L’antico pensiero filosofico greco: l’idealismo di Platone
Mi accingo a trattare in modo divulgativo il pensiero platonico non con quel distacco emotivo che si chiede al critico letterario o filosofico ma col cuore in subbuglio: so infatti che ardita è l’impresa e che non potrò non commuovermi di fronte a chi ritengo il più alto pensatore di tutti i tempi, lì dove la scienza si incontra con la contemplazione metafisica.
Pur grecofila e platonica, so di non essere partigiana, se moltissimi ritengono Platone la più imperitura pietra miliare della nostra cultura che ha inciso profondamente in tutti gli ambiti del sapere, del pensiero e dell’arte in genere.
Tant’è che il grandissimo Alfred North Whitehead ebbe a dire: “tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone”.
Sottoscrivo senza mora alcuna: tutti i filosofi passano per Platone e con lui devono fare i conti, perché Lui ha attraversato lo scibile umano, dalla sapienza alla metafisica all’inconscio collettivo, preconizzatore di Jung, attraverso il didattico e creativo ricorso al mito.
Procedo per ordine, senza velleità esaustive, ma con l’intento di far conoscere i punti chiave del suo pensiero anche ai non addetti ai lavori. Filosofo ateniese del V/IV sec. a C., nacque nel 428, al secolo Aristocle, detto Platone, forse per la larghezza delle sue spalle (praticava infatti il pancrazio) o per l’ampiezza della fronte, indi del pensiero o per lo stile superbo e maestoso o (perché no?) per la vastità del suoi interesse culturali: pittore, poeta, filosofo di altissimo lignaggio, anche familiare.
Profondamente influenzato dai filosofi Eraclìto e Parmenide cercò di superare la dicotomia tra i due pensieri e di conciliare dunque l’Essere col Divenire.
Preciso che questo punto è la crux philosophorum di tutto l’occidente, che non riesce ancora oggi a rispondere al quesito relativo all’esistenza dell’Uno e del Molteplice, intorno a cui ruota anche il pensiero nietzchiano dell’ Eterno ritorno. Quesito che diede a Platone momenti di esaltazione di depressione, perché di fatto non si capisce come siamo uguali e sempre diversi; cercò di conciliare dichiarando l’unicità delle Idee e la molteplicità delle loro declinazioni.
Discepolo eletto di Socrate, riteneva che la conoscenza del Bene/Bello assoluto determina la sua realizzazione; c’è quindi dell’ottimismo razionale nel suo pensiero, molto criticato Nietzsche; alla morte del maestro, peregrinò per l’ecumene, fino in Egitto (sarà vero?), ma sostò a lungo in Sicilia, dove ebbe problemi con tiranno Dionigi I^ e tornò ad Atene.
Ebbene, fin dal 395 a.C. si dedicò alla stesura delle sue opere, per lo più in forma dialogica, certo che la cultura orale, riproposta artisticamente nei dialoghi, è di gran lunga superiore a quella scritta (a questo proposito si veda il noto testo di Havelock La cultura orale da Omero a Platone).
Le sue opere sono di fatto politiche, perché nella maggior parte ruotano intorno al maestro Socrate ingiustamente condannato a morte nel 399 a. C, nella fase della cosiddetta seconda democrazia di Atene (ma quale democrazia?).
Celebri tutte le opere, di cui tratterò per gruppi, ma tra tutte famosa l’Apologia di Socrate, la prima opera, in cui difende il maestro dall’accusa di empietà e corruzione dei giovinetti. Subito dopo fonda l’Accademia, consacrata al Apollo, dio della divinazione, e alle Muse; si mostra nemico di Isocrate, maestro di retorica, puntando sulla scienza e sul metodo dialettico, molto influenzato dal discepolo Aristotele.
Ecco perché la dottrina platonica è tesa all’insegnamento strutturato in dibattiti poi riproposti nelle opere. Qui un discepolo, Fedro ad esempio, dibatte lungamente mentre il maestro Socrate si limita a poche battute, di assenso o meno. Alternando fasi ateniesi a quelle siciliane, gli a sono attribuite trentasei opere.
Morì nel 347 a. C. mentre era a guida dell’Accademia, ereditata dal nipote Speusippo.
Segue…
Written by Giovanna Albi