“Il rione dei ragazzi” di Nagib Mahfuz: diventare capi mette a rischio l’anima?
Nagib Mahfuz, autore nel ‘59 de Il rione dei ragazzi, nacque nel 1911 nel quartiere di Gamāliyya, nell’oscuro alveo della capitale egiziana. In vita ricevette numerose onorificenze, fra cui il Nobel, nel ‘88, e diversi attacchi, fra cui, nel ‘94, un colpo alla gola da parte di due estremisti, i quali poi ammisero di non aver mai letto l’opera, la quale era stata condannata dall’autorità religiosa.

In Italia il romanzo Il rione dei ragazzi fu edito nel ‘91, con la sapida traduzione di Manrico Murzi, il quale scrisse, nella breve ed efficace nota iniziale, che in Egitto non era stato finora pubblicato, mentre in Libano ne era uscita, nel ‘67, “un’edizione leggermente espurgata”. Stento a capire il perché, ma io sono un pregresso cristiano, un tempo assai convinto ma mai integralista, ora integralmente ignorante di quali siano le ragioni sottese a ogni sorta di religione. Religio ha due etimi: ligo ed eligo: scelgo il legame che m’avvince al Quid che poi chiamerò Dio o Mio Signore.
Manrico definisce “L’arabo letterario” dell’autore “classicamente florido” e “paragonabile all’inglese dell’‘800, talora ridondante, talora solenne” – non a Charles Dickens, credo. Ignoro a chi si riferisca. Dice anche che ha affrontato alcune difficoltà di traduzione valendosi dell’aiuto dell’“autore” e di un paio di “amici alessandrini”.
La prima frase del Prologo de Il rione dei ragazzi è: “Questa è la storia del nostro vicolo...” – il che mi dà da pensare. Noi siamo legati al vicolo che non ci siamo scelti, ma che ci siamo trovati, per caso o per altrui necessità, ad affrontare nascendo. Sarà poi la vita a decidere. Se un bambino è rapito dai lupi, come accadde a Dina Sanichar, che potrebbe aver ispirato il personaggio di Mowgli, le cose cambiano. Conosco il caso di un ignorante di Dio che nacque in una famiglia cattolica. Esistono casi opposti: cristiani nati in famiglie atee. Sic transit gloria fidei humanae.
Della vicenda di Cristo lessi i quattro Vangeli tradizionali, gli Apocrifi e gli Gnostici, Il Vangelo secondo Cristo di José Saramago e La Gloria di Giuseppe Berto, ognuno divergente per i temi suoi. Chi tratta di questioni religiose rischia ogni volta di pestare i piedi altrui.
Il primo racconto-capitolo è intitolato Adham. La vicenda ricorda, alla lontana, a quel capitò a una disgraziata coppia di scimmie nude, cacciata dal loro Padre Padrone (il riferimento a Gavino Ledda è un po’ forzato) e a tutto quel che loro accadde.
Dopo un fortuito fratricidio, e la sua conseguente condanna, tutti vengono poi ri-accolti da quel buon despota, che tutto perdona, tranne l’ingiudicabile. Ogni omicidio è deprecabile, anche se preterintenzionale, ma serve talvolta a schiarire le idee.
La mia idea dello stile letterario di Nagib è che è pesante, ma rinforza i muscoli, dico io; No pain no gain, direbbe Arnold Schwarzenegger. Essendo doveroso stare attento a ogni parola, riesco a sottolineare poco, snellendo così il mio compito. A pagina 91 colgo qualcosa che merita L’elogio della banalità di Salvatore Patriarca: “Idris, geloso di Adham…” – è definito più volte, non a caso, “il Diavolo”.
La storia, pur tragica, finisce meglio di quella narrata in Genesi: leggere per credere!
Segue Ghabal. Stessi personaggi? Uno solo, Sotteso nell’Oscurità, e che non appare ma che c’è. A quale episodio biblico si riferisce? Qui vale il consiglio: leggere per non capire subito! E manco serve comprendere ogni cosa. L’importante è poter dire alla fine: Ohhh! Finito! Passiamo al prossimo! Qualche mia sottolineatura: “Io stesso sono stato testimone di questa miserabile situazione ai giorni nostri.” – quale? La prepotenza del Potere nei confronti di chi quella Bestia può solo temerla? L’hai forse patita nel quartiere di Gamāliyya? L’anarchia del potere, la chiamava Pier Paolo. L’unica Sua cosa bella è che, prima o poi, finisce in altrui mani. Anche il despota morirà: di vecchiaia, di malattia o di omicidio. A mōr ânch i catîv! – diceva mamma. Tu ci hai lasciato giovinetto! manco 95enne! Che la Gaia Eternità sia Sempre con te! E con chi sa apprezzare i tuoi conati letterari! Il capitolo-racconto è pieno d’espressioni tipo questa: “Li schiaccerò come cacaracci!” – scarafaggi, intuisco. Poveretti loro! E anche: “… come quando bara una casa…” – e questa non l’ho capita – “Tutto nel vicolo è governato dalla tirannia.” – a Chi alludi, a Lui o ai suoi Ministri (i Servi di più alto grado)?
L’innocente assassino “Ghabal disse con risentimento: ‘Rispetta il morto, tutti moriamo’.” – mamma aveva ragione! Senti ora che pensiero: “Quando Ghabal guardò in alto, si accorse che la notte aveva nascosto il mondo, e sospirò, trattenendo le lacrime.” – forte e bello, vero?
Non luminoso ma illuminante è quel che leggo a pagina 128 de Il rione dei ragazzi, che così sintetizzo: l’importante non è non ammazzare il prossimo, ma comportarsi da gentiluomini! – ma che il Ciel ti disperda nel Kaos entropico! Innocente assassino! Disperato fratello!
Ghabal è una brava persona, che diverrà, uccidendo, un buon Reşdōr, Reggitore. Ma preferirei perderlo che trovarlo. Più conosco i miei simili, cioè me, più mi sento anarchico. A chi gli chiede se ama “la nostra povertà e sfortuna”, Ghabal risponde: “… non è affar nostro.” – sono cavoli da deglutire per conto di quei derelitti. Se poi vanno loro di traverso, pazienza! Siamo tutti nati per soffrire!, ognuno per i fatti suoi.
Ho tradotto, immeserendolo, quel padronale pensiero. Diventare Capi mette a rischio l’anima.
“Ghabal tuonò: ‘Gli uomini giusti non godono delle sofferenze degli altri.’” – questo passa il convento. Giudizio finale: “Egli fu il primo a ribellarsi contro l’ingiustizia del nostro vicolo e il primo ad avere avuto l’onore di incontrare Ghabalawi.” – dietro un roveto ardente? Boh!
Credo d’aver intuito che quel legiferante eroe del quartiere potrebbe essere un’ipostasi letteraria di colui che fu salvato dalle acque… Forse ho preso un abbaglio. Forse erro. Vorrei però tranquillare critici e recensori (io non lo sono): nemmeno uno scrittore capisce la propria opera. Diversamente sarebbe costretto a ri-scriverla. Quando poi ha la certezza che non la potrà mai comprendere del tutto, può passare alla prossima. La quasi certezza. Silenzio. Devo andare a leggere!
Il terzo capitolo è Rifaa – questo ennesimo sconosciuto, direi. Sia “zi’ Ghawaad, il cantastorie cieco” che “zi’ Benkaterha” – inducono a tornare alla premessa di Manrico, in cui assicura di aver cercato di riprodurre “il modo approssimativo di come Mahfuz avrebbe scritto la storia in italiano”.
In certe zone del Sud, zio è la persona autorevole; in Tibet è lo zio (aiku) colui che ispira fiducia; a Reggio Emilia si dice zio per sfottere chi è tutt’altro che autorevole. Noi siamo celti/goti/unni etc…
Abda dice: “… il tuo antenato abita lì, il padrone di tutta questa terra e di tutto quel che c’è. Se non fosse per il suo assoluto ritiro il vicolo sarebbe zeppo di luce.” – E “Shafay continuò con scherno: ‘E in suo nome Ihaab il Fiduciario ci deruba e i capi ci danno addosso’.” – caro Nagib, nel ‘94 ricevesti quella coltellata da parte di quei due osservanti della fatwā dei loro capi; tu moristi, quasi centenario, una dozzina d’anni dopo; loro furono giustiziati l’anno successivo all’attentato.
Perché l’uomo è fatto così? I lupi, le tigri, gli squali sono più miti. Colpa dei vari Fiduciari o del loro Trainer? O delle loro vittime? I primi sospettati han diritto alla Maiuscola, agli ultimi va anche larga la minuscola. Ma sempre lettere sono e la loro storia può diventare talora letteraria.
A pagina 183 de Il rione dei ragazzi qualcuno dice che l’avo non esce più “per vecchiaia” – per demenza senile?
Di Shafay, padre di Rifaa, che dire, se non che “L’arte del falegname era il suo lavoro.” – e questo è il primo campanello d’allarme: inizio a temere per il Figlioletto. La zi’ chiese a Rifaa che voleva fare nella vita ed “egli rispose che voleva ripulire il vicolo e che i soldi non gli interessavano.” – uomo da non sposare, nemmeno se sei una prostituta, a meno che tu non sia costretta! Potrebbe capitare, prima o poi. Che sia scritto? Intanto Rifaa va a fare una scampagnata “nel deserto” – che abbandonava “soltanto per comprare qualcosa da mangiare…” – e da bere, immagino. Anche gli aspiranti mistici hanno la gola, l’esofago etc. Colà ha udito qualcuno parlare, dice Rifaa, e: “… ho avuto la sensazione che fosse la voce di Ghabalawi…” – sei ben messo, ragazzo! La voce lo informava “che Ghabal aveva compiuto la sua opera e aveva dato gioia, ma che tutto era poi diventato peggio di prima.” – l’entropia è un evento orrido e, pare, inevitabile.
Per salvare la vita a Yasmina – alcolizzata e meretrice, decide di sposarla. Lei accetta, pur di salvare la pellaccia: la folla stava per spedirla a quel loro buon Dio.
Lui, la prima notte di nozze la passa “Sul divano”. E la sposina ci resta male. È da capire! Lei ama tanto le coccole! A domani!
A chi gli chiede “Chi pensi di essere…” – quel ragazzino dice: “L’amico dei poveri, signore.” – nello spirito? Non un riccastro tipo Paperon de’ Paperoni? Anche per lui ci sono figli e figliastri? Forse intende: voglio aiutare innanzi tutto chi ne ha più bisogno? Penso al film, Richie Rich – il più ricco del mondo, a quel biondino così inzuppato di denaro che non crede d’aver bisogno della pietà cristiana.
Un’altra frase m’inquieta: “Dio ci protegga dall’amore di capi!” – di chi sta così davanti agli altri, che non li vede più. Uno gli ha mollato un ceffone e lui sta lì, come se niente fosse. Forse ne aspetta un secondo? Che matto! Si limita a dire: “che la felicità non è come la loro autorità e il loro potere.” – anche Cesare ha bisogno dell’Altro per essere Sé. Dio è un Altro ancora! I soliti, assurdi discorsi! Poi ogni cosa finisce come deve finire e uno dice: “Ecco, questo è il suo sangue”!
Idea: passiamo a Kassem? Finché c’è capitolo, c’è speranza. Ma non scordiamo l’insegnamento ricevuto, che ci deve accompagnare per tutta la nostra reazione allergica alla vita.
Che bella parola: “attastato”, toccato, grazie, Manrico! Chissà com’è l’originale? Ho una vita per at-testarlo… Un’altra che mi fa fremere è “vincastro”, il salice di vimini che serve per stimolare le bestie ad andare, come dice Totò, dove devono andare: terribile! È come la religione. Religiosa è l’ideologia di chi intende ergersi sulle spalle degli altri. Mi ricorda il mondo intero, non una sua fetta. Capisco perché t’ha dato tanti problemi, ‘sto romanzo. Te li sei andati a cercare. Il che capita agli eroi da te narrati (e sofferti). Molti di loro sono morti: ora temo per Kassem. O sarà ucciso o ucciderà. Si fa presto a incancrenirsi, in ‘sto globo terracqueo, figuriamoci ne Il rione dei ragazzi.
“Kassem disse accigliato: ‘Maledetti tutti i capi! Non c’è pace, non c’è sicurezza dove ci sono loro! Alzeremo i nostri bast…” – ti tronco il discorso, eroe! Da pastore usavi il vincastro: ora cambi arma. A pagina 320 mi pare di leggere L’Iliade, il Kalevala! Morale: “Dio abbia pietà sia dei vivi che dei morti.” – e io? Per chi tifo? Per la fine del Kaos che ammazza l’uomo, l’arrogante meschinetto!
Ultimo e chissà se catartico capitolo, Arafa: peggio che andar di notte e farsi sgozzare in un vicolo.
Tutto iniziò perché “: “… presto l’ingordigia ebbe la meglio sul Fiduciario, come ci si poteva aspettare, e si ritornò ai vecchi sistemi.” – e ora dicono che il Che sia morto invano come i tre precedenti eroi, che non nomino perché ormai “non erano che nomi…” – degni di un capitolo – solo nomi, ormai, dispersi ormai per disperata e storica entropia! In un Reader’s Digest degli anni ‘50, il Che era definito una sorta di Diavolo. Oggi il suo volto barbuto è finito nelle t-shirts…
Ci sono le canzonette (tipo quella di John Brown): “Il cantastorie kassemita disse che Kassem voleva usare il patrimonio in modo che uno avesse…” – sintetizzo: che non passasse dal padre al figlio, ma che andasse a chi ne avesse bisogno: tutto per tutti! Un gran bel sogno, davvero!
A pagina 358 de Il rione dei ragazzi, si capisce il significato dell’espressione delinquenza organizzata.
“Nel vicolo la vendetta era una tradizione da sempre rispettata.” – si ri-vendicavano amici e soldi.
Dice Arafa alla sua bella: “Il mio retrobottega mi ha insegnato a non credere in niente se non lo vedo con i miei stessi occhi e toccato con le mie stesse mani.” – tipo San Tommaso. C’è la teoria.

Secondo il Fiduciario: “… la diceria è verità, la verità è sentenza, la sentenza è esecuzione.” – in una dittatura si segue ogni volta la geodetica più semplice. Arafa ha due armi micidiali: una presunta “bottiglia” colma di “magia” e una salvifica ipocrisia. Basteranno a sconfiggere il nemico? Non credo: “… gli uomini di Kasser e di Rifaa si radunarono e attaccarono il quartiere di Ghabal.”: che bellum! Arafa desidera il bene del suo prossimo. Il suo prossimo desidera la sua morte.
Morale della favola, stando a sentire il cosiddetto “popolo”: “Il passato per noi è nulla. Nostra unica speranza è la magia di Arafa. Dovessimo scegliere tra Ghabalawi e la magia, sceglieremmo la magia.” – ringraziamo chi ce l’ha data in eredità! Clap clap clap! Rip rip rip!
Quando penso ai profeti della fede, piccoli o grandi che siano, mi viene in mente la frase di quel personaggio de Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.
La tua voglia di dire le cose non piacque, caro Nagib. Chi scrive non va a pensare a quanto dolore arrecheranno le proprie parole al Potere. Il quale poi si vendicherà, a prescindere. Questo è l‘uomo. L’unica critica accettata riguarda gli avi, non i Fiduciari in carica. Tu non potevi tacere. Non te lo consentiva il tuo demone. Ognuno ha il demone che si merita. Il tuo teneva, covato nell’alveo, un grosso difetto: non era ironico, ma spietato, e metaforico. Diceva la verità, in un modo così palese che tutti riuscivano a capirla.
Uno scrittore è un martire, un testimone. Tu vivesti e vivrai più a lungo dei tuoi aspiranti aguzzini. Questo sì che è un grande miracolo.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Nagib Mahfuz, Il rione dei ragazzi, Marietti, 1991