“Il nero e l’argento”, l’ultimo libro di Paolo Giordano: quella semplicità che da sempe caratterizza le sue opere

“A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso”

Ci sono storie che commuovono più di altre, forse perché trattano di vicende che abbiamo vissuto e scuotono in profondità emozioni che credevamo sopite. È quanto è accaduto con l’ultimo libro di Paolo Giordano, “Il nero e l’argento”, edito da Einaudi nell’aprile 2014.

Quello dello scrittore torinese, classe 1982, che abbiamo imparato a conoscere per “La solitudine dei numeri primi”, è un romanzo sentimentale che parla di famiglia, di coppia, di rapporto genitori-figli, di solitudine negli anziani, di malattia e di morte.

È la storia di un professore universitario di fisica, di cui non conosciamo il nome, trentacinquenne, sposato con Nora da circa dieci anni, e padre di un bimbo, Emanuele. Ad occuparsi della famiglia, fin dai tempi della gravidanza difficile di Nora, è sempre stata l’anziana domestica, la signora A. (solo alla fine ne scopriremo il nome) che, come una sorta di “Mrs Doubtfire”, solamente più seriosa, ha sempre risolto loro ogni problema.

La donna è custode della loro relazione, una vera e propria bussola con la quale orientarsi. E quando, dopo otto anni, si ammala di cancro ai polmoni e deve rinunciare al suo lavoro, in casa si spalanca un vuoto improvviso. “La signora A. era la sola vera testimone dell’impresa che compivamo ogni giorno. La sola testimone del legame che ci univa. Senza il suo sguardo ci sentiamo in pericolo”. L’opera parla di piccole vicende familiari, per analizzare in realtà tematiche più profonde.

Come per esempio l’ineluttabile egoismo che la malattia fa scaturire nell’essere umano, e soprattutto la generazione di giovani, che sembrano impauriti dalla vita ed incapaci di reagire. Nora e suo marito vivono “imprigionati” nella confusione delle loro comode abitudini.

La signora A. appartiene invece alla vecchia generazione, dove i ruoli fra marito e moglie erano stereotipati, forse dalle idee un po’ maschiliste, per via di quella riverenza incondizionata che si nutriva nei confronti del capofamiglia, ma sicuramente meno fredda, più umana.

Soprannominata “Babette”, è lei a prendersi cura del bambino. Lei ad abbracciarlo quando i genitori smettono di farlo, nel tentativo di responsabilizzarlo e prepararlo all’età adulta. La signora A. diventa una di famiglia e si sostituisce perfettamente al ruolo di nonna.

Il sopraggiungere della malattia coincide con l’insorgere della crisi nella coppia, che lentamente si disgrega, così come il cancro, subdolamente, si impossessa a poco a poco delle funzioni vitali della loro domestica. Per comprendere meglio il calvario di Babette, il protagonista legge un libro scritto da un medico indo-americano, “L’imperatore del male”, un trattato sui tumori, dove scopre che il nero è il colore del cancro, ma anche quello del suo umore malinconico.

Forse per questo egli si sente così tanto legato all’anziana donna. Nora invece è argento, linfa che scorre chiara, inesauribile. “Ero sicuro che l’argento di Nora e il mio nero si stessero mischiando lentamente. Mi sbagliavo. Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l’uno nell’altra”. La prosa di Giordano in questo romanzo diventa più ricercata, il tono si fa intimistico, pur ritrovando quella semplicità che da sempre caratterizza le sue opere.

Possono le persone che si amano amalgamarsi l’una nell’altra, fino a diventare una cosa sola, oppure rimangono divise come l’olio con l’acqua? Un’opera struggente, dove l’ amore insegna e dall’amore si può imparare. E forse si può decidere di ricominciare, perché anche se Nora e suo marito non se ne rendono conto, il coraggio della signora A. è diventato anche il loro.

 

Written by Cristina Biolcati

 

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