinaia di metri i fumi nauseabondi di una fonderia e vicino un deposito di scorie tossiche. L’origine è semplicemente il reale, la scenografia che ti circonda, niente di più che una reazione violenta ad essa. Più che “ispirazione” userei il termine “disperazione”, uno stato psichico ed emotivo che permette di vivere con la sensazione certa di non avere nulla da perdere, perché lucidamente sai di aver smarrito l’essenza della vita, il respiro, inteso in tutti i sensi ed accezioni possibili.

 

R.L.: Tra le province di Belluno e Rovigo, Verona e Venezia, sono state accumulate oltre 70 ore di girato, racchiuse ad opera ultimata da quel bambino che lamenta: “Sono stanco di svegliarmi la notte, con i vetri che tremano e fan tremare anche me. […] Mio padre dice che in 6 ore [di tir] ne son passati 382. Ditemi che non è vero.” Quanto si è speso finora per permettere a quest’orda su quattro (e ben più) ruote di vagare incessabilmente nel mezzo della pianura padana?

Bandiza – Storie venete di confine

Alessio Padovese: Secondo una stima parametrica sui costi di realizzazione della rete stradale veneta, attraverso i dati di costo per km di autostrade a 4 corsie e strade standard a 2 corsie con sezione media, comprese le banchine, da 9 a 10,50 m, utilizzando i dati parametrici desunti da una ricerca dello IUAV di Venezia, risulta un costo complessivo di 36 miliardi di euro. Se analizziamo i costi delle opere stradali degl’ultimi anni, comprensivi di tangenti e delinquenza varia, questi 36 miliardi si potrebbero ritenere sottostimati; allo stesso tempo possiamo rilevare che buona parte delle strade esistenti sono state realizzate decenni fa quando i costi erano inferiori. Per cui il valore è chiaramente fittizio e parametrico, ma comunque enorme…

 

R.L.: Un investimento di tali proporzioni è naturale faccia emergere tre quesiti fondamentali. Il primo riguarda l’impatto ambientale: quali le conseguenze che possono essere riconosciute con chiarezza da tutti?

Alessio Padovese: Le conseguenze di un ambiente pesantemente inquinato sono molteplici e riguardano tutte le primarie fonti di sostentamento vitale, l’aria, l’acqua, il suolo, tutti elementi che confluiscono nella necessità principale che l’uomo ha, ovvero il cibo. La catena vitale dunque è compromessa se viviamo in un territorio come quello veneto che è una delle zone più inquinate d’Europa e tra le prime per correlazione fra numero di morti e inquinamento. Nell’aria c’è di tutto, polveri sottili (PM10, PM2,5), sostanze cancerogene dovute soprattutto al traffico pesante su gomma e a cementifici, acciaierie, inceneritori. Nell’acqua ci sono i PFAS, sostanze tossiche altamente cancerogene e mutagene, metalli pesanti e sostanze di varia tipologia dovute agli scarichi di molte industrie e nel suolo c’è tutto l’elenco appena descritto. Gli effetti di questo quadro inquietante sono facili da intuire: malattie e morte. Un dato indicativo è che uno studio ha stabilito che nella pianura padana viviamo 3 anni in meno rispetto alla media nazionale proprio a causa dell’inquinamento, e questo quando va bene, cioè quando si arriva a fine vita in modo quasi naturale; ma in realtà viviamo in una sorta di roulette russa dove chi ha più fortuna continua e chi non ce l’ha perisce prima del tempo e soprattutto prima che sia lui stesso a scegliere di abbandonare questo pianeta. Difficilissimo esprimersi in merito all’arco di tempo che ha visto crescere i costi delle strade, in quanto riguarda tutti i 9600 km di autostrade, strade statali, regionali e provinciali del Veneto…

 

R.L.: Secondo quesito: queste imponenti (e letali, è evidente) opere infrastrutturali sono comunque state autorizzate dall’alto. Quali figure e quante irregolarità vengono celate al popolo?

Bandiza – Storie venete di confine

Alessio Padovese: Eviterei di considerare l’aggettivo “alto” in riferimento a chi prende le decisioni dentro e fuori i palazzi. Sono individui di grande bassezza morale e indole anaffettiva verso coloro su cui ricadono le loro scelte. Le figure che abbiamo scelto di mostrare in “Bandiza” sono il vertice delle istituzioni in Veneto, ovvero i Governatori degli ultimi 30 anni, il simbolo del potere decisionale nella nostra terra, sottolineo nostra; invece questi individui hanno agito come se il Veneto fosse loro, lasciandolo a qualche decina di pseudo-imprenditori che in regime di quasi monopolio, tramite affidamenti spesso diretti, hanno devastato e stuprato il nostro territorio per quei pezzi di carta e moneta sonante che si chiamano denari. Un sistema ben strutturato di politici e imprenditori che in nome di uno sviluppo vecchio di 40 anni continuano a fare soldi a discapito delle vite umane, ed anche oggi, nonostante i dati della camera dei deputati ci dicano che 1 miliardo investito in fossili, quindi catrame, crea fino a 1.000 posti di lavoro e 1 miliardo investito in energie rinnovabili e riqualificazione energetica crei fino a 18.000 posti di lavoro, continuano ad investire in catrame e cemento. La logica matematica è evidente, il rapporto è imbarazzante: ogni miliardo che in regione continuano ad investire in catrame e cemento, anche adesso mentre io scrivo, toglie la possibilità di portare beneficio economico a chi lavoro non ne ha. Ora non si tratta più di scelte dubbie, ma di certezze, di favori ad un settore che è morto da anni. Evidentemente chi decide in regione non lo sa e se lo sa è complice; parafrasando la frase del nostro governatore Zaia, “il veneto ai veneti”… Ormai però dopo questi dati dovrebbe dirci i nomi dei veneti a lui vicini ai quali vuole dare il Veneto.

 

R.L.: L’assegnamento degli appalti e la progettazione di nuovi complessi edilizi non di rado sono caratterizzati da utilizzi eversivi delle leggi che facilmente si concretizzano in veri e propri controsensi, cui poi è arduo porre rimedio. Che posizione prendono a riguardo i protagonisti di “Bandiza”? Come percepiscono, a titolo esemplificativo, la Pedemontana, la camionabile, la Orte-Mestre o il Mose stesso?

Alessio Padovese: La percezione è nitida e semplice, può essere rappresentata da pochi aggettivi: Inutile, Infame ed assassina. 

 

R.L.: E sono aggettivi emblematici: inutile, visto che il Veneto risulta essere tra le regioni (se non la regione) con la rete stradale più fitta e la più alta densità di immobili (semivuoti) d’Italia, di certo non un record di cui gloriarsi; infame, perché a conti fatti questi provvedimenti “in grande” il lavoro lo tolgono, distruggendo i sacrifici di una vita in nome degli “interessi della collettività”; assassina perché sempre più spesso s’impone un vero e proprio termine alla vita biologica, animale e, fatto ben più raccapricciante, umana…

Alessio Padovese

Alessio Padovese: Forse ogni tentativo di aggettivazione può essere raccolto in un unico sostantivo: Follia. La radice semantica latina di questo termine significa “vuoto”: credo che a quest’ultima dovremmo fare riferimento. Le azioni e decisioni politiche di questi individui stanno creando un vuoto in ogni ambito dell’esistenza umana, il vuoto scenografico che deriva dai cubi di cemento sparsi dovunque, il vuoto interno alle persone che rassegnate ed indifferenti accettano passivamente, il vuoto del futuro; un continuo svuotare ogni percezione sensoriale, che si accompagna allo svuotamento delle difese immunitarie, sta portando un cumulo di milioni di persone verso la dissociazione dal legame con il luogo in cui vivono, spaesati nel paese dove sono nati. Sembra di vivere in un ossimoro quotidiano: la follia genera mostri, dicono…

 

R.L.: È innegabile concorra ad un simile esito anche un certo grado di inconsapevolezza, di disinformazione, di anaffettività come accennavi poc’anzi: atteggiamenti che hanno come diretta conseguenza la malattia e la morte. La figura di Sergio, cui sei particolarmente legato, è un emblema perfetto di questa tragedia e permette di enucleare il terzo quesito principale: quali patologie vengono stimolate dall’inquinamento denunciato in “Bandiza”, quali perversi meccanismi le alimentano?

Alessio Padovese: Sergio Gobbi è “Bandiza”, la sua testimonianza è la linea che ti segna la vita, Sergio e’ morto a causa di un tumore originato, per sua stessa ammissione e testimonianza,  con alta probabilità dall’inquinamento ambientale.
E di fonti inquinanti, nel contesto di vita di Sergio, ve ne sono varie, ad esempio quelle provenienti  dalle concerie, dove la “pelle”, oltre a provenire da animali imprigionati in allevamenti intensivi e poi uccisi, costituisce anche la materia prima per un’industria, che è tra quelle a più alto impatto ambientale, e tuttora nessuno fa nulla. Ricordo che Zaia in campagna elettorale si faceva fotografare con questi pseudo-industriali che fanno i “schei” senza considerare minimamnete quanto a rischio possa essere la vita altrui, la vita dei veneti a lui tanto cara., e voglio ripetere testualmente le parole di Sergio: “non trovo giusto che ci sia gente che si sia permessa di prevalere sulla vita degli altri”. Le patologie sono tutte quelle che hanno come complemento di specificazione il termine “mortale”, c’è poco da aggiungere credo. I meccanismi che le alimentano sono tutti correlati alla quotidianità veneta: trasporto su gomma, industrie pesanti altamente inquinanti, agricoltura intensiva e monocoltura, della vite ad esempio. Le colline del prosecco vengono irrorate con pesticidi ed erbicidi cancerogeni che senza alcuno scrupolo raggiungono anche le scuole del territorio, mentre la Regione Veneto non applica alcun principio di precauzione, anzi dice semplicemente che bisogna chiudersi in casa. Gli inceneritori poi fanno aumentare il rischio di cancro fino a 20 volte (secondo uno studio del Registro dei Tumori Veneto), quando in realtà più del 90% dell’indifferenziato può essere riciclato completamente invece di essere bruciato o portato in discarica; ma gli inceneritori vanno alimentati con i rifiuti, altrimenti si spegnerebbero, e Regione e Comuni non lo vogliono evidentemente. I meccanismi sono sempre legati a delle scelte, che fino ad ora si sono rivelate scelte di morte.

 

R.L.: La prevaricazione sulla vita degli altri non si misura solamente in vite rubate: un gran numero di agricoltori sono costretti all’esproprio per lasciare spazio a nuove vie di comunicazione. Come ti esprimi in merito?

Alessio Padovese: Mi esprimo con un dato: dal 1990 al 2010 abbiamo consumato 50 campi da calcio al giorno e il trend degli ultimi anni non è affatto cambiato. Sottrarre ulteriore suolo per costruire “vecchie” vie di comunicazione in catrame conduce solo ad inquinare quei lembi di terra che sono rimasti, “piccoli orti in mezzo alle autostrade”, come dice un protagonista di “Bandiza”. Bisogna sfruttare le vie di comunicazione esistenti per il trasporto merci e urbano su rotaia, bisogna farlo adesso perché è una necessità urgente; nell’ultimo DEFR (Documento Economico Finanziario Regionale) non c’è 1 euro investito in rotaia o su progetti di 30 anni fa come la metropolitana di superficie, anzi si arriva addirittura a scrivere che “il cittadino veneto preferisce l’auto”. Insomma una chiara presa in giro: politici e industriali si accordano per fare soldi col catrame e col cemento, con autostrade e ospedali, dandoti solo la possibilità dell’auto e dicendo poi che preferiamo l’unica possibilità che ti danno, come a dire che i veneti preferiscono curarsi dalle malattie invece che prevenirle; prima ti creano un ambiente che ti ammala e poi ti dicono che preferisci curarti, una forma di dissociazione preoccupante.

 

R.L.: La terra viene imbottita di catrame e polveri sottili, ma anche pesticidi che lentamente la degradano. Tenendo conto che la politica il più delle volte è connivente con tali operazioni, in un futuro che certo vedrà perpetrato l’abuso di fertilizzanti (una denominazione forse non così coerente), quali realtà dovremo affrontare? Per tornare alle parole evidenziate in “Bandiza”, “quel giorno che dovesse finire l’affare del prosecco, cosa faremo di queste colline avvelenate”?

Bandiza – Storie venete di confine

Alessio Padovese: Cosa faremo di queste colline avvelenate? Fossi io a decidere le farei bonificare con vanghetto e rastrello a Zaia e la sua maggioranza, e finché non sono tornate come prima lì devono rimanere, devono restituirci quello che era ed è nostro, dalle loro scelte assurde devono redimerci in qualche modo e questo mi sembra il più appropriato: anche se improbabile, voglio pensare che cosi sarà. Il futuro che deriverà dai fertilizzanti l’ha spiegato bene Gianluigi Salvador in “Bandiza”: “L’aumento della quantità dei nuovi casi di cancro è il doppio delle morti per cancro; qui nella ULSS 7 abbiamo circa 1000 nuovi malati di cancro ogni anno e circa 500 morti, quindi questo differenziale ci porterà un po’ alla volta ad essere praticamente tutti ammalati di cancro”. Una prospettiva agghiacciante, sulla quale ogni commento è superfluo.

 

R.L.: Come valuti l’impatto ambientale nella tua città di residenza?

Alessio Padovese: Uno schifo. Abito a Camposampiero e qui da noi non ci hanno risparmiato nulla. Viviamo contorniati da criticità ambientali di ogni forma: superstrade con 50.000 veicoli al giorno, di cui 10-15.000 sono tir, bretelle stradali che entrano in paese a 20 metri da dove risiedo che veicolano dai 500 ai 1.000 tir al giorno, una fonderia degli anni ‘60 che di aria pura non ne emette (ed è sorto un gruppo petizione chiamato GPC, Gruppo Petizione Casere, che sta chiedendo tuttora di riportare l’aria a livelli umani sistemando gli impianti esistenti, semplici cittadini che si ribellano all’indifferenza di decenni), un deposito di bidoni tossici anch’esso lì dagli anni ‘80, gli argini del Muson che crollano dopo averci costruito proprio a ridosso una zona artigianale (e come se non fosse sufficiente continuano a dare concessioni edilizie a zero metri dal corso d’acqua). Vivo tuttora nell’angoscia, non solo per me, ma per i miei affetti, ho nipoti che sono nati in quest’ambiente e in una fase fondamentale del loro sviluppo si ritrovano a respirare particelle tossiche deleterie per la crescita. Ripeto, è uno schifo. Le parole di Sergio sono ancora emblematiche: “… non c’è futuro, non c’è… perché se continua così qua moriamo tutti di tumore…”.

 

R.L.: In questo desolante panorama che ruolo gioca il tuo film? Puoi raccontare qualche cambiamento concreto comportato dalle visioni sin qui promosse?

Alessio Padovese

Alessio Padovese: Il cambiamento concreto avviene all’interno delle menti di chi vede “Bandiza”, non solo nella forma cosciente comunicata attraverso i dati spettrali contenuti nel documentario, ma soprattutto nella parte inconscia azionata dall’emotività straziante e violenta che emerge dalle immagini. Più che la coscienza credo che la parte delle persone più devastante sia proprio l’inconscio, il quale è spesso un agente potente delle azioni umane e va stimolato secondo me con informazioni sensoriali potenti e laceranti, mai accomodanti. “Bandiza” spero entri come un oggetto concreto in quest’inconscio e lo modifichi a tal punto da portare verso azioni consapevoli. Poi piccoli risultati li abbiamo ottenuti: ad esempio ora Monica, malata di MCS e senza denti da anni, può tornare a mangiare e sorridere grazie ad una protesi che noi di Bandiza Group siamo riusciti a finanziare con parte delle offerte ricevute e tuttora stiamo continuando a pagare. Una prima pietra verso la concretezza è stata posata anche grazie ad alcuni studenti, professori e genitori che stanno tentando di portare “Bandiza” all’interno degli istituti scolastici; abbiamo già fatto una proiezione all’I.T.I.S. Pacinotti di Mestre grazie al rappresentante di Istituto Giovanni Schiavini che lo promuove in tutti gli istituti di Mestre. Ma capita che i presidi non siano consenzienti e blocchino quel moto volontario che gli studenti o genitori hanno: è un fatto molto sconfortante, generazioni a confronto dove quest’ultimo è ancora una volta a sfavore delle generazioni più vecchie che spesso si beano di essere educatori quando in realtà sono complici del disastro in atto. Spero che un giorno i loro figli chiederanno loro conto di queste scelte. Per fortuna esistono anche realtà come quelle dell’Istituto Chilesotti di Thiene, dove genitori, professori e Preside sono concordi nell’inserire “Bandiza” all’interno di un percorso formativo che parte dalla documentazione del reale del film e porti alla creazione di soluzioni che nascano dagli studenti stessi. Un appello: genitori, professori e presidi mostrate il Veneto reale ai vostri figli e studenti, date loro la possibilità di immaginarlo diverso, non nascondete loro l’orrore del luogo in cui li avete fatti nascere e vivere, se non volete o potete salvarli voi lasciate che si salvino da loro; “Bandiza” è una linea che ti segna la vita, lasciate che questa linea di morte venga da loro cancellata e ne traccino una più umana.

 

R.L.: Una domanda che spesso emerge dal confronto col pubblico: come agire affinché il cambiamento prenda avvio da noi tutti, semplici cittadini?

Alessio Padovese: Una delle poche forme di azione che possiamo attuare è cominciare a contarci, nel senso che in fin dei conti le scelte che subiamo sono attuate da poco più di un centinaio di individui, ben divisi tra imprenditoria e politica, mentre chi subisce si conta in centinaia di migliaia di unità. È tempo che quest’ultimi comincino ad urlare la loro rabbia in tutte le forme civili esistenti. Un esempio su tutti: i cittadini di Piazzola sul Brenta, che mentre giravamo “Bandiza” ci hanno contattato ed erano solamente due persone disperate; ora, anche grazie ad una consigliera di minoranza, Sabrina Meneghello, hanno portato il problema all’attenzione del sindaco che aveva autorizzato un impianto a biomassa, che di “bio” non aveva nulla come la maggior parte di questi impianti. Attualmente sono in 300 e assieme allo stesso sindaco stanno bloccando quel micro-inceneritore, nonostante la Regione Veneto continui ad avvallarlo. Ma ormai alle prove di forza di questa maggioranza in Regione non ci stupiamo più, è chiaro che per questi pseudo-politici i veneti non contano granché: contano solo gli amici degli amici, una sorta di clan collaudato. Tra i collaboratori di “Bandiza” ci sono geologi, architetti ed energy manager che girano con me il Veneto per comunicare a voce quelle proposte progettuali che nel documentario non hanno avuto spazio. Tra queste importante è la possibilità di sostituire da domani il proprio gestore e fornitore di energia elettrica con una cooperativa che fornisce solo energia proveniente da fonti totalmente rinnovabili: si chiama E-Nostra e grazie all’associazione Energo Club ci si può iscrivere diventando soci con un investimento minimale di poco più di 100 euro. Se tutti coloro che hanno visto “Bandiza”, circa 10.000 persone, facessero questa scelta, avremmo già messo le basi per una visione sostenibile del Veneto e non solo. Ne approfitto per ringraziare coloro che hanno lavorato assieme a me a “Bandiza”, in modo totalmente gratuito, togliendo tempo al loro lavoro e alle loro famiglie, oltre che investendo anche soldi propri: sono Barbara Simoncini (Responsabile di Produzione e graphic designer), Marco Brugnerotto (Organizzatore generale), Matteo Lebran (Responsabile ricerca e sviluppo energia), Gianantonio Soligo (Responsabile ricerca e sviluppo paesaggio), Thomas Frasson (Responsabile ricerca e sviluppo ambiente) e Roman Testoni (grafica) che ci ha fatto conoscere Amos, il bambino protagonista e narratore di “Bandiza”. Quando incontri nella tua vita persone come loro hai solo voglia di abbracciarle ogni volta che le vedi.

 

R.L.: Ultima incursione nelle grammatiche dell’opera: una restituzione delle testimonianze così distaccata, così attenta a cogliere gli intervistati negli stessi luoghi di cui parlano e si rammaricano, ha una propria specifica ragion d’essere?

Alessio Padovese: Sono state scelte stilistiche impulsive quelle che traspaiono in “Bandiza”: non avevo una sceneggiatura o una traccia scritta ben definita e per cui ho assorbito e subìto tutta l’emotività che emergeva da quei volti, restituendola attraverso dei primissimi piani che permettessero di inciderla in maniera netta ed evidente. Affiancando quei volti alla scenografia devastata del Veneto è emersa tutta l’ansia e l’angoscia che ormai fluttua e vibra di rabbia in ogni molecola dello spazio. Se voglio essere onesto intellettualmente fino in fondo devo aggiungere che, come spesso accade, la tecnica mi ha obbligato entro limiti che non sopporto, ma che c’erano durante le riprese, ovvero ad avere una strumentazione ottica limitata: quel che ho fatto è stato sfruttare le lenti che avevo a disposizione. “Bandiza” è un progetto che più che da un idea di fondo è sostenuta da una disperazione personale che nel tempo si è trasformata in pulsione continua, e che spero ora pulsi nella mente e nell’inconscio di chi il film lo vede.

 

R.L.: Prima di “Bandiza” quali altri progetti hai curato?

Alessio Padovese: A 30 anni circa ho provato ad autoprodurre un mediometraggio in pellicola 16 mm che avevo titolato “L’altrui mio sguardo”, un progetto colmo di lacune per quanto riguardava la produzione e post produzione, ma che è stato davvero formante sotto ogni aspetto e che mi ha dato la possibilità di incontrare Andrea Foschi, a mio parere uno dei più promettenti direttori della fotografia e non solo, il quale però ha lasciato troppo presto questa vita (e in queste righe voglio ringraziarlo e ricordarlo con tutto l’affetto che gli devo). Un’altra esperienza di produzione documentaristica è stata “David & Golia”, un progetto di Luca Gherlenda in collaborazione con la Thames Valley University of London che riguardava un piccolo paese in provincia di Vicenza, San Pietro di Rosà, dove c’era una zincheria che aveva sotterrato materiale tossico nel suolo proprio a pochi metri dalla zona dello scandalo del cromo esavalente a Tezze sul Brenta, i primi sentori di Bandiza che si ripercuotono tuttora sul territorio: sembra un eterno ritorno ritrovarsi dopo anni sulle stesse orme, come se nulla fosse cambi o peggiori addirittura. Poi la finzione, con 2 progetti di lungometraggio il cui sviluppo è stato finanziato dalla Film Commission Veneto. Per il primo, “Oltre il fiume”, mi sono occupato di strutturare il bando di finanziamento e seguire un po’ la pre-produzione; ma l’ho abbandonato presto perché non lo trovavo interessante. Mentre il secondo, “I Piani Eterni”, nasceva dal libro di Sebastiano Vassalli “Marco e Mattio”, dal quale ho tratto molto liberamente una sceneggiatura (più che dal libro mi sono ispirato alla vita tormentata del protagonista Matti Lovat, uno dei primi casi di malattia mentale o così definita tale); in questo progetto ho ricavato un piano di produzione che includeva anche un filmato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nello spazio della Regione Veneto. Poi il vuoto fino a “Bandiza”.

 

R.L.: Cosa ci riserba la filmografia del futuro?

Alessio Padovese: Un documentario girato tra Spagna e Italia del quale posso comunicare poco (approfitto di una tipica dicitura cinematografica: “top secret”); un lungometraggio ambientato sempre in Veneto che ricalchi i luoghi di “Bandiza” e ne estragga l’emotività che da essi scaturisce. Entrambi sono ancora in fase di sviluppo e ricerca fondi. Il progetto più grande rimane sempre quello di riprenderci il respiro, qui in Veneto ed altrove, progetto ambizioso per il quale non basta un solo regista ma centinaia, forse migliaia, anzi centinaia di migliaia di registi, veneti, che dirigano il loro futuro da sé senza più subire le scelte di individui disumanizzati. È un’impresa, ma la sceneggiatura è pronta, sta tutta dentro “Bandiza”, mancano ancora gli attori: li troveremo, nel tempo, ma li troveremo.

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

Info

Sito ufficiale di “Bandiza”

 

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