Intervista di Antonietta Meringola a Sacha Naspini per Omero.it

 Sacha Naspini: “Scrivere un buon romanzo assomiglia molto a un incontro di pugilato” di Antonietta Meringola

 

 

“Il mister lo sapeva bene da dove venivo io. Lui era di quelli dalla vita facile, la mattina si alzava, faceva colazione, mezz’ora di corsa e poi andava ad aprire la palestra. Io no. Di solito mi trovava davanti al cancello che ero già sudato marcio, la prima cosa che facevo era guardargli le mani per vedere se per caso mi aveva portato qualcosa da mangiare.”

È proprio così! C’è chi nella vita nasce scrittore e chi nasce pugile. Pugile, già! Cosa vuol dire essere pugile? Cosa vuol dire indossare i guantoni, salire su un ring e schivare i colpi dell’avversario? Cosa vuol dire afferrare una penna e fare a “cazzotti” con un foglio bianco? Lo racconta Sacha Naspini, classe 1976, un grossetano di Maremma, autore di opere come L’ingrato, I sassi, I Cariolanti, che arriva colpo dopo colpo, e scritto dopo scritto, alla stesura di Cento per Cento (Edizioni PerdisaPop, 2011). Un libro che sin dalla prima pagina “indossa i guantoni”, sale sul ring, non tocca mai le corde,  e sfida l’avversario, il lettore, guardandolo dritto negli occhi. Uno sguardo che penetra, perseguita, non perdona e conduce dritto fino al finale.

 

A.M.:  Chi è Sacha Naspini, uno scrittore al “Cento per Cento”?

Sacha Naspini: Sì. Almeno: la scrittura, suppergiù in quasi tutti i suoi approcci, è una cosa che mi interessa da sempre. Proprio non riesco a concepire la giornata senza metterci nel mezzo questa cosa, è più forte di me: il cervello punta il dito in quella direzione, costantemente, a volte anche al limite dell’ossessione (bella). Perché ho questo problema ancestrale: devo raccontare storie, cercare voci nuove. Insomma, scrivere mi tiene sveglio, in movimento. Anche nei periodi di quiete apparente, quando mi chiudo nello studio con i miei soggetti: mi fa sentire sempre in viaggio. Se non lo faccio divento brutto, non sono al posto mio. Se non lo faccio mi sento “normale”, e mi annoio quasi subito di tutto.

 

A.M.: Come è nata la tua passione per la scrittura?

Sacha Naspini: È un po’ come chiedermi quando è nata la mia passione per l’essere alto uno e ottantaquattro (scherzo, sono uno e settantacinque con le scarpe). Guardandolo da ora, ho l’impressione che le cose si siano predisposte da lontano per arrivare a questo punto esatto. Un punto che in tempi remoti neanche immaginavo. È buffo. È affascinante. Sai, i primi esperimenti da ragazzino, con le fiabe, e più avanti la musica, la forma “testo canzone”, su cui mi sono dato tanto. Fino a certi racconti che scrivevo in classe, durante il liceo, e che ritrovavo accartocciati in fondo alla zaino alla fine del quadrimestre. Insomma, una specie di “allenamento inconsapevole” che forse già indirizzava i movimenti della mia vita a ora, qui, con i romanzi.

 

A.M.: Questo percorso di sperimentazione a cosa ti ha portato?

Sacha Naspini: Ma come dicevo prima: sperimentando i vari approcci mi sono ritrovato in mano tutta una serie di attrezzi utili, che adesso mi aiutano a chiudere dei cerchi inaspettati. Per esempio, la mia passione per il cinema: proprio in questo periodo sto limando il soggetto definitivo da cui sarà tratta la sceneggiatura di un film che con ogni probabilità avvierà le riprese a ottobre. Purtroppo, non posso dire di più, al riguardo. Inoltre, mi è stato chiesto di provare a scrivere dei testi per una “big” della musica italiana. Anche di questo non posso dire altro. Ma per capirci: le cose che ritornano. Buffo, no? E affascinante. Tutta questa storia comincia a prendere una coerenza che fino a pochi anni fa non vedevo, e mi faceva stare male, perché mi sembrava di essere solo e allo sbando. Invece, ora è una cosa che difendo, che mi dà una specie di strada, seppure continui a restare incerta. Anzi, il fatto che sia incerta, forse è la parte più bella.

 

A.M.: Secondo te, Sacha, cosa significa, oggi, essere uno scrittore?

Sacha Naspini: Non lo so. Almeno, io non me ne accorgo nemmeno, perché non frequento molto l’ambiente, se un “ambiente” c’è. A dire la verità seguo pochissimo anche le manifestazioni, le attività che non mi coinvolgono direttamente. Forse è brutto da dire, ma anche questa è una cosa che difendo abbastanza: cercare di restare nella mia istanza, non “aggregarmi”. Non lo so, quando capita la sento come una specie di dispersione di energie, qualcosa che mi svuota, mi distoglie da quella strada che dicevo prima. Poi, pensando alla tua domanda, il discorso sarebbe veramente vasto, bisognerebbe parlare del momento storico che sta vivendo l’editoria in Italia, le logiche che ci girano attorno, e non mi fa granché voglia. Immagino comunque che “essere uno scrittore”, alla fine sia un fatto personale: cosa cerchi, come ti vedi nella veste di. Io ho una mia vista personale molto precisa, e seguo quella, anche perché non mi do altre soluzioni, visto che non m’interessano. Come non mi interessano le voci omologate, i trend. Secondo me, non basta scrivere dei libri per essere scrittori. Chiunque, oggi, può scrivere e pubblicare un libro, ci sono tanti metodi tristi. Chiunque è convinto di avere molte cose interessanti da dire, purtroppo: vai da uno, lo paghi e ti stampano. A chiunque piace l’idea di essere chiamato “scrittore”: fa fico, e suona come una bella conferma. Così si perde il senso del termine. E mi viene quasi da rispondere in un modo osceno alla tua domanda, ma non vuole essere solo una provocazione: essere uno scrittore, oggi, significa che ti pagano per scrivere.

 

A.M.:  Cento per Cento, la storia di un pugile, Dini Carrisi. Come è nata l’idea di scrivere questa storia?

Sacha Naspini: È nata più o meno in un pomeriggio. La prima stesura ha visto la luce in un paio di giorni, dopo mi è bastato fare una rilettura generale, affinandolo. Era il giugno del 2009, e Francesco Giubilei di Historica (Casa Editrice) mi chiese un testo per quella nuova collana che aveva aperto, Short Cuts. Testi veloci, di piglio contemporaneo. Così mi sono messo giù, e ho scritto questo romanzo breve. Mi sono divertito un sacco a dare voce a Dino Carrisi. Adesso, Cento per Cento è appena uscito, di nuovo, con PerdisaPop, dopo due edizioni per Historica. Ti dico di più: qualcuno ci sta pensando sopra una sceneggiatura.

 

A.M.: Chi è il vero protagonista in Cento per Cento?

Sacha Naspini: Credo la vita, alla fine. Con i suoi trabocchetti strani, le sue feroci pompate di sangue. L’umanità: questa è una cosa che devo sempre sentire accesa nelle cose che scrivo (e che leggo, altrimenti me ne vado alla quinta pagina, non mi interessano gli show stilistici), umanità a tutto tondo, non necessariamente nella sua accezione positiva, ovvio.

 

A.M.: Che cosa rappresenta nella vita di Sacha Naspini “il pugile”?

Sacha Naspini: Quella del pugile è una figura abbastanza poetica, no? Pensaci. Una macchina fisica messa a puntino, in vista dell’incontro. Il top delle prestazioni. All’angolo opposto accade la stessa cosa. Ma c’è di più, non è solo ciccia e sangue: tutto quel motore nascosto, quel groviglio di motivazione, coraggio, ostinazione, paura… Insomma, il carattere. Perché i muscoli spesso non bastano, e allora ti accorgi che quel che vedi sul quadrato alla fine è una cosa sola: due storie, che si fronteggiano. Un bel pezzo della partita viene giocata lì. Ti faccio un esempio: pensa a Tyson, nei suoi anni d’oro. E pensa al suo primo ko, contro Douglas. Sappiamo tutti la storia di Iron Mike, e la conosceva bene anche il suo sfidante. Ma quest’ultimo si presenta sul ring con l’anima un po’ a puttane, perché ha perso la madre da pochi giorni. L’inglese si ritrova davanti a questa roccia che picchia forte. L’impressione che hai nel guardare Douglas che combatte, è di uno che dice: “Mi potrai anche ammazzare, ma non mi puoi fare male più di così”. Alla fine Douglas vince. Viene atterrato una volta, mi pare, ma vince. Butta giù Tyson. Insomma, tutto questo per dire che la figura del pugile non è solo cazzotti e potenza. C’è tutta quella parte “molle”, che lo trascina davanti al sacco. A me interessava quella, e ho provato a raccontarla.

 

A.M.: Esiste un legame tra il pugile e lo scrittore?

Sacha Naspini: Altroché. Pensa ai cazzotti che partono con il foglio bianco. Ma anche quello scritto te ne ammolla, saper incassare è fondamentale. Volendo, scrivere un buon romanzo assomiglia molto a un incontro di pugilato: sai, i capitoli come round eccetera, eccetera. Strategia. Studiare l’avversario. Sudore contro sudore, cercare il varco… Dopo comincia la sfida vera, che è quella con i lettori. I lettori non perdonano, come l’avversario non perdona una difesa distratta. E poi le recensioni, i critici che si piazzano lì, a bordo ring, a contarti “i peli del culo”. Mentre tu, con la tua storia alle spalle, pensi solo a una cosa: vincere o perdere. Va bene tutto, a patto che non si vada ai punti.

 

L’intervista è stata pubblicata in originale su:

http://www.omero.it/rivista.php?itemid=3901&catid=95

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