“La strada” di Cormac McCarthy – recensione di Alessandro Vigliani
“La strada” di Cormac McCarthy, strutturalmente atipico, presenta dialoghi sciolti, non imbrigliati nel sistema “due punti, caporali, dialogo”, che rendono la lettura veloce e serrata. Non vi è, per capirci, nei romanzi dell’autore americano – non è questo il solo lavoro che presenta tale caratteristica – quella regola che ferma il lettore, che lo blocca nel suo flusso – questo succede soprattutto nella lettura a voce alta, quando l’apertura dei caporali impone un cambio di espressione vocale -.
Una libertà, questa, che deve essere però sfruttata bene e McCarthy è sicuramente maestro di scrittura, poiché in una tecnica in cui è facile sbagliare, commettere errori, creare confusione, genera ordine puntellando in modo perfetto dialoghi precisi mai troppo lunghi e caratterizzati, senza l’imbrigliamento, da un distacco anomalo, freddo.
“La strada” è tutto ciò che possiamo e dobbiamo aspettarci da un romanzo. Genere post-apocalittico, pubblicato nel 2006, nel 2007 vince il premio Pulitzer per la narrativa, nel 2009 trova la strada del cinema con un riadattamento intitolato “The Road“, di cui parleremo poi, diretto da John Hillcoat e con la presenza, nel cast, di Viggo Mortensen.
La storia è quella di un uomo e un bambino, padre e figlio, che si ritrovano a viaggiare con un carrello pieno dell’indispensabile (e a volte nemmeno basta) in un mondo distrutto, dove non c’è più vita, dove il grigio è prevalente e l’uomo, o meglio l’individuo, combatte la sua quotidiana battaglia per una sopravvivenza differente da quella quotidiana che siamo abituati a conoscere.
Difatti, i personaggi fugaci che i due incontrano, sono alterità spogliate di qualsiasi altro stimolo che non sia la fame e la difesa di quel poco che, prendendo dai vivi o dai morti, si riesce a mettere da parte; alterità, così come i due personaggi principali, alla ricerca costante di un posto in cui dormire per ripararsi da quella natura che ora si dimostra matrigna con chi di colpo non ha più un tetto per ripararsi sulla testa.
La pietà, nel nuovo mondo, è messa da parte, cancellata dalla brancolante esistenza di uomini randagi che si mordono alle caviglie, pronti a eliminarsi l’un l’altro anche per un paio di scarpe, fondamentali, bene primario per chi deve stare costantemente in marcia.
Un viaggio, quello di padre e figlio – i due non hanno nome e la scelta risulta essere la migliore poiché dà indietro una portentosa immagine alienante – attraverso le rovine di ciò che era. Passo dopo passo, la crescita di un bambino che deve abituarsi a un mondo nuovo, già uomo. Lo si comprende dai dialoghi serrati e diretti, che spesso sfociano in perplessità lanciate con un’ingenua intelligenza che non può che toccare le corde del lettore.
I due, padre e figlio, li possiamo quasi vedere, possiamo quasi percepirne la presenza, tanto è forte il ritorno di fiamma delle immagini che magistralmente McCarthy riesce a darci.
Se non l’avete letto, fatelo, se lo avete già fatto continuate a farlo perché ogni pagina vale molto di più di qualsiasi insulsa scuola di scrittura atta solo a spillarvi soldi dal portafoglio.
La strada, Cormac McCarthy
Einaudi
pp. 218
12,00
Traduzione: Martina Testa.
Written by Alessandro Vigliani
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