“Kon-Tiki” di Thor Heyerdahl: 4000 miglia a bordo di una zattera attraverso l’Oceano Pacifico
“Carlo – dissi – io sono così sicuro che gli indii attraversarono il Pacifico sulle loro zattere, che sono pronto a fabbricarne io stesso una, e a veleggiare sull’Oceano solo per dimostrare quella possibilità.
– Ma tu sei pazzo! – Guardai cupamente l’etnologo che finora avevo creduto un fedele alleato.
– Non lo ritieni dunque possibile?
– Sei pazzo davvero! Con una zattera?!” – Kon-Tiki, Thor Heyerdahl
Come è avvenuta la diffusione dell’essere umano nella Terra? Questa domanda, e i racconti del vecchio Tei-Tetua, furono per dieci anni l’oggetto delle ricerche di Thor Heyerdahl, tra il 1937 e il 1947.
Kon-Tiki è stato pubblicato per la prima volta nel 1948 da Gyldendal Norsk Forlag, e stampato nella traduzione italiana nel 1999 da RCS Libri; in Kon-Tiki si narra con grande fedeltà al diario di bordo la coraggiosa spedizione di Heyerdahl e dei suoi compagni di navigazione. Un libro che trascina il lettore dai musei di storia naturale attraverso le foreste dell’Ecuador, sino ad una zattera sull’Oceano Pacifico in un’avventura degna dei romanzi di Verne.
Nato nel 1914, Thor Heyerdahl è stato un antropologo ed esploratore nella descrizione più classica e romantica dei due termini. Specializzato all’Università di Oslo in antropologia delle isole del Pacifico fu il primo a mettere in discussione le teorie dell’epoca sulla diffusione umana sul pianeta attraverso le vie marittime. La sua avventura comincia nel 1937, durante il viaggio di nozze in Polinesia assieme alla moglie Liv.
Ma per uno spirito esploratore come quello di Heyerdahl, quel viaggio non fu una semplice vacanza. La permanenza a Fatu-Hiva, ospiti dell’anziano capo villaggio Teriieroo, e del saggio Tei-Tetua, durò un anno. Un anno in cui il mondo moderno diventò per la giovane coppia un ricordo lontano, e, lasciate alle spalle le conquiste della civiltà europea, i due si ritrovarono a percorrere spiritualmente e fisicamente le tracce degli uomini che per primi arrivarono su quelle isole, vivendo coi nativi, ricercando le tracce delle loro antiche culture materiali e immateriali nei racconti che venivano narrati la sera, attorno al fuoco, dall’ultimo sopravvissuto delle antiche stirpi che popolarono le isole Marchesi.
“Tiki – disse il vecchio Tei Tetua con aria di mistero – era nel contempo dio e capo. Fu Tiki, che guidò i nostri antenati sulle isole dove viviamo. Prima abitavamo in un grande paese al di la del mare.
Quando nella notte tornai alla mia capanna, i racconti del vecchio primitivo sulla patria sacra d’oltremare mi ossessionarono a lungo il cervello. Pareva che dalle età primeve, una voce li fuori nella notte, volesse raccontarci qualcosa. E un’idea mi brillò improvvisa nella mente: Liv, hai notato che i simulacri di Tiki sulla montagna, rammentano in modo impressionante i possenti plastici di pietra dell’America meridionale? Quelle reliquie di civiltà scomparse da lungo tempo?” ‒ Thor Heyerdahl
Forse cominciò proprio così. Da quel giorno, per Heyerdahl si susseguì una serie di avvenimenti, che, dieci anni dopo, nella primavera del 1947 portò lui e i suoi compagni di viaggio a bordo di una zattera di tronchi di balsa, sul Pacifico, in compagnia di un pappagallo verde.
Rientrato in Norvegia infatti, Heyerdahl decise di abbandonare gli studi di zoologia, per concentrarsi solo sullo studio delle popolazioni del Pacifico. Ciò che la comunità scientifica sapeva con certezza, era che un giorno, l’etnia polinesiana, non si sa se a caso o di proposito, se forzatamente o di propria iniziativa, popolò le Isole del Pacifico in due grandi migrazioni, una di pelle bianca, una di pelle scura.
Scrive nel suo diario Heyerdahl: “[…] ma l’enigma restava: chi era quella gente? E donde veniva? Si può con certezza affermare che le risposte siano tante quanto i libri che ne trattano. Dove la scienza è costretta ad arrestarsi, la fantasia ha via libera.”
Eppure, Heyerdahl, viaggiando tra le isole, ha osservato che nonostante queste ricoprano una superficie grande 4 volte l’Europa, questa popolazione non ha differenziazione linguistica, e tutti parlano ancora oggi una serie di dialetti della stessa lingua.
La scrittura era sconosciuta, eccezion fatta per alcune tavolette di legno che recavano alcuni segni indecifrabili, ormai ignoti anche agli isolani.
La trasmissione della storia e dei propri miti, era legata a una tradizione poetica che si tramandava per via orale, in cui politica e religione coincidono nel culto degli antenati e nella celebrazione della loro memoria, sino alla remota età di Tiki, il “figlio del sole”.
Quasi in ogni isola, gli anziani più istruiti conoscevano a memoria i nomi dei capi sino ai tempi della colonizzazione. Questi si aiutavano nel richiamare la memoria con un complesso sistema di cordicelle e nodi, simile a quello degli Inca, o dei rosari cristiani.
Heyerdahl, confrontando le sue osservazioni con quelle di altri antropologi, ha osservato come queste genealogie corrispondano tra loro in maniera sorprendente, tanto nei nomi, quanto nel numero delle generazioni. Fu così possibile stabilire che queste isole furono colonizzate all’incirca nel 500 dopo Cristo, mentre la seconda ondata migratoria avvenne circa nel 1100 dopo Cristo.
Ma a Heyerdahl, dopo un anno di convivenza con gli indigeni, non sfugge un particolare: la popolazione che arrivò sulle isole, aveva una civiltà la cui evoluzione era ancora allo stadio preistorico: nonostante una grande capacità in altri campi, queste persone non conoscevano i metalli o la ruota, e gli scavi archeologici rivelarono che in età antica portarono con sé dalla loro terra d’origine delle particolari accette di selce, che si diffusero in tutte le isole.
Ma quali civiltà tra il 500 e il 1100 dopo Cristo, erano ancora all’età primitiva?
Su tutta la terra, Heyerdahl intuisce che in quel lasso di tempo, solo nel Nuovo Mondo poteva trovarsi una popolazione ancora relegata a questo stadio. Solo nel Sud America, infatti, l’uso del ferro era totalmente ignoto. Queste popolazioni indie, disponevano di utensili in pietra della stessa tipologia di quelle rinvenute nel Pacifico.
Attorno alla Polinesia, si trovavano infatti solo le popolazioni primitive di pelle scura dell’Australia e della Melanesia, lontane congiunte dei popoli africani, come hanno poi confermato le analisi genetiche sul DNA ai nostri giorni, mentre verso l’Indonesia e l’Asia, l’età della pietra era stata abbondantemente superata da millenni come in ogni altra parte del globo.
L’attenzione di Heyerdahl si concentrò allora sull’areale peruviano, nel quale, all’arrivo dei conquistadores, gli indios raccontarono che gli enormi monumenti abbandonati, e le statue che si conservavano nelle campagne, erano stati costruiti da una civiltà più antica, “degli dèi bianchi dalle lunghe barbe rosse” che arrivarono dal Nord, i quali, ad un certo punto, abbandonarono il paese navigando verso Ovest.
Quando gli europei invece arrivarono in Polinesia, con loro grande stupore trovarono delle genti di pelle chiarissima, occhi grigio-azzurri, barbe e capelli rossi, mischiati con una popolazione di pelle scura dorata.
I bianchi chiamavano la loro gente Urukehu, e asserivano di essere i diretti discendenti degli dèi Tiki, Tangaroa e Kanè; similmente alla versione che fu narrata nel 1722 quando l’esploratore olandese Jacob Roggeween giunse all’Isola di Pasqua:
“I loro maggiori di pelle bianca, erano giunti attraverso il mare, da un paese montagnoso a oriente, arso dal sole” ‒ Jacob Roggeween, 1722
Nel Perù, Heyerdahl trovò ciò che cercava: mentre studiava le saghe degli Inca e del dio del Sole (Virakocha), si imbattè nel nome del condottiero di questa civiltà bianca scomparsa:
“il nome del dio Virakocha, in lingua pre-incaica era Kon-Tiki, oppure Illa-Tiki, cioè Tiki del Sole o Tiki del fuoco” – Thor Heyerdahl, Kon-Tiki
La leggenda narra che Tiki fu attaccato da un capotribù provenuto dalla città di Coquimbotal, e, a seguito di un combattimento sanguinoso avvenuto su un’isola del lago Titicaca, i bianchi furono trucidati, e i superstiti costretti ad abbandonare quelle terre via mare, spingendosi in Oceano verso Ovest.
I particolari della vita di Tiki nel Perù, coincidevano ed emergevano nelle leggende degli isolani dei mari del Sud.
Nel 1939, le ricerche di Heyerdahl son costrette ad uno stop forzato, e il ricercatore viene arruolato nelle forze armate durante la seconda guerra mondiale. Alla fine della guerra, nel 1945, finalmente Heyerdahl mette per iscritto la sua teoria, e si reca negli Stati Uniti per esporla nei piani “alti” di un grande museo di New York.
“ – No! Mai! Lei ha torto, torto marcio! Provi un po’ lei a navigare dal Perù alle Isole del Sud su una zattera di balsa!”
La comunità scientifica non credette e nemmeno volle esaminare la teoria di Heyerdahl, i cui risparmi cominciavano ad assottigliarsi sempre più.
Ma infine, l’impresa divenne possibile grazie all’Explorer’s Club di New York, del quale Heyerdahl faceva parte come socio onorario dopo il suo primo viaggio alle Isole Marchesi: i primi ad appoggiare la teoria e a considerare l’impresa come fattibile, furono l’esploratore polare Peter Freuchen, il Colonnello Huskin col suo staff di ricerca sui materiali per la sopravvivenza in mare, e l’ingegnere Herman Watzinger.
Pochi giorni dopo, un giovane veterano dell’aviazione americana, decise di finanziare in toto l’impresa. Vengono coinvolti il Pentagono e l’ONU, organizzate le forniture di vettovaglie, attrezzature radio e scientifiche da utilizzarsi durante il viaggio, contatti diplomatici col Sudamerica, e contemporaneamente viene organizzato l’equipaggio:
Thor Heyerdahl (1914–2002), capo spedizione;
Erik Hesselberg (1914–1972), navigatore ed artista (fu lui a dipingere il volto del dio Tiki sulla vela della zattera);
Bengt Danielsson (1921–1997), cuoco e cambusiere, era un etnologo interessato alle migrazioni umane e alle teorie di Heyerdahl, la sua partecipazione fu fondamentale in Sudamerica come interprete, soprattutto prima della partenza, essendo l’unico dell’equipaggio a parlare spagnolo;
Knut Haugland (1917–2009), esperto radio decorato dagli inglesi per azioni di guerra: partecipò con gli Alleati a una serie di incursioni marittime per bloccare la costruzione della bomba atomica da parte del Reich tedesco durante la seconda guerra mondiale;
Torstein Raaby (1920–1964), era l’addetto alle trasmissioni radio nella spedizione. Guadagnò notorietà per aver agito come agente entro le linee tedesche durante la seconda guerra mondiale, le sue trasmissioni radio permisero di guidare i bombardieri alleati verso la nave da guerra tedesca Tirpitz;
Herman Watzinger (1910–1986), ingegnere esperto in misurazioni, registrò i dati meteo e idrografici della spedizione.
La prima parte della spedizione, prevedeva la ricerca dei 12 tronchi di balsa nella foresta equadoregna, sino al remoto villaggio di Quevedo. Da lì, i tronchi sono stati fluitati sino a Guayaquil, sulla costa del Pacifico, e infine rimorchiati sino all’Arsenale della Marina Peruviana a Callao, in Perù, dove la zattera è stata costruita grazie all’aiuto dei carpentieri della Marina Peruviana.
La zattera, è stata costruita con nove tronchi di balsa accostati tra loro, il più lungo era di 14 metri per 60 cm di diametro, mentre ai lati i tronchi risultavano più corti per dare una parvenza di prua alla zattera. Questi tronchi sono stati accostati e legati ai sovrastanti traversi, formati ancora da tronchi di balsa lunghi 5 metri e mezzo, per 30 cm di diametro, distanziati tra loro di circa un metro. I tronchi longitudinali e i traversi sono stati legati tra loro con robusti cavi di canapa di 3 cm di diametro.
Tra i tronchi longitudinali sono presenti lunghe assi di legno di che svolgono la funzione di deriva aggiuntiva, per contrastare lo scarroccio laterale.
L’albero fu realizzato con fusti di Mangrovia, ed era composto da più pali giuntati tra loro a costituire una forma a V rovesciata di circa 9 metri di altezza; a poppa dell’albero era presente una cabina costruita con stuoie di bambù intrecciato, lunga 4 metri e larga 2 metri e mezzo, coperta da un tetto di foglie di banano.
A poppa un lungo remo lungo circa 6 metri in legno di mangrovia con all’estremità una pala di legno, venne armato tra due pioli con funzione di timone.
La grande vela quadra di circa 20 metri quadrati, è stata armata su un pennone composto da un fascio di canne di bambù legate tra loro. Le immagini fotografiche illustrano anche una piccola gabbiola che sovrasta la grande, e una terza a prua aiutava nella manovra.
La zattera era coperta in parte, come piano di calpestio, da una stuoia composta da una fitta rete di fusti di legno intrecciati con bambù.
Il Kon-Tiki aveva una riserva d’acqua potabile di circa mille litri, trasportata in tubi ricavati dalle canne di bambù, e in altri piccoli serbatoi fissati alla zattera, mentre le riserve di cibo erano composte da una dotazione di 200 noci di cocco, patate dolci e altri frutti.
L’esercito americano fornì razioni da campo, le famose “razioni K” composte da scatolame e porzioni di sopravvivenza che non erano ancora state sperimentate in condizioni di quel tipo; in cambio l’equipaggio del Kon-Tiki avrebbe dovuto stilare un rapporto sulla dieta praticata.
Oltre alla dotazione di partenza l’equipaggio confidò sulle possibilità di pesca, oltre che sulla raccolta dell’acqua piovana nel corso degli sporadici acquazzoni.
Tale fiducia ebbe un riscontro positivo: grazie ai numerosi pesci che seguivano la zattera, al plankton e alle alghe e conchiglie che crescevano sotto alla zattera, e ai frequenti temporali, la dieta fu ricca e variegata.
La paura della sopravvivenza in alto mare, era stata spazzata via.
Il Kon-Tiki salpò dal porto di Callao in Perù nel pomeriggio del 28 aprile 1947 coi sei compagni di navigazione e un pappagallo amazzone.
La zattera fu inizialmente trainata in mare aperto a circa 50 miglia dalla costa dal rimorchiatore “Guardian Rios” della Marina Militare peruviana, con lo scopo di veicolare la zattera all’interno della Corrente di Humboldt che, nelle intenzioni della spedizione, doveva essere il motore principale della traversata nel Pacifico.
Fu issata la vela, e venne il problema di governare la zattera nel Passat: l’Aliseo del Pacifico. Sebbene la zattera fosse stata fedelmente riprodotta sulle basi dei disegni dei conquistadores, infatti, nessuno più poteva insegnare ai sei esploratori come navigare a bordo di una zattera india.
Tuttavia, grazie alla corrente di Humboldt, e al Passat, la zattera prese a correre inesorabilmente verso occidente, e in pochi giorni, i sei presero confidenza col mare e col mezzo di trasporto.
“17 maggio. Mare Grosso. Vento favorevole. Oggi tocca a me cucinare: ho trovato 6 pesci volanti in coperta, un calamaro sul mio letto, ed un pesce sconosciuto dentro il sacco a pelo di Torstein…
Qui la matita si arrestò e pensai: che bizzarro 17 maggio! Però, tutto sommato, ecco una vita straordinariamente originale, un micro-cosmo con null’altro che cielo e mare tutto all’intorno. Se guardavo a destra, vedevo un oceano azzurro con onde spumeggianti, a sinistra, l’interno oscuro di una capanna, che da settimane era la nostra dimora. Dentro, un individuo barbuto leggeva Goethe, e conficcava le dita dei piedi nelle commettiture di bambù.
– Bengt, mi sai dire, per satanasso, come ci è venuta in mente questa idea?
– Al diavolo! Tu hai da saperlo meglio di tutti, dal momento che la proposta fu proprio tua! A me però piace immensamente!” ‒ Thor Heyerdahl, Kon-Tiki
La spedizione rimase in contatto regolarmente con radioamatori americani, canadesi, e sudamericani, che facevano ponte radio con l’Ambasciata norvegese a Washington.
Il successo di tali comunicazioni fu dovuto all’esperienza maturata in guerra dagli operatori Knut Haugland, e Torstein Raaby come operatori di radio clandestine.
Il 30 luglio, dopo due violente burrasche, gli incontri con squali, balene, e uno squalo balena, fu avvistato l’atollo di Puka-Puka:
“Alle 6.00 precise, Bengt, sceso dall’albero, svegliò Hermann e scivolò nella propria cuccia. Il cielo cominciava a colorarsi d’azzurro, quando Hermann si arrampicò sull’albero che cigolava e fremeva. Dieci minuti dopo egli discese sulla scala di corda e mi tirò una gamba: – Vieni a vedere la tua isola!!! Aveva il volto raggiante, e volammo in vetta all’albero […] Terra!!! Un’isola!!! La divoravamo con gli occhi, ed euforici ci precipitammo a chiamare gli altri.” – Thor Heyerdahl, Kon Tiki
Il 4 agosto ci fu un breve contatto con alcuni pescatori dell’isola di Angatau, ma le condizioni del mare e la pericolosità della barriera corallina non permisero l’approdo. Il 5 agosto l’equipaggio tentò di raggiungere un isolotto dell’atollo di Raroia nell’arcipelago delle Tuamotu, ma la forza del mare infranse la zattera sulle scogliere coralline, dove la zattera si incagliò; il materiale fu portato in salvo sull’isola attraverso la laguna situata all’interno della barriera con il canotto gonfiabile in dotazione alla spedizione, e il 7 agosto riuscirono a collegarsi via radio con Oslo, distante 10000 miglia. In 101 giorni la zattera aveva percorso circa 3 770 miglia marine (c. 6.890 km), con una velocità media di circa 1,5 nodi.
Dopo aver trascorso alcuni giorni in solitudine sull’atollo, l’equipaggio fu raggiunto dagli abitanti delle isole vicine, dopo che alcuni pescatori indigeni avevano avvistato i rottami della zattera incastrati nella scogliera:
“Ora si scorgevano distintamente i tronchi del Kon-Tiki; e uno degli indigeni proferì:
– Ma questa non è una barca, sibbene un pae-pae.
– Pae-pae! – ripeterono tutti a gran voce.
Galopparono sulla scogliera e si arrampicarono sul Kon-Tiki. Come bambini, entusiasmati, strisciavano qua e la, tastavano i tronchi, i graticci di bambù, i cordami. Il Capo non era meno eccitato degli altri; di ritorno, ripetè, stupito e interessato:
– Tiki non è una nave, ma un pae-pae!
Pae-pae è il termine polinesiano per la zattera. Nell’isola di Pasqua indica anche la canoa degli indigeni. Il Capo ci raccontò che di simili imbarcazioni non c’era più traccia, ma che i vecchi del villaggio potevano raccontare antiche storie su queste.” – Thor Heyerdahl, Kon Tiki
I navigatori furono portati al villaggio dove ne fu festeggiato l’arrivo con canti e danze tradizionali. Al termine furono condotti a Tahiti dallo schooner francese “Tamara”, assieme al relitto della zattera che, grazie alle maree, fu portato in salvo nella laguna.
Ad accogliere la spedizione a Tahiti, in prima fila, c’era il vecchio capo Teriieroo, che dieci anni prima lo ospitò nel suo villaggio:
“Terai-Materata! – Chiamò con viso raggiante. Questo era il nome polinesiano che ricevetti dieci anni prima.
– Hai tardato un po’ ad arrivare – disse ridendo – ma sei arrivato bene. Il tuo pae-pae ha portato davvero il cielo azzurro (terai materata) a Tahiti; infatti ora sappiamo da dove sono venuti i nostri antenati.” ‒ Thor Heyerdahl , Kon-tiki
In un mondo non ancora pregno di tecnologia e necessità moderne, un equipaggio di sei uomini temprati dalle spedizioni e dalla guerra, ha vissuto per 101 giorni in totale armonia su una zattera di tronchi attraverso il Pacifico.
A conferma di ciò, nel 1952, il francese Alain Bombard, dopo aver teorizzato che un essere umano sarebbe in grado di sopravvivere in mare senza provviste, decise di sperimentare la propria teoria lasciandosi naufragare, da solo, a bordo di un prototipo di gommone a vela nell’Oceano Atlantico.
Dopo una fase preparatoria nel Mediterraneo, ed un ultimo scalo a Tangeri, sbarcò infine alle Barbados, dopo 65 giorni, durante i quali si cibò principalmente di plancton e bevve acqua di mare, in una misura calcolata in modo tale da non incorrere in rischi per la sua salute.
All’esito del suo viaggio concluse che a spingere i naufraghi verso la morte fossero per lo più cause psicologiche, quali disperazione e paura, essendo concretamente possibile per il naufrago, in buone condizioni di salute, trarre mezzi di sostentamento dal mare stesso. La preparazione del viaggio e l’intera esperienza sono state narrate in un libro intitolato “Naufrago Volontario”.
Il 28 aprile 2006 un equipaggio norvegese ha replicato l’impresa del Kon-Tiki con l’utilizzo di una nuova zattera, nominata Tangaroa, che prende nome dal dio del mare Tangaroa della tradizione dei Māori. Nell’equipaggio, guidato da Torgeir Higraff, era presente anche Olav Heyerdahl, nipote di Thor Heyerdahl. La spedizione si concluse con successo nel luglio del 2006.
Anche in questo caso la tecnologia costruttiva è stata quella utilizzata per gli antichi pae-pae, ma la velatura fu relativamente più sofisticata, sia pure con vela quadra ma in materiale sintetico, in modo da permettere migliori andature. La zattera era lunga 15 metri e larga 8, ma il resto della dotazione non era paragonabile a quella del Kon-Tiki, avendo moderni sistemi di navigazione e comunicazione, pannelli fotovoltaici, personal computer e collegamenti satellitari, oltre a un impianto per la desalinizzazione dell’acqua.