Raif Badawi: il blogger attivista saudita arrestato e condannato a mille frustate per le opinioni espresse

Tra il silenzio complice della comunità internazionale, continua la campagna repressiva del regime saudita contro ogni forma di opposizione interna.

Raif Badawi

Raif Badawi, è un blogger, attivista saudita e fondatore del sito “Liberali sauditi”, arrestato nel 2012 e condannato a 10 anni di carcere e mille frustate per aver esercitato il diritto alla libertà d’espressione fondando un sito per il pubblico dibattito. Anche se le frustrate sono simboliche ovviamente condannare qualcuno per opinioni espresse è da ignoranti e arroganti.

Ma la controparte della libertà di potersi esprimere non è l’Islam, ma il terrorismo, l’integralismo e l’arroganza di chi governa l’Arabia Saudita. Nell’Islam un valore importante e imprescindibile è quello della libertà di parola, usata non per fini politici o propagandistici, ma per una maggiore apertura della società.

Il Corano, in questo senso, valorizza e incoraggia il potere e la libertà d’espressione con versi diretti e concisi.

Il primo verso coranico rivolto al profeta Muhammad fu quello di recitare, leggere: “Leggi nel nome del tuo Signore”. La prima istruzione, dunque, non fu quella di uccidere, lottare, combattere o punire (che sono tutte misure difensive per respingere gli aggressori di fede, territorio, intelletto, dignità, progenie e proprietà). La Sura 68 del Corano si intitola “Al-Qalam” (Il calamo, cioè la penna) e si apre con questo versetto: “Per il calamo e per ciò che essi scrivono”.

Raif Badawi

Nella Sura 96 del Corano si trova un altro riferimento all’alto valore conferito al potere della penna, simbolo della libertà di esprimersi: “[Il tuo Signore] ha istruito tramite il calamo e ha insegnato all’essere umano ciò che ignorava”. Scrivere e ragionare sono tutte parti e rami del modo di vivere su cui si basa l’Islam. Nella Sura 55 troviamo “Il Misericordioso ha insegnato il Corano. Egli ha creato l’uomo; gli ha insegnato ad esprimersi”.

La filosofia morale d’insegnamento di numerose prescrizioni coraniche che danno potere alla penna, alla conoscenza e al ragionamento, sembrano oggi perse in un cumulo di ignoranza ed oscurantismo che sta consumando molti.

Troviamo allora religiosi che sottoscrivono il potere politico a spese della libertà di parola e di una interpretazione razionale del Corano. Questo ovviamente per non dare spazio ad una comprensione che sottragga i musulmani dal giogo dell’oppressione che ne sta consumando la gioventù (vedi Raif Badawi). Un’interpretazione originale e tollerante dell’Islam, difatti, promuoverebbe la causa della giustizia sociale, della libertà di pensiero e della tolleranza, tutti concetti in linea con l’Islam, ma che non fanno comodo a tanti.

Raif Badawi - condanna frustate

Prendendo come esempio l’Egitto (dove nacquero le più differenti ideologie) alla fine degli anni Settanta, la maggior parte dei musulmani erano tolleranti. Chi si dichiarava apertamente “non credente” non aveva problemi. Negli anni Trenta, per esempio, fu pubblicato un famoso libro intitolato “Perché sono ateo?”, di Ismail Adham. Fu distribuito e venduto, senza alcun tipo di problema o ostilità. La reazione fu che un altro autore, questa volta molto religioso, replicò con un altro libro: “Perché credo in Dio”.

Questo significa che non è l’Islam in quanto tale a permettere e legittimare una visione fondamentalista ed integralista della società, precludendo il diritto di esprimersi. Anche allora si era musulmani.

Il problema trova la sua principale origine nel wahabismo, esportatoci dall’Arabia Saudita. Questa è la vera base ideologica del terrorismo. I wahhabiti considerano infedeli non solo chi mostra differenti visioni religiose, ma anche gli stessi musulmani liberali che non condividono le loro idee: anzi i musulmani progressisti sono anche più odiati, perché possono avere un’influenza maggiore su altri musulmani. Questa “innovazione” (nella concezione negativa della parola) dell’islam a livello ideologico più che religioso è nata proprio nell’Arabia Saudita del 1700. D’altronde è risaputo che anche i wahhabiti sono tra i principali sostenitori di organizzazioni terroristiche, tra cui l’Isis.

Raif Badawi

Oggi Occidente e media condannano per esempio un Paese come l’Iran, che non ha mai praticato queste pene e che invece sostiene il dialogo e il confronto tra le varie comunità musulmane e non.

Così dal 17 giugno 2012, Raif Badawi è detenuto nel carcere di Briman, a Gedda. Il processo a suo carico è stato viziato da irregolarità.

Amnesty International (organizzazione indipendente per la difesa dei diritti umani) ha adottato 12 prigionieri di coscienza in Arabia Saudita: Suliaman al-Rashudi, Abdullah al-Hamid, Mohammed al-Qahtani, Abdulaziz al-Khodr, Mohammed al-Bajadi, Fowzan al-Harbi, Abdulrahman al-Hamid, Saleh al-Ashwan, Omar al-Sa’id, Loujain al-Hathloul, Waleed Abu al-Khair e il più noto di loro, Raif Badawi.

La seconda sessione di fustigazione era prevista per il 12 febbraio 2015 ma è stata fortunatamente rinviata per motivi sconosciuti. In attesa di positive novità firmiamo la petizione contro i reati di opinione.

 

Written by Amani Sadat

 

http://youtu.be/-w94Y_oD1hg

 

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6 pensieri su “Raif Badawi: il blogger attivista saudita arrestato e condannato a mille frustate per le opinioni espresse

  1. Nella surah LXVIII, la penna è nominata solo nel titolo e nel primo versetto:
    “Giuro per la penna e per quello che scrivono gli angeli sulla tavola custodita”.
    Da questo primo versetto pare che si alluda alla penna, non degli uomini, ma degli angeli, che son quelli che scrivono la “tavola custodita”. Il Corano? Chiamato “tavola” a somiglianza delle tavole della legge affidate a Mosè, tavola che poi è similmente affidata a Maometto tramite il quale vien fatta scendere tal quale dal cielo sull’umanità senza nessuna mutazione, neanche da parte del Profeta, senso questo in cui andrebbe intesa la parola “custodita”?
    Se così è, questa surah non è di permissione e tanto meno di esortazione a scrivere liberamente ciò che si pensa, ma, come s’intende dal seguito, da tutto il seguito, è di ammonimento a che nessuno osi scrivere né sulla “tavola custodita”, né altrove contro essa o a pro di essa, ché quelli che l’oseranno saranno giudicati miscredenti, dato che solo Dio “sa meglio di chiunque chi si allontani dalla sua via, ed egli sa pure meglio di chiunque quelli che si lasciano guidare”. Quella tavola è solo un corano, vale a dire un testo da recitare qual’è, senza interpolazioni o mutamenti, come ora si fa nelle scuole coraniche, d’onde escono i talebani, che Allah li benedica e li benefaccia. Neanche Maometto dunque può farne, lui che pure è il tramite per il quale il libro vien calato dal cielo, ed a lui solo “darà Dio una mercede ininterrotta”.
    Anche la surah XCVI nomina il calamo solo al quarto verso, dopo aver dato ordine chiaro di recitare soltanto il libro, che è un corano, cioè un libro da recita (non nominato ma chiaramente sottinteso). E dunque anche questa breve surah è ammonimento e non permissione o esortazione, tanto più che pare sia rivolta contro reali nemici del Profeta, che ne scrivevano accusandolo e minacciandolo. Perciò se Dio “è colui che ha insegnato a servirsi del qalam”, bisogna intendere nel senso che ha insegnato ad usarne per scrivere in lode del servo di Dio, non per accusarlo di menzogna, perché sarebbe menzogna ogni altra cosa che scrivessero di lui fuor di lode.
    Anche nella surah 55 si dice una sola volta, al verso 3, che Dio, creato l’uomo (v. 2), “gli insegnò ad esprimersi chiaramente”. Poi subito compare una proibizione al verso 7 che, avendo il sesto affermato indiscutibilmente che Dio “ha elevato il cielo e istituito la bilancia” (per dire che quanto di bello ed alto esiste e può esistere è già creato da Dio, il quale ha altresì stabilito quale sia l’equità e perciò non tocca all’uomo mettervi bocca o penna che sia), ordina inequivocabilmente: “guardatevi dal trasgredire, riguardo alla bilancia”, il che allude certo al concreto comportamento, ma non si può escludere che sia anche un divieto a discuterne oralmente o per iscritto, il che, d’altra parte, è deducibile anche da una sorta di ritornello intercalato tra i versi: “Ora quale dei benefizi del vostro Signore negherete voi, o uomini e ginn?”, essendo implicito che negare o discutere in qualche sua parte la giustizia divina, espressa nel Corano, significa negare qualche suo beneficio giustamente concesso.
    Domenico Alvino

  2. Nella sura LXVIII del Corano, Il Qalamo cioè la penna è il titolo della sura e il primo verso dice questo ripeto ” Nûn. Per il calamo e ciò che scrivono”.. Allah ha assegnato due angeli ad ogni uomo, uno alla sua destra che annota il bene che esso compie e uno alla sua sinistra, che registra il male;( ma questa è un interpretazione formale), oltre ad accennare a queste angeliche presenze e alla loro funzione, il versetto richiama l’attenzione sull’importanza del calamo, strumento di conoscenza e di diffusione della conoscenza…

    Questa frase “Giuro per la penna e per quello che scrivono gli angeli sulla tavola custodita”, non capisco dove l’ha letta o come l’ha tradotta non è nella sura del Qalamo si sbaglia.

    Il Corano è un documento piuttosto elastico, complesso da interpretare, ci sono versetti concisi e diretti e altri non così espliciti.
    Lei ha dato una sua interpretazione sulla quale io non sono d’accordo ma ci tengo a dire che quello che chi legge il Corano trova nelle sue pagine, dipende spesso da quello che cerca.

    Uno dei pilastri fondamentali del Corano è il concetto del ILM ovvero della conoscenza. E’ un concetto ripetutamente sottolineato in tutto il Corano. La parola ILM, infatti, è ripetuta nel Corano più di qualsiasi altra parola fatta eccezione per la parola dio o allah.
    Dio mette in rilievo e dà valore alla conoscenza perche è questa che ci rende esseri umani, che ci rende liberi. Conoscere significa anche avere il potere di criticare o farsi un’idea propria rispettando quella dell’altro.
    Nell’Islam vi sono 4 scuole giuridiche ed ogni scuola dà la propria interpretazione con spiegazioni e confronti. Queste scuole non sono il risultato dell’aver preso semplicemente il Corano e averlo letto, recitato ma sono frutto di preziose ricerche letture, interpretazioni, studi , sono un patrimonio prezioso. Dio ci ha creato ci ha dato una testa, una coscienza e il libero arbitrio di scegliere che strada prendere in base alla nostra conoscenza e interpretazione delle cose.

  3. Io ho chiaramente precisato che “Giuro per la penna e per quello che scrivono gli angeli sulla tavola custodita” è il primo verso della surah LXVIII (sessantotto), La surah della penna, perché fa finta di non averlo letto? E il testo dal quale attingo non è un qualsisia testo chi sa da chi tradotto, ma è nientemeno IL CORANO, NUOVA VERSIONE LETTERALE ITALIANA, con note critico-illustrative del Dott. L. BONELLI, già direttore del Regio Istituto Orientale di Napoli. SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA E MIGLIORATA. EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO 1965. Lo conosce l’Istituto Orientale di Napoli, dove si studiano e s’insegnano le lingue, le culture e le letterature orientali, fra le quali primeggia senza dubbio l’arabo e la cultura che l’invera e la esalta? Il Bonelli ne era stato già professore titolare, e con tutto il sapere e l’esperienza accumulatavi, del Corano aveva curato anche il testo arabo, “con tavole di concordanza per la divisione in versetti e un indice analitico”. Perciò non si può dire né pensare che fosse un inesperto e che avesse male interpretato. Bisogna vedere la cura scrupolosa con la quale segue il testo arabo, riportandovi tra parentesi, ogni volta che se ne allontana anche di poco, la traduzione letterale, indicata con una l., o svelandovi il sottinteso, indicato con un i. e. (id est) quando c’è, per una più sicura ed attrezzata intelligenza. Per es., ancora in questa surah, v. 19: “Un flagello (l. un aggirantesi) da parte del tuo Signore avvolse allora quello (i. e. il giardino) mentre essi dormivano”.
    Perciò la mia fonte è più che certa e fidata.
    Piuttosto dica lei dove ha preso ciò che dice di aver letto nelle surah LXVIII? In quella surah non c’è nulla di simile. Perché fa queste affermazioni? E poi, è vero o non è vero che nelle scuole coraniche il Corano è solo recitato (la parola ‘Corano’, in arabo, significa appunto ‘recitazione’) senza nessuna interpretazione, la quale è espressamente e severamente vietata, p. es. nella surah XL (quaranta) che ha per titolo “La surah del Credente”, che dichiara in incipit, con un tono di assoluta indiscutibilità “Questa è la rivelazione del Libro, da parte di Dio, il potente, il sapiente”, e, con altrettanta indiscutibilità e consequenzialità, dichiara al v. 4: “Non disputano sui segni di Dio se non quelli che non credono”, e al v. 37: “[Coloro che disputano intorno ai segni di Dio (e i segni di Dio, è detto più volte, sono, primi fra tutti, quelli del Corano), senza che alcuna autorità sia giunta loro] quelli saranno in grande abominio presso Dio e presso coloro che credono. Così imprime Dio il suo suggello sul cuore di ogni orgoglioso e prepotente”. Dunque, chi osa disputare sui segni di Dio, vale a dire sul Corano innanzitutto, è un “orgoglioso e prepotente”.
    Anche questa è una interpretazione errata? E come lo può dimostrare? Con le quattro scuole giuridiche dell’Islam? Se sono scuole ‘giuridiche’ il loro oggetto sarà la materia giuridica, non la teologia, vale a dire che il loro oggetto di studio sarà il modo di valutare la colpa e d’infliggere la giusta pena, quale colpa? è troppo supporre che si tratti innanzitutto di quella che si commette discutendo il Corano? Si è sbagliato a definirle giuridiche, mentre sono invece teologiche, vale a dire che il loro oggetto di studio è la rivelazione coranica? E com’è possibile se, come abbiamo appena dimostrato, il Corano vieta ogni discussione e interpretazione di quelle che sono le sue verità indubitabili, essendo esse state “rivelate” direttamente da Dio e, tramite il Profeta, fatte scendere dal cielo tali e quali sul cuore degli uomini?
    Domenico Alvino

  4. le ripeto la sura al Qalam (la penna) dice: 68.1. Nûn . Per il calamo e ciò che scrivono ! Ho letto bene il suo commento e la sua traduzione non mi risulta. io per il Corano uso la traduzione di Gabriel Mandel ma anche quella di Roberto Piccardo dice lo stesso. Conosco bene l’Istituto Orientale di Napoli e non metto in dubbio la grande sapienza del dottor Bonelli e non ho detto che è inesperto, non mi deve mettere in bocca parole che non ho detto. Ho detto e ripeto che è una traduzione (per quanto riguarda questo verso) non precisa del corano in arabo.. lei la mai letto il Corano in Arabo?? non penso proprio… Io si per fortuna e le assicuro che nelle traduzioni vengono distorti tanti significati. Ora per quanto riguarda le interpretazioni ripeto che è una sua interpretazione perchè lei non vuole vedere altro e non è nemmeno aperto ad un dialogo diverso visto la sua presa di posizione e il suo modo di porsi, schernendo ciò che dico e penso dicendo che esalto e invero questa cultura e religione..la sua fonte è certa e fidata per lei.. lei non ha letto il Corano in Arabo e non può fare simili insinuazioni affidandosi ad un altra persona.. La mia religione e la mia cultura di provenienza mi hanno insegnato a non affidarmi a nessuno ciecamente, a ragionare e dare una mia interpretazione, a non dire questa è una persona fidata e certa perchè è il professore di chissà quale università, seppure ammiro e so che è una grande università. ma lui alla fine è una persona e può sbagliare o può semplicemente aver avuto un interpretazione diversa.. le posso assicurare che chi traduce, giustamente non traduce alla lettera, ma traduce il possibile significato, ma è il significato che dà lui. la traduzione non tiene nulla in confronto all’originale. A volte si perde anche il senso di ciò che si traduce….la parola Corano significa ( come ha ripetuto tante volte, come se avesse un senso negativo) recita leggi, iqra’a e il dovere alla lettura ci porta automaticamente a pensare al diritto all’apprendimento, all’istruzione. Quindi non affidarsi agli altri, a quello che dicono o pensano ma leggere personalmente per farsi un idea propria. L’Islam combatte l’analfabetismo e si pone contro ogni forma d’ignoranza, sia essa femminile o maschile. E’ infatti praticamente un obbligo leggere il Corano e di conseguenza saper leggere e capire esso. Se si legge senza capire non ha nemmeno senso.

    Le ripeto i musulmani hanno un patrimonio culturale e religioso grandissimo, non ci sono solo varie scuole giuridiche di interpretazione del Corano, ma il testo dell islam è stato commentato e interpretato da filosofi e altri teologi.
    ll Corano è la Rivelazione di una conoscenza, che si rivela di due tipi, Intellettuale, al ilm, ovvero la scienza , quella che ci permette di conoscere il mondo e Spirituale, ovvero la conoscenza di Dio.
    è un testo che fa riferimento al mondo e a tutti i tipi di testi (scientifici, psicologici, fisici, matematici). Non esiste in Islam l’idea che lo studio e la conoscenza del Corano debbano impedire lo studio altre discipline. Al contrario, lo studio della scienza, è una ‘ibada un atto d’adorazione, perché se è fatto rappresenta un atto meritorio.

    Lei sta dando un interpretazione assurda del Corano, ha dei forti preconcetti che non le permettono di vedere cose positive e diverse.
    Infine le dico lei mi può portare qui tutti i versetti, sure che vuole e fare qualunque insinuazione ma resta il fatto che è un Libro forse “facile” in materia di comprensione od i giudizio(come nel suo caso), ma difficile per la profondità del suo significato. L’obiettivo di ogni singolo versetto è infatti legato alle circostanze della Rivelazione, e quindi non possiamo capirlo se non lo caliamo nel suo contesto storico e culturale.
    E’ per questo che la conoscenza delle Cause della Rivelazione si rivela fondamentale. Eludere quest’aspetto significherebbe non prendere in considerazione l’intento educativo e pedagogico che il Testo coranico ha e aveva nei confronti della società dell’epoca. Non esiste alcun studioso, di nessuna scuola giuridica, che non consideri la scienza delle Cause della Rivelazione , nessuno di loro direbbe che è possibile operare , estrarre le prescrizioni della giurisprudenza islamica senza tenere conto delle Cause della Rivelazione. Il Corano è quindi un libro che possiamo capire solo se il nostro cuore è legato alla nostra intelligenza!!!!!

    1. Vede, lei m’insegna che le traduzioni servono per consentire a coloro che non conoscono la lingua di un’opera, di accedere a quell’opera. Ora, se invece si è costretti a ricorrere sempre al testo originale, finisce lo scopo, è meglio non tradurre nulla, così ci si risparmia la fatica. Ma qual è l’alternativa? Quella di studiarsi ogni volta la lingua di ogni opera che s’intende leggere, se ancora non la si sa? Non ci basterebbe la vita intera. E allora che si fa? Si fa in questo modo: fra le traduzioni disponibili, si scelgono quelle giudicate più fededegne, o in base alla comprovata competenza del traduttore, o in quanto tali considerate dagli specialisti. E quelle devono valere, altrimenti a che servono? Perciò affidiamoci a quelle che hanno maggior garanzia di veridicità, e domandiamoci se la traduzione del Bonelli risponda a questo critero. Non le pare di sì? Per quanti anni ha insegnato lingua e letteratura araba il Bonelli? Possiamo dire una quarantina? E dove? In una scuoletta situata in un piccolo villaggio chi sa dove sperduto? No. Ha insegnato, per tutti i supposti quarant’anni, nientemeno che all’Istituto Orientale di Napoli. Lei ha detto di conoscerlo. Ma ha mai provato a cercarne la storia? Ci provi e vedrà. Inoltre, il Bonelli non ha improvvisato una traduzione di servizio, da servire pressappoco alle immediate necessità degli allievi, ma ha prima curato la versione in lingua originale, cioè in arabo, e poi si è accinto alla traduzione italiana. La merita o no la nostra fiducia?
      Un’altra cosa: io non la ho schernita, né ho detto che lei “esalta e invera questa cultura e religione”, ma ciò che ho detto è: “… l’Istituto Orientale di Napoli, dove si studiano e s’insegnano le lingue, le culture e le letterature orientali, fra le quali primeggia senza dubbio l’arabo e la cultura che l’invera e la esalta”. Ho detto cioè che la cultura araba, non lei, invera ed esalta la lingua araba nella quale è espressa. E ancora: io non “le metto in bocca parole che non ha detto”, attribuendole la frase che cita, ma ho detto che, non lei, ma noi tutti non possiamo dire né pensare che il Bonelli fosse un inesperto e che avesse male interpretato”. Lo vede che è lei a mettermi in bocca parole che non ho detto? E ancora: vuole insegnarmi che cosa sia una traduzione. Le faccio umilmente notare che per circa cinquanta anni io ho insegnato l’arte della traduzione a generazioni e generazioni di studenti, non certo quella dall’arabo, ma quella dal latino e dal greco, nonché tra lingue moderne. Può bastare? O dovevo insegnare per forza a tradurre dall’arabo per capire e far capire come si traduce? E poi, “le cause delle rivelazioni” dice lei. Io sono quello che, per ovviare in qualche modo al problema del terrorismo e delle lotte tra religioni, dovute sempre a divini comandamenti, ha proposto agli studiosi appunto di distinguere, nei testi sacri, ciò che si deve alle incombenze dei tempi da ciò che è interpretabile invece come vera e propria volontà di Dio. E ho recato l’esempio di Mosè che – si può pensare – dovendo mantenere una difficilissima disciplina in un popolo in fase migratoria, s’inventò la storia delle dodici tavole avute sul monte Sinai direttamente da Dio, perché a lui potevano disobbedire, ma non a Dio, che stava dentro di loro e ne leggeva il pensiero.
      Questo è quanto.
      Domenico Alvino

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