“Pasticche” di Chiara Fiorillo: 33 ritratti brevi dal retrogusto persistente
“I panni che sbattevano al vento, come schiaffo a vele impavide, erano la colonna sonora di un momento intimo, raro. Non parlavamo molto, qualche parola volava via. Lei stendeva le lenzuola con calma molle e io i calzini che avevo nel catino. Il pavimento arroventava i piedi nudi. Una raffica di vento e un sorriso, una raffica di vento e la gioia di tenerla solo per me.” ‒ da “Panni al vento” (“Pasticche”)

Se state cercando una lettura estiva che non sia un mattone da trascinare sotto l’ombrellone, ma qualcosa di più simile a una serie di assaggi intensi, allora “Pasticche” (HeyBook, 2025) di Chiara Fiorillo è la raccolta che fa per voi.
Trentatré racconti brevi, ciascuno un piccolo universo, scritto con uno stile che incanta, sorprende e – come promesso nella quarta di copertina – lascia un retrogusto duraturo. L’autrice, mai troppo invadente ma costantemente presente, gioca con le parole come con ingredienti da pasticceria: un pizzico di dolcezza, un filo d’amarezza, e lampi imprevedibili di ironia.
Non aspettatevi trame complesse o finali a effetto: qui la forza è tutta nell’atmosfera, nel dettaglio catturato, nella memoria riemersa come una conchiglia nella sabbia. Sono racconti da leggere in pochi minuti ma che, come certe conversazioni sulla spiaggia al tramonto, restano impressi.
C’è la delicatezza di Panni al vento, dove il ricordo di un’infanzia affollata si mescola alla nostalgia di una solitudine mai avuta, o Caleidoscopio, che cattura un momento casuale in treno e lo trasforma in un flashback di desiderio, malinconia e possibilità mancate.
C’è Teresa, donna concreta e un po’ epica, che lava le scale dal basso verso l’alto come se salisse una montagna tutta sua, e Collant anni ’80, con una protagonista teneramente impacciata, che corre dietro a un amore adolescenziale mai dichiarato, dentro un mondo fatto di fuseaux e autobus affollati.
“Teresa puliva le scale, con una peculiarità: le lavava dal basso verso l’alto, le veniva facile così. Dal primo scalino di quel palazzotto fiero, si arrampicava su, fino al quinto piano, col suo culone in alto e le braccia forti in basso, a immergere lo straccio nel secchio azzurro. Lo scalone maestoso si torceva in una spirale magnifica e Il marmo venato, innaffiato di caldo sapone, splendeva vivido.” ‒ da “Teresa” (“Paticche”)
Alcuni racconti colpiscono più per la loro ambientazione e crudezza, come Vicolo cieco, ambientato nella Rocinha di Rio, dove una piccola commissione diventa viaggio iniziatico tra povertà, amicizia e pericolo. O Il Pub, in cui l’attesa di un’amica in un locale fuori dal tempo diventa occasione per un bilancio di vita tra moquette scozzese e ricordi incisi nel legno.
E poi Nina dal mare, uno dei racconti più poetici e intensi, in cui la protagonista emerge dalle onde dopo un combattimento fisico e simbolico con il mare stesso – amante, predatore, mistero. Una riflessione potente sull’identità, il desiderio e la violenza delle cose che più amiamo.
La grande forza di “Pasticche” è nel saper dire molto con poco, nel non cercare spiegazioni o morali, ma nell’offrire suggestioni, scorci, visioni. Ogni racconto è un concentrato d’emozione che si scioglie piano, lasciando sulla lingua – e sulla mente – una traccia. Come accade con le medicine dell’anima, non sai sempre cosa stai prendendo, ma senti che, in qualche modo, ti fa bene.

Ogni racconto, quindi, è come una pasticca da sciogliere lentamente tra le dita o sotto la lingua dei pensieri. Perfetti per un’estate fatta di attese al gate, piedi nella sabbia, treni sonnolenti e sere lunghe. Non servono segnalibri: “Pasticche” si legge seguendo l’umore del giorno. E ogni giorno ce n’è una che calza a pennello.
Una lettura che si beve a piccoli sorsi ma che, pagina dopo pagina, disseta e sorprende.
“Sul bagnasciuga di spuma, Nina si muoveva carponi, sfiancata dalla forza del mare. Solchi sull’arena erano strascico alle sue membra sfinite. Il mare, l’amante di una vita, l’aveva distratta e in un attimo rivoltata in un’onda, come l’aria rivolta un pulviscolo. L’aveva afferrata e tirata giù, nelle sue viscere, costringendola a guardarsi dentro in un buio silenzio.” ‒ da “Nina dal Mare” (“Pasticche”)
Written by Cinzia Milite

