Intervista di Elisa Longo a Paolo Zanardi: in ricordo di Remo Remotti
Roma. Ci ha lasciato il 22 giugno 2015 uno degli ultimi romani della Roma moderna, emblema di una spiccata romanità e di un savoir faire tutto pittoresco: l’addio a Remo Remotti, classe ’24, poliedrico artista, è stato celebrato in Campidoglio, nella sala del Carroccio, il 24 giugno.
Il funerale, nella Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo.
Tra i primi a rendere omaggio, l’Assessore alla Cultura di Roma Capitale Giovanna Marinelli e l’ex Sindaco di Roma Rutelli, suo grande amico.
Tra gli artisti presenti Nanni Moretti, con il quale Remotti collaborò in diversi film, Maurizio Mattioli, Enrico Brignano, Max Giusti, Max Tortora, Giobbe Covatta.
Oggi parliamo di lui con un altro grande artista, rimasto nella penombra e al margine della biografia di Remotti.
È con lui che Remo ha vissuto l’ultima parte della carriera artistica: Paolo Zanardi, cantautore di origine pugliese, classe ’68, viene menzionato in un trafilo della pagina Wikipedia dedicata a Remotti, senza sapere che di cose da dire ne ha moltissime.
E.L.: Paolo, come nasce questa amicizia con Remo ?
Paolo Zanardi: Da un casting. Un cortometraggio di un mio amico con il quale avevamo vinto il Premio Sacher di Nanni Moretti (un premio che ora non esiste più, ndr) grazie al quale al vincitore veniva donata l’attrezzatura cinematografica insieme alla pellicola e gli assistenti al lavoro. Ne avevo sentito parlare di questo tipo..Lo avevo conosciuto molti anni prima, quando non vivevo a Roma, nella cucina di mia madre, quando, la mattina, vedeva le repliche del Costanzo Show. Mi alzavo tardi, ancora riuscivo a dormire! e vedevo sulle poltrone di Costanzo questo che parlava da solo sul palco e Costanzo si ammazzava dalle risate! Mi sembrò un tipo pazzesco. Quando son venuto a Roma, ebbi il primo contatto con la casa discografica di Roy Paci e Sante Calvaresi “Etnagigante” che lavorava con la band Recycle e parlando con loro spiegai del mio cortometraggio e chiesi se conoscevano questo tipo anziano: “Ma chi? Remo Remotti”, risposero; scoprii che era amico di questa band, che aveva musicato MammaRoma, e chiesi il suo numero. La telefonata fu così: “Salve signor Remo, la vorremo invitare..” “Con estremo piacere” rispose, bofonchiando. “Ma io non ce tengo ai soldi, ma du lire me le dovete dà”, disse, con quella voce roca; “Veramente noi saremo senza budget” “Va bene, io ho un’agenzia, richiamatemi”. Lo richiamai dopo un paio di giorni, abitava a Piazzale Clodio, quindi, per me, dall’altra parte di Roma. Andammo in questo bar dove avevamo l’appuntamento e mi portai dietro la sceneggiatura e una mia amica. Ci sedemmo al tavolo e lui prese un caffè d’orzo e mentre parlava mi accorsi che aveva al collo una piastra con su scritto nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, come le medaglie che si mettono ai malati psichiatrici.. Guardò la mia sceneggiatura ma in realtà si fissò a guardare il seno della mia amica e, per la distrazione, buttò tutto il caffè all’aria, inondandomi una camicia bellissima che indossavo. Già sapevo che era un tipo eccentrico, ma non a quei livelli! Era pazzo come un cavallo! Si prese la mia sceneggiatura e dopo due giorni lo chiamai “Ciao fratello, ho letto la cosa che mi hai dato. Caruccia…ma questo è un film di figa!” affermò. Effettivamente, era una love story ma questa definizione divenne un classico da ripetere. In fin dei conti, accettò e andammo sul set, a San Lorenzo. C’erano dei problemi tecnici, e dalla terrazza in cui ero con la troupe sentii urlarmi “‘A Paolo, annamosene da qua, questi nun sanno lavora’!”.
E.L.: Quanto tempo avete lavorato insieme?
Paolo Zanardi: Abbiamo lavorato insieme al 2006, quattro anni pieni. Abbiamo fatto tantissimi spettacoli insieme, in tutta Roma e in varie parti d’Italia. Aveva molti estimatori nel mondo musicale, Jovanotti lo adorava ma anche il bassista degli Afterhours. Era un rocker! Se Remotti fosse nato in America, sarebbe stato un beat di quelli celebrati, indipendente. Ma qui in Italia non è stato così! Io invece ci credevo veramente. I miei amici lo conoscevano e da lontano lo consideravano importante; quando, poi, si avvicinavano a quello che era il suo personaggio tendevano a vederne i suoi difetti dimenticandosi del valore che aveva per sé e per gli altri. Questo è un modo di fare tipico delle persone volgari. Invece io pensavo che fosse un grosso personaggio.
E.L.: E poi come è cominciata la vostra collaborazione a teatro?
Paolo Zanardi: Era il 2002, in primavera. Un giorno andai casa sua e vidi sulla sua scrivania tanti fogli scritti a mano tra cui “ La figa non vale più un cazzo”. Così, gli proposi di fare spettacoli in giro insieme, usando i suoi testi e il mio accompagno con la chitarra. Ai primi spettacoli non si presentava nessuno. Una delle prime volte sul palco insieme mi permisi di chiedere una scaletta: mi rispose “Annamo così, alla buona, come dei figli di puttana!” Improvvisammo da subito. Poi ingranammo ed erano sold out. Io suonavo la chitarra elettrica, a volume troppo alto per i suoi gusti e allora mi strillava “Io non te pago!”. E la gente pensava che fosse uno sketch; così come tutte le volte in cui, stanco di aspettare l’inizio dello spettacolo, saliva da solo sul palco e cominciava a urlare il mio nome “Quell’alcolizzato di Paolo Zanardi, quel figlio di puttana della Puglia” e così la gente si avvicinava al palco.
E.L.: Nessuno parla del fatto che hai prodotto i suoi album musicali.
Paolo Zanardi: Trovai una persona a S. Cesareo che poteva registrare i brani di Remo. Insieme, in macchina, andammo, a mie spese, a lavorare. Ho prodotto, cioè musicato ed arrangiato, Canottiere, il primo disco, e parte del secondo “In voga”. Un anno dopo, Remotti mi disse che aveva trovato un pezzo forte della discografia, ma che dovevamo fare una riunione preliminare con il figlio di questo pezzo grande. “I figli di” sono spesso degli idioti. Infatti voleva modificare tutti i pezzi. Io mi incazzai e, al secondo Martini dry, Remotti cominciò ad alzare la voce con me, per zittirmi e non creare tensione. Ma alla fine andò tutto bene. Un anno dopo ho prodotto un altro disco. Molti hanno conosciuto Remotti, ma se non avessi prodotto quei dischi non ci sarebbe stata traccia alcuna dei suoi lavori musicati e nessuno gli dava il merito che meritava.
E.L.: Durante una serata mi hai confidato che ti piacerebbe scrivere un libro sulla vita di Remo, lo confermi?
Paolo Zanardi: È vero, sarebbe da scriverci un libro. Se fossi uno scrittore, avrei tanto da dire. Ma è un’idea. Non è sfogata, per ora, in un progetto.
E.L.: Raccontaci un aneddoto particolare
Paolo Zanardi: L’ultima volta che ci siamo visti era a San Benedetto del Tronto, lui stava peggiorando. Mi aveva richiamato 7/8 anni dopo affinché io potessi fargli da accompagnatore durante uno spettacolo. Il locale era un altro posto squallido, senza amplificazione, non c’era neanche l’asta del microfono. Mi ubriacai sconciamente per la depressione in cui caddi per l’idea che ancora continuavo a fare quei lavori di scarso livello. Il bed and breakfast aveva una scala d’accesso alta, ripidissima. Tornando in albergo, mi reggevo a fatica e così, a metà scala, caddi in maniera rovinosa col rischio di perdere la vita. Mi risvegliai nel letto verso le 3 di notte, completamente pieno di lividi. Il letto era singolo, stretto e dal disorientamento scivolai a terra. Nel tragitto per arrivare in stazione in macchina io rimasi in silenzio. Remotti si imbarazzava molto quando ero incazzato. Cominciò a parlare male di me, per riattaccare bottone. Perdemmo il treno e il ragazzo che guidava si offrì di accompagnarci a Roma. Durante il viaggio, Andrea Rivera chiamò Remotti che cominciò a parlare male di me “Ieri sera me pareva morto, salivamo le scale poi è caduto, e non se moveva” Poi si è girato con il suo sguardo da bambinone mi disse: “Sei uscito poi stanotte!”. A quel punto ho cominciato a ridere: io non ero uscito, ero caduto dal letto! Quando lo racconto, la gente non ci crede. Ti immagini il vecchietto che non dorme la notte e si alza per controllare che sto bene?
E.L.: Cosa ti rimane di lui?
Paolo Zanardi: Non lo vedevo da un bel po’. Non ci siamo mai visti fuori dal lavoro. Ma il prete che lo conosceva bene, ha detto, nell’omelia, che Remo avesse l’abitudine di andare a pregare ogni sera. Certo, in modo stravagante ma mi ha ricordato una frase che mi diceva spesso: “Tu sei una di quelle 30 persone per cui prego tutte le sere”. Era vero, il prete lo ha confermato. Pur essendo un borghese di nascita, era un antiborghese. Dal punto di vista umano, eravamo molto complici. Come si faceva a non volergli bene? Ad alcuni il suo modo non andava a genio. Remotti era un bambino. Pazzo come un cavallo. A questo punto, paghiamo la birra e il caffè e andiamo via. Chiudiamo il capitolo. Non c’è e non ci sarà un altro Remotti. E di Paolo Zanardi, parleremo nella prossima puntata.
Written by Elisa Longo
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