Ángel Boligán Corbo: l’artista prende coscienza della condizione di schiavitù in cui l’uomo moderno è costretto

Ángel Boligán Corbo è vignettista e caricaturista cubano. È Maestro di Arti Plastiche diplomato a Cuba presso la Scuola Nazionale di Istruttori d’Arte de L’Avana.

 

Vincitore di circa centoventi riconoscimenti, tra cui menzioni e premi in altrettanti concorsi internazionali e nazionali, ha partecipato alla collettiva in occasione della VII Biennale Internazionale di Umorismo e Satira nelle arti “El mundo existe porque ríe” in Bulgaria.

Numerose anche le personali tra gli anni ottanta e novanta. Redattore, fumettista e illustratore del quotidiano “El Universal” con la collana “Inchiostro specchio” , e della la rivista Orsai con la rubrica “per saltum” è ora fumettista editoriale de “El Chamuco”.

È membro della Unione Nazionale degli Scrittori e Artisti di Cuba e di altre associazioni e sindacati nel mondo.

Quello che Corbo rappresenta – affidato alla linea sottile ed energica del suo tratto, al colore dell’insieme tenue ma efficace amalgamato con il chiaroscuro che è dimensione dei soggetti – è un mondo terribile: così l’ artista prende coscienza della condizione di schiavitù in cui l’uomo moderno si è costretto, fino all’ autodistruzione, nella lotta che ha ingaggiato contro la Natura (che poi è la sua stessa natura) dopo averla, peraltro, modificata e plasmata oltre ogni limite.

Caricature di donne e di uomini: teste minuscole rispetto a corpi terribilmente grandi incombono sull’osservatore che sembra doversi inginocchiare al cospetto di una realtà distorta così brutalmente rappresentata nella distorsione prospettica creano un senso di sospensione angosciante – il particolare delle mani ossute e grandi del vecchio che inserisce delle pillole in una clessidra per interrompere con lo scorrere della sabbia il flusso crudele del tempo, è sicuramente un esempio di questa dimensione agghiacciante -.

La caricatura del corpo è efficace quanto lo sono gli atti che compiono i protagonisti delle vignette: nei personaggi dai volti scuri o celati da maschere si nasconde la loro dimensione sofferta ed allucinata, come nel caso della donna che fugge tenendo stretto a sé, dopo averglielo strappato dal petto, il cuore dell’uomo che giace sulla panchina, per rappresentare l’amore ingrato e violento vissuto dalla donna che continua a guardare il suo uomo mentre si allontana trafitta da una rosa rossa.

In questa immagine, che è più di una immagine, è racchiuso anche il mondo interiore e personale degli amanti feriti. Nell’uomo che fotocopia palle di vetro da appendere ad un albero di Natale sbiadito, il gesto della meccanica riproduzione di una finta realtà è emblema di una disperata solitudine, così come l’immagine del ragazzino isolato al centro della scena che osserva mestamente i compagni di gioco dedicarsi ossessivamente ai loro gadget tecnologici.

Uomini soli, uomini persi e feriti, guidati e assassinati dal mondo capitalista, avvelenati dalle illusioni senza fantasia, che credono di poter comprare tutto, perfino i fiori di un prato – come nella vignetta in cui la bambina raccoglie il frutto della Terra e lo pone in un carrello del supermercato -.

Uomini isolati in una società che mangia se stessa e si pente e rinnega quel sacrificio per poi tornare, più ottusa e brutale e violenta di prima, a soffocarsi.

Il prezzo del riscatto, però, è facilmente individuabile: occorre un senex, un vecchio, che sappia arrendersi alla vecchiaia, che sia capace di tenere sulle spalle un bambino e di fargli leggere, come in un libro, le storie più belle – non solo le più crudeli e terribili – che ha imparato.

Perché arrendersi alla corruzione di una società e alla mistificazione dei sentimenti è facile, ma rinunciare alla sconfitta non può essere davvero così difficile.

 

Written by Irene Gianeselli

 

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