“Un indovino mi disse” di Tiziano Terzani: il viaggio della profezia

Propongo la lettura di Un indovino mi disse di Tiziano Terzani a una mia consanguinea, che mi risponde di non essere interessata. Lei ama le fiction. Io però lo definirei un romanzo di memorie che si occupa di fiction, in primo luogo delle proprie. Quando il sottoscritto, a mo’ di concia, finge d’analizzare in modo scientifico un’altrui storia, usa aggiungere un aneddoto solo in parte reale della propria. Un sinonimo di Scrittura è Finzione, così pensava uno degli autori più sinceri e menzogneri della Storia: Jorge Luis Borges.

Un indovino mi disse di Tiziano Terzani
Un indovino mi disse di Tiziano Terzani

Il primo dato che colgo è il titolo Un indovino mi disse, da cui deduco che l’autore ricevette una divinazione da un divinus. Scopro poi che, se non voleva morire, doveva evitare un per lui banale e irreparabile evento. Non alludeva a fumo, alcol, droga etc, bensì: a salire su un oggetto volante sicuro e ben identificato. Poteva pure girare per il mondo, ma a piedi, o su una nave, o su un treno. Perché? Perché era scritto nel Fato. Solo venendo a patti con Lui, si può gettare nell’immondizia quel carattere d’inevitabilità, che si tramuta in Destino, che ti de-stina da qui a lì e che ti consente di alzare le chiappe del sofà e di andare dove devi andare, come s’augurava Totò. Vita e Destino di Vasilij S. Grossman ne è un inclito e penoso esempio. Vivi per conto tuo e vedi di scorrere da qui a lì, contrastando il volere di chi ti vuole fermo dove sei o allocato laddove vorresti evitare di recarti. Sic vita est!

“Se qualcuno ti punta un’arma addosso, sorridi” – è il consiglio che dai ai tuoi figli, Tiziano. Il gesto ti salvò la vita, in Cambogia. M’approprio di esso e lo distribuirò più che potrò. Grazie. Leggere può salvare momentaneamente la vita, o aiutare a perderla. Come tutto. Bisogna saper scegliere. Occorre dare Scacco all’errore, come insegnano Raffaele Catà e Davide Forcellini.

Sì è nel ‘93. Anziché raggiungere Massenzatico, partendo da Gavassa, proseguire per Prato Fontana, Sesso, ritirarti verso l’aulente Bagno e inerpicarti per le colline reggiane fino a Casina (tragitto effettivamente impegnativo), scegli di recarti in Asia, la tua seconda, o quasi prima, patria. Ha senso dire da dove partisti il tuo primo dì? (da Firenze, il 14 settembre 1938). Cinquantacinque anni dopo, sei a Bangkok, ove “la natura si vendica sugli uomini che non la rispettano e che per pura ingordigia distruggono ogni tipo di armonia.” – l’uomo è il carnivoro più famelico di sempre. Secondo la filosofia di quei posti, anche dei nostri, qualche tempo fa: “Non c’è da disperarsi. Fai delle offerte a un tempio…” – o a un umano che vi risiede – e tutto s’aggiusta: “Il fato è negoziabile…” – anche se “… tutti sono convinti che il miglior indovino non è fra di loro, ma altrove.” – e il ricercarlo equivale a iniziare la terapia.

Ogni libro sorge da motivi esistenziali, poiché “… la storia esiste solo se qualcuno la racconta…”: richiede un dato numero di puntini di sospensione, che poi diventano di congiunzione con quel che segue, necessariamente. Vivere per raccontarla è, per esempio, l’autobiografia di Gabriel Garcia Marquez. Poi, tutto ha fine, evolvendosi: “L’esperimento birmano aveva almeno un bel nome. Si chiamava ‘la via buddhista al socialismo’…” – sic transit gloria mundi. Il mio amico Gino ci andò in quegli stessi anni ‘90, un po’ prima di lasciarci (di stucco!), e ci narrò che colà non tutti erano consci d’essere comunisti e buddisti e alcuni manco sapevano d’essere birmani, specie se abitavano nei pressi della giungla. Questo scrivi ne Un indovino mi disse: “C’è per me qualcosa di tragico, in questo continente che, così gioiosamente, uccide se stesso.” – e un po’ spaventi e tranquillizzi, quando affermi che: “Un evento, una volta annunciato, esiste, è vero e, pur essendo ancora a venire, è più reale e più significativo di un fatto già avvenuto.” – il fragile domani, del resto, è lo stentato ieri di un misterico posdomani.

Fin da piccolo, mutavi continuamente programma di vita. Io ero più coerente di te, quando dissi in casa che volevo diventare un ingegnere del nulla. Ancora pochi esami e ce la farò (forse) a laurearmi. Temo un po’ la tesi. Non so a che demone aggrapparmi. A pagina 80 narri di un tuo rito giovanile. Io ne ho parecchi, alcuni demenziali. Un giorno te li dirò. Il ri-to è un ri-andare dove si è, se non nel certo, almeno nell’assodato o, forse, nell’estremamente (im)probabile.

Quel che tu senti per Chang Choub – altrimenti noto come “Stefano Brunori” – fiorentino come te: io lo provo per te: il medesimo entanglement: “C’eravamo semplicemente ri-trovati.” – così è per me, che già lessi il tuo La fine è il mio inizio, che un po’ mi diede da fare, ricordi? Fai ridere e gemere quando indichi l’epitaffio che desideri per la tua tomba: solo “la parola ‘viaggiatore’” – un che passo per Pistoia, ti dirò. Condivido il tuo pensiero: “Ero felice. Ero solo e trovavo la solitudine una magnifica compagna.” – uscire con gli amici è bello, ché ti permette di tornare da lei e di riabbracciarla. Leonardo diceva: Quando sei solo sei tutto tuo. Oltre a quel tutto che mondo c’è?

Io amo, faccio per dire, tutti i tuoi maghi-indovini, specie quello di Hong Kong – ma se ho vissuto finora senza ci sarà un motivo. Li accolgo come nuovi amici casuali, se non anche causali. Nulla di più. Sottolineo tanto, ci ripasso la mattina dopo e mi dico, quasi sempre: Tiremm innanz!

Il capitolo che dedichi a Singapore ne Un indovino mi disse: 12. Un’isola ad aria condizionata – mi fa pensare a Incubo ad aria condizionata di Henry Miller, che girò, fresco patentato, per quegli (secondo lui orrorifici) States. Singapore, il Wisconsin e lo Utah sono posti favolosi, non discuto, anche la mia minuscola Reggio Emilia, però tutti ‘sti luoghi puzzano ormai d’umano tecnologico, la specie più mefitica. L’unica (momentanea) soluzione è passare da un indovino all’altro, sentire delle sacre ciance, prenderne atto, giudicarle una a una, scuotere la testa, approvare, ironizzare fra due parentesi: “(Chissà se è vero, ma queste storie hanno sempre un effetto convincente!)” – a volte ci azzeccano, come col Totip, col Totocalcio. Ma tu sei lì per altro, perché “Un indovino mi disse…” – e ora cerchi tutti gli indovini che puoi trovare, ovunque, dai mediocri agli eccelsi, ai savi, agli inaffidabili. La solita vitaccia, insomma. Mi pare che la tua aruspice preferita sia quella che, a pagina 211, vaticina con versi di “quattro caratteri, recitati al ritmo di rime alternate”. Tu collezioni indovini con la stessa passione con cui Onorio e il sottoscritto giravamo per Via Cordusio, a Milano, alla ricerca del gettone telefonico obsoleto e perduto. Immagina il nostro stupore allorché uno scalcagnato merciaio estrasse dalla tasca destra, no, non c’è!, dalla sinistra, ah, l’ho messo qui!, un arcano Stipel 1927!

Quel che dici dei cinesi espatriati vale ora anche in Italia: sono ottimi commercianti. Non mi fanno paura. Sono utili, anzi: provvidenziali. Quando scrivi che “Sono i cinesi della diaspora” – mi spingi a dire: allora sono gli ebrei del duemila! Un popolo che si auto-elegge come essenziale!

“Angela dice che, se dovesse eliminare una delle invenzioni di questo secolo, ancor prima della bomba atomica, eliminerebbe la televisione.” – concordo con tua moglie, ma poi penso che c’è quel cancherino che ogni tanto fa bip, che è peggio: eliminato un problema, il fesso sceglie il suo sostituto; io non guardo più il teleschermo, ma il cell sì, anche se ho letto Cell di Stephen (King), e so a cosa vado incontro. Poi ho i libri, che m’aiutano (sono i miei indovini).

A pagina 275 de Un indovino mi disse citi lo scrittore a cui forse voglio più bene (uno dei 2000 circa più amati): Somerset Maugham – prima o poi leggerò quel “Gentleman in the parlour” – che ti fece cambiare (in meglio) l’opinione che avevi di lui. Intanto però passi da una nazione all’altra, Cambogia, Vietnam, che tanto pena ti e mi fa, e altre ancora. Diventi l’uomo più indovinato della storia. Non voglio narrare di questi tuoi incontri ché vanno gioiti in loco, nelle pagine del tuo, del nostro, libro. Dico solo che vorrei tanto provare sia quel “trisciò” che quel “moto-taxi” – specie se ho urgenza di raggiungere la stazione dei treni; anche se preferirei andare, più tranquillamente, a piedi in qualsiasi città del mondo, pure lì, a Città Hochiminh – così faccio abitualmente qui, nella mia rosea Reggio.

Un indovino ti dà la più bella definizione del proprio mestiere: egli aiuta “a cambiare le ombre” – e poi citi alcuni autori i quali: “… ci hanno insegnato, non esiste una verità, ma ne esistono tante a seconda di chi e di come si guardano le cose!” – ok, ci sto.

Mi fai meditare su un fatto che da sempre m’appassiona: “Non è un caso che siano stati i cinesi a scoprire che l’essenza di tutto è l’equilibrio fra gli opposti, il maschio e la femmina, l’acqua e il fuoco. È nell’armonia fra la diversità che…” – e qui interrompo il tuo discorso, ché intendo proseguirlo da solo, come spesso fai tu. Sarai come me, quando sarò solo, come lo fu Somerset, Pirandello e il “Rashomon” di quel regista nipponico, per cui chiederò a un figlio se lo vorrà guardare con me. Questo è un mio problema: amo leggere e scrivere da solo, ma non riesco a vedere film o eventi sportivi senza la presenza di chi amo. Nel primo caso vale il rimbaudiano Je est un autre. Nel secondo, il contrario: Un autre c’est moi. O è la stessa cosa? Posso arrivare a dire che l’autre è come quel vago neutrino che sbuca, nel presente, venendo dal futuro? Pare inverso a noi e forse non lo è, come assicurava Paul Dirac, oppure sì, come teorizzava Ettore Majorana. Mistero! Mistero? Mistero!?

Ne incontri uno (di indovini, non di neutrini!) di quelli che a Reggio definirebbero bóss, forte, arguto, preciso e potente. Scrivi: “Davvero, era impressionante come sembrava capace di leggere le risposte che io stesso davo dentro di me alle domande che facevo a voce alta.” – ma era un umano come te, come tutti gli altri, come colui che, poche pagine prima, ti aveva tanto deluso. Fa parte della vita, no? C’è chi vince, c’è chi perde, e chi a malapena pareggia. Alla fine del match, tutte le squadre si ritirano negli spogliatoi, a meditare sul match successivo. Ogni indovino desidera incontrare un indovino in grado di almanaccare sul suo futuro. Come il più abile chirurgo, che deve affidarsi a un collega, per farsi operare alle tonsille. Non può mica estrarsele da solo!

M’hai fatto innamorare non dell’Asia, ma del mio ipotetico viaggio in quel continente, che mi stai descrivendo con tanto piglio amoroso, che anche Emilio Salgari, che mai si mosse dall’Italia, avrebbe apprezzato. Dovrò andarci da solo o con chi pare a me. Tu non sei più disponibile, se non come profeta vaticinante. Domattina leggerò le ultime trenta pagine e trarrerò le somme. Va bene?

26.Capodanno col diavolo: il titolo mi fa pensare a una banalità, e le migliori idee nascono lì, come m’ha convinto il mio indovino Salvatore Patriarca col suo Elogio della Banalità: Dio è il Signore. noi siamo i suoi servi. Anche il Diavolo che, di tutti noi servi, forse è (o era) il più Lucifer, l’ángelos più splendido-splendente. Forse lo era anche “Khun Sa” – il cui profilo da te disegnato m’affascina, nonostante tutto. Corro su linea, mosso dalla curiosità: era detto il re dell’oppio ed era il capo dell’esercito del suo paese, che era stipato nell’alveo di un altro, limitrofo a un altro ancora: l’ennesimo casino! Tu lo intervisti e non dirò nulla a riguardo, se non che ce ne sono, di uomini, di migliori, nonché di peggiori. Non lo vorrei come amico, né come nemico. I suoi ragionamenti, che riporti, sono logici (anche a te paiono tali)! Ma in che mondo viviamo? Egli morì più giovane di te, anche se scampo’ un po’ di più. Non è un paradosso, è un sofisma temporale. Era migliore di quei tanti che lo stavano cacciando. Era da loro sfruttato. Non direttamente. Era come la serva di Totò: serviva allo scopo. Se non ci fosse stato, bisognava inventarne un succedaneo. Aggravo il quesito: in che mondaccio perverso viviamo? Belle e coraggiose le tue domande, belle e sapide le sue risposte. Il capitolo va letto e discusso. Servirà per non capire ancora nulla. Per indovinare questo mondo occorre stargli distante quanto serve. Scrivi: “Mi vennero i brividi e quasi non riuscii a prendere appunti.” – io ho letto tutto senza problemi, bello sforzo: solo grazie a te. Grazie a te!

27.Il meditatore della CIA: hai deciso di andare sotto analisi, cioè di provare ad andare a meditare, a imparare a farlo. Il titolo è azzeccato, preciso come quel famoso dito che s’incunea perfettamente in quel celebre orifizio, ahi!, ma non dirò perché. Leggerete e capirete.

Tiziano Terzani citazioni armonia
Tiziano Terzani citazioni armonia

Definisci “il buddismo” come “la negazione della società civile e ovviamente del progresso.” – sarei quasi d’accordo, anche se non professo più nulla, manco la fede calcistica. Non sopporto troppo né la presenza né la negazione di Dio, ‘sto Emerito Sconosciuto. Per quanto riguarda “il ciclo di nascita e morte” – e il conseguente riciclo, lasciamo perdere. Già sono impegnato con la plastica, la carta, il vetro, il metallo, il biologico e l’indifferenziato: tutto un pattume!

A pagina 428 de Un indovino mi disse, un certo “Dan” ti dice che “sei rimasto occidentale e cristiano” – perché credi nella “giustizia” – e, poco dopo, decidi di rompere gli indugi e i patti che hai fatto col destino: mandi a quel paese (la Toscana dove tornerai, poi, forse, l’India) il tuo proponimento, senza imprecare, scegliendo, sic et simpliciter.

L’ultimo capitolo è senza numero: e ora? Fai la tua scelta, dopodiché così termini la tua odierna avventura: “Dopo tutto, uno è sempre curioso di conoscere il proprio destino.” – amen!

Il mio è di passare al prossimo libro: Il rione dei ragazzi di Nagib Mahfuz: il cui primo racconto è orrido, spaventoso, divino, umano. Lo conosci? Ti lascio perché Nagib mi sta cercando.

A presto: da qualche parte ho il tuo Pelle di leopardo, chissà di che parla…

Non dirmelo: l’ho appena letto su linea: Mannaggia! Ma tanto ancora mi saprai dire, fratello…

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, TEA su licenza Longanesi, 1998

 

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