“Joy” di David O. Russell: come Jennifer Lawrence salva uno script promettente ma agli atti ridondante

Lo statunitense David O. Russell torna a costruire un film attorno a quella che ormai si può definire la sua attrice feticcia, ossia la 25enne Jennifer Lawrence, che dalla prima fino a questa terza collaborazione non ha mai mancato la nomination agli Oscar (tramutatasi in vittoria nel 2013 con “Il lato positivo”).

Joy

Joy” è la storia vera di una giovane donna, madre di due bimbi, divorziata, ospitante in casa sua una madre la cui unica ragione di vita sembrano essere le soap opera, l’ex marito Tony e l’“intruso” col quale da un giorno all’altro è costretto a condividere il seminterrato, il di lei padre Rudy.

Le sue giornate sono scandite da ogni tipo di sventura, un vero e proprio caos (o “hustle”, se si preferisce) in cui si accumulano gli interminabili danni provocati dall’inadeguatezza delle persone che la circondano, incapaci di vivere in modo sano e propositivo e di rivolgere il cuore alle attenzioni che lei applica senza posa ai loro “bisogni”.

Nel mezzo di questa tutt’altro che auspicabile esistenza viene illuminata da un’ennesima intuizione, l’ultima di una lunghissima serie che fin da bambina coltiva nella sua immaginazione, senza però mai aspirarne una concretizzazione, un brevetto. Perché non venire incontro a quell’inesauribile schiera di casalinghe che ogni dì devono mettere le mani su quegli sporchissimi strumenti utilizzati per lavare i pavimenti? Cosa accadrebbe se quell’unica matassa di cotone potesse auto-strizzarsi, essere pulita in lavatrice e ritornare pronta all’uso per un indeterminato numero di volte?

Materializzato il prototipo, comincia il calvario più estenuante che Joy potesse immaginare, dettato dalle deprecabili condizioni economiche in cui versa, dalla ritrosia dimostrata dalla nuova ricca compagna del padre, dalla mancanza di professionalità di chi è considerato un leone nel campo della promozione pubblicitaria, dall’avarizia e da un’intricata serie di frodi che vogliono parassitare una neonata impresa al fiuto di un’ondata di proventi mai così a portata di mano.

E in questa lunga e frustrante sfida contro tutto e contro tutti, la nostra aitante Jennifer Lawrence si fa unico, credibile, caparbio timoniere, attirandosi con efficacia il sostegno morale del pubblico, il quale, vedendola così “Cenerentola” in mezzo a tante esili figure che nel loro paradossale ed infantile egoismo più volte cedono al kitsch (spiccano in tal senso la Trudy di un alquanto invecchiata Isabella Rossellini e la Terry di una truccatissima Virginia Madsen), riesce ad appassionarsi alla vicenda se sorvola questo stile gonfio e insistito badando alle incredibili traversie della protagonista, oppure se tenta di giustificare questa dimensione alienante facendola confluire nel ritratto di una fattualità autenticamente sconcertante, e pertanto non esageratamente sopra le righe.

Joy

Chi riesce comunque a discostarsi con classe da questa sconsigliabile scelta interpretativa, parzialmente imposta da un copione più grezzo dei precedenti firmati dal regista stesso, sono poi gli immancabilmente affascinanti Bradley Cooper (magnetico produttore del canale televisivo dove viene tenuto a battesimo il nuovo mocio) e Robert De Niro, che seppure non sfugga ad un ruolo tendenzialmente detestabile, riesce a condurlo ad un’esasperazione stavolta efficace, degna di un grande epigono hollywoodiano.

Il risultato sul piano qualitativo è apprezzabile nella sua interezza e purtuttavia modesto se messo a confronto con la parabola filmografica più felice di O. Russell (2010-2013), come modesti si sono rivelati gli incassi (che ad oggi ancora non hanno doppiato le spese di produzione). Rimane il desiderio di veder tra le mani della giovane diva un carattere compiutamente drammatico che le consenta di entrare negli annali delle interpreti più memorabili. Una curiosità: fra i produttori esecutivi compare anche la Joy Mangano del mondo reale.

 

Voto al film

 

 

Written by Raffaele Lazzaroni

 

 

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