Il taccuino del giovane cinefilo presenta “Il ponte delle spie” di Steven Spielberg
A tre anni dal memorabile “Lincoln”, che fruttò a Daniel Day-Lewis la terza statuetta dorata, l’inossidabile Steven Spielberg torna in sala col primo di una serie di (almeno) quattro film prodotti a breve distanza (“Il gigante gentile” arriverà nel 2016, “Ready Player One” e “It’s What I Do” nel 2017); torna peraltro ad attingere al consueto, immenso patrimonio della storia contemporanea, dopo numerose incursioni nei mondi della fantascienza, dell’avventura e persino dell’animazione (suo lo strepitoso “Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno”, 2011).
“Il ponte delle spie” è un intenso dramma a sfondo bellico, intessuto sulla palpabile tensione che correva negli anni ’50 e ’60 fra Stati Uniti e Unione Sovietica, quando i rispettivi arsenali militari erano pronti a sganciare testate termonucleari i cui devastanti principi di funzionamento venivano allora illustrati pressoché in ogni scuola. Viene allarmato anche il figlio di James Donovan (Tom Hanks), avvocato di Brooklyn assegnato alla difesa del colonnello Rudolf Abel (Mark Rylance), formalmente un innocuo pittore… presunta spia d’oltreoceano.
L’America intera trascinerebbe quest’uomo alla sedia elettrica, e pur di scongiurare pericolose fughe di informazioni i tribunali seguono procedure affrettate, senza affatto disdegnare i benefici di qualche broglio costituzionale, che però non scoraggiano Donovan, il quale, anche a costo di mettere a repentaglio la sicurezza della famiglia, avanza imperterrito nella ricerca della verità e della salvaguardia dei diritti che ogni uomo sulla faccia della Terra dovrebbe avere l’autorità di reclamare, in discredito di qualunque eroico suicidio tattico al cianuro di potassio.
Col passare dei mesi sullo scacchiere internazionale vengono mosse pedine sensibili, e la cattura del pilota statunitense Francis Gary Powers, in perlustrazione sopra i confini settentrionali della Turchia per conto della CIA, in concomitanza all’incarcerazione a Berlino Est di un innocente studente tedesco di economia, apre le porte ad un possibile negoziato, uno scambio fra superpotenze, nel quale la Germania farebbe da anello di congiuntura.
Il compito di cui viene incaricato Donovan riguarda il recupero del solo cittadino americano, ma la caparbietà e le duttili capacità diplomatiche che lo rendono saldo e al tempo stesso umile paladino al sostegno della dignità umana lo spingeranno a rischiare il tutto per tutto pur di restituire ognuno alla propria terra, contro ogni montatura e minaccia straniera o patria, conscio di aver raggiunto assieme al suo cliente la nomea di uomo più odiato negli States.
Spielberg, forte del copione fornitogli dai fratelli Coen e Matt Charman, costruisce con rinnovata maestria un affresco maestoso che incrocia quattro vicende diverse accomunate dall’odiata fredda opposizione fra nazioni, in cui spiccano due “uomini tutti d’un pezzo”, l’incessabilmente espressivo Tom Hanks, che dipinge il suo Donovan fautore delle “ragioni del cuore” (e in piena legittimità, viste le oltre 9000 persone salvate grazie alle sue trattative), e l’imperturbabile Mark Rylance, attore di formazione squisitamente teatrale, specchio limpido di un essere umano che si sente innanzitutto artista, sensibile allo spessore non trascurabile che l’arte in sé può acquisire, al di sopra dei gorghi politici, anche in tempi così bui (ascolta alla radio il Secondo Concerto per pianoforte di Šostakovič), sereno nello suo stoicismo che radia la preoccupazione dal suo stile di vita.
Il ponte in questione è una congiuntura solidale, uno dei tanti resi percorribili da “artigiani dell’anima”, che sanno opporsi alle mura divisorie erette dai popoli, nei tempi passati come oggi, i cui cecchini son pronti a sparare a vista invece di accogliere i fratelli e gli amici dell’altra sponda.
Il regista, avvalendosi ancora una volta di un team tecnico formidabile, ospitante per la prima volta il talentuoso Thomas Newman in veste di compositore (sostituto del fedele John Williams di salute ormai cagionevole), soddisfa sia il pubblico (che restituisce più del triplo di quanto sia costato il lungometraggio, 130 VS 40 milioni di dollari), sia la critica, la quale sembra propensa a ricompensare tale notevole fattura attraverso copiose nomination agli Oscar.
Voto al film
Written by Raffaele Lazzaroni
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