I 100 anni di Roald Dahl: neologismi, giochi di parole e la questione della traduzione dei suoi libri

“Those who don’t believe in magic will never find it.” – Roald Dahl, “The Minpins”.

 

Roald Dahl

Roald Dahl nasceva in Inghilterra il 13 settembre 1916 da famiglia norvegese e nel 2016 si celebra il suo centesimo compleanno. L’autore inglese è scomparso nel 1990, a causa di una leucemia, ma fortunatamente ci ha lasciato i suoi scritti, tutti ricchi di fantasia e di importanti riflessioni per la vita di piccoli e grandi.

Nel Regno Unito e nel Nord Europa in generale tutti i bambini leggono Roald Dahl, in Italia purtroppo i più lo conoscono per “La fabbrica di cioccolato” (Salani, 1988) ma, senza nulla togliere a quest’ultimo, Dahl è molto di più.

Roald Dahl ebbe un’infanzia non troppo semplice: se da una parte ricordava felicemente i momenti con la famiglia e le vacanze tra i fiordi norvegesi, dall’altra visse esperienze non troppo positive nei collegi dentro i quali gli venne impartita l’educazione scolastica.

Fu questa la possibile motivazione per la quale decise di non iscriversi all’università, non ne poteva più di insegnanti, punizioni corporali, costrizioni; scelse quindi di intraprendere un’esperienza lavorativa presso una compagnia che gli avrebbe permesso di viaggiare per il mondo. Durante la guerra si arruolò poi nella RAF e solamente negli anni ’40 cominciò a dedicarsi alla scrittura. Vi furono alcuni racconti brevi e nel 1943 arrivò “The Gremlins”, la prima storia lunga che venne pubblicata da Walt Disney.

Da questo momento in poi Roald Dahl si sbizzarrirà tra storie brevi e libri più lunghi, per bambini e per adulti. Passerà dai giganti ai fantasmi, dai coccodrilli alle streghe, fino ad arrivare a romanzi come “Boy” e “Lo zio Oswald”.

The Gremlins - Roald Dahl

Qualunque fosse il tema dei suoi scritti a caratterizzarlo sono sempre stati originalità e creatività, sia per quanto riguarda i soggetti che per la lingua adoperata. E proprio grazie (o a causa) di quest’ultima scaturisce la questione della traduzione.

Si sa, tradurre letteralmente da una lingua all’altra non è quasi mai possibile, ogni idioma possiede i suoi vocaboli, le sue sfumature, e difficilmente si rintracciano corrispondenze semantiche precise. Ciò diviene ancora più complicato quando autori come Roald Dahl creano veri e propri neologismi, combinazioni giocose di parole per crearne delle altre così da ottenere un effetto di ilarità e risultare divertenti anche ai più piccoli. Ma la lingua di Dahl è l’inglese e noi solitamente lo leggiamo in italiano. Staremo perciò leggendo la stessa storia o è possibile rintracciare differenze significative?

Prendiamo come esempio “Il GGG” (“The BFG” il titolo originale), il cui co-protagonista (il GGG, gigante il quale, come tutti i suoi simili, non ha potuto ricevere un’istruzione) ha un modo molto bizzarro di parlare, confonde le parole e ne inventa di nuove partendo da quelle che ha precedente acquisito.

Ne scaturiscono frasi del tipo (l’edizione alla quale si fa riferimento è quella della Salani del 2005 con la traduzione di Donatella Ziliotto): “I giganti è tutto canniballo e assassinistro! Ed è vero che si pappa i popolli della terra! Ora noi si trova nel Paese dei Giganti! E i giganti è dappertutto! Là fuori c’è il famoso Crocchia–Ossa! E Crocchia–Ossa si crocchia ogni sera due popollani e se li ciuccia per cena! Un rumore da spaccarti le orecchie! Un rumore di ossa crocchiate che si sente crizze-crazze per chilometri!

Vocaboli curiosi senza dubbio e dei quali il significato è intuibile da chiunque. Anche la traduzione qui non riscontra particolari difficoltà. A parte forse il termine ‘human beans’ – il gigante intendeva ‘human beings’ –  che la traduttrice decide liberamente di tradurre con ‘popollani’.

Ma cosa accade quando Dahl crea dei giochi di parole tra gli Stati del mondo e gli abitanti di questi? Riassumendo, il gigante spiega alla bambina che ogni notte i giganti galoppano verso nuovi luoghi per mangiarne le persone e lo fanno in base ai loro gusti, in Turchia per esempio la gente avrebbe sapore di tacchino, ma solamente se lo leggiamo nell’originale: “Bonecrunching Giant says Turks human beins has a glamourly flavour. He says Turks from Turkey is tasting of turkey.”

Roald Dahl - 100

I vocaboli Turks (abitanti della turchia), Turkey (la Turchia) e turkey (il tacchino) sono fortemente assonanti e diventa così semplice giocarci. Ben più complicato è stato invece il compito di trasformare questo in lingua italiana. Una traduzione letterale non avrebbe reso giustizia all’originale inglese, così si è deciso di cercare una sorta di corrispondenza. Il testo è quindi diventato questo:Crocchia-Ossa dice che il popollo Gallese ha un profumo sensuoide. Dice che i Gallesi del Galles ha gusto di gallo”. Ecco che come per magia il tacchino si è trasformato in un gallo e dalla Turchia i giganti si sono spostati in Galles.

Questo è solamente un esempio per riflettere sul fatto che quando leggiamo un testo tradotto questo potrebbe non corrispondere esattamente all’originale. Con ciò non voglio colpevolizzare i traduttori, anzi, il loro lavoro non è dei più semplici e spesso non viene neppure retribuito come meriterebbe, ma è un po’ come quando visioniamo un film doppiato. Siamo soliti associare una certa voce ad un determinato attore e in questo modo lo riconosciamo immediatamente, ma quell’attore in realtà modificherà la sua voce in base alla parte che dovrà recitare e al luogo in cui la storia si svolge: se ad esempio si narra una vicenda ambientata in Irlanda l’attore dovrà adoperare, e quindi riprodurre, il corretto accento; noi però non ci accorgeremo di questa differenza grazie, o a causa, del doppiaggio.

Tornando ai libri di Roald Dahl, ve n’è un altro, l’ultimo scritto prima di morire, dedicato al tema della dislessia, tema che lo coinvolgeva personalmente. Si tratta de “Il vicario, cari voi” (Salani Editore, 2007; titolo dell’originale “The vicar of Nibbleswicke”), breve volumetto in cui si narra di un vicario che inconsapevolmente si ritrova a pronunciare parole o intere frasi al contrario. Anche in questo caso abbiamo un originale in lingua inglese ed una traduzione in lingua italiana, stavolta a cura di Manuela Barranu e Dida Paggi. Il lavoro di queste ultime è stato piuttosto complicato poiché non era chiaramente possibile avere una uguaglianza in quasi nessuno dei casi. Ad ammetterlo una di loro alla fine del libro (v. pag. 35): “Tradurre questo libro non è stato facile: nell’originale inglese il vicario si limitava a pronunciare le parole al contrario (ciò che noi abbiamo chiamato ‘dislessia retroattiva’). In italiano purtroppo i bifronti – parole che lette in un senso hanno un significato, e lette nell’altro ne hanno uno differente – sono pochi, e ancora meno con un’accezione che potesse risultare sensata e comica nel contesto del libro. Poi Manuela Barranu ha avuto un’idea: se i bifronti sono scarsi, gli anagrammi – lettere di una parola o di una frase che mescolate tra loro ne formano un’altra – sono molti di più, e possono assumere una miriade di significati diversi (ed ecco quella che abbiamo chiamato ‘dislessia mescolante’). Per restare più fedeli al testo possibile abbiamo quindi deciso in redazione di unire i due tipi di ‘dislessia’: avremmo usato i bifronti, e dove non fosse stato possibile, gli anagrammi.

Roald Dahl

Come vedete il traduttore si trova a reinventare parole, o persino intere frasi, così da avere una traduzione il più possibile fedele all’originale. L’intento di Roald Dahl in questo caso era quello di far conoscere a bambini e adulti la dislessia e lo voleva fare in modo giocoso. Le traduttrici hanno proseguito ciò e quanto leggiamo è in gran parte anche opera loro.

Naturalmente il discorso sarebbe molto più lungo ma tutto questo voleva dare una breve ma intensa panoramica del genio di Roald Dahl, in occasione del centesimo anno dalla sua nascita, e del lavoro che i traduttori quotidianamente compiono permettendoci di leggere splendide opere scritte in idiomi differenti dal nostro.

 

 

Written by Rebecca Mais

 

 

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