“Amo la notte con passione”, libro di Guy De Maupassant – recensione di Alberto Rossignoli

“Amo la notte con passione. L’amo come si ama il proprio paese o la propria amante, d’un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con i miei occhi che la vedono, il naso che la respira, le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutto il mio corpo che le tenebre accarezzano”

Amo la notte con passione” non è tra le opere più famose di Guy De Maupassant, tuttavia, appena lessi il titolo, sfogliando la sezione “Letteratura” di una nota libreria online, non ho resistito alla tentazione di ordinarlo.

Appena aperte le primissime pagine, queste righe provocarono una profonda emozione nel mio animo, un’emozione che soltanto un animo poetico può concepire e, direi meglio, vivere. Perché era quasi esattamente ciò che, ogni notte, quando scrivo, o quando attendo (talora senza frutto) l’ispirazione, sento.

Era ed è l’atmosfera che la notte stessa crea nel mio cuore, un’atmosfera che, come recitano queste righe, non resta confinata, diremmo, nell’astrazione del sentimento, ma si incarna. Si inscrive nel corpo. Nella carne. Nella pelle. In ogni fibra del tuo essere. Questa è una delle magie che la notte ti offre…  Ma di cosa parliamo esattamente?

L’opera in questione si presenta coma una breve antologia, contenente sei racconti, sei componimenti, preferirei specificare, dato che l’ultima, intitolata I Boulevard (i titoli sono riportati in italiano), essendo una scritto di natura storico-documentaristica sulle più rilevanti (nell’opinione dell’autore) vie di Parigi, intrecciando fatti di vita, non rientrerebbe, per la precisione, nel genere del racconto puro e semplice.

Per cui, per dovere di precisione, chiamerò “racconti” i primi cinque componimenti. La vera protagonista di quest’opera, di ognuna delle parti in cui è composta, è la notte. La notte che, con il suo fascino magnetico e misterioso entra, sinuosa e quieta, quasi in punta di passi, nella vita dei personaggi dei primi cinque racconti.

Nel primo, dal titolo La notte, il protagonista, di cui, praticamente non si sa nulla (poiché potrebbe essere ognuno di noi) decide di avventurarsi nella notte parigina ma, quando i lampioni, per esigenze di risparmi energetico, sembra avere qualche tentennamento, e comincia a desiderare qualche forma di vita.

La notte, in questo caso, ha il sopravvento su questo desideroso protagonista, avviluppandolo nelle  tenebre fino a che, giunto sulle rive della Senna….Sente che il freddo e lo sconforto prenderanno la sua vita.

Nel secondo, Solitudine, due uomini, dopo una cena, decidono di passeggiare lungo gli Champs-Elysées. Uno di loro, rivela la sua ammirazione per la notte, asserendo che “di notte respiro meglio qui che da qualunque altra parte. Mi sembra che la mente si apra. Sento a tratti quella specie di luce nell’animo che ti fa credere per un secondo di poter scoprire il divino segreto delle cose. Poi la finestra si richiude. Ed è tutto finito.

La notte è in grado, seppur per un tempo breve, troppo breve perché l’anima possa assaporarla appieno, quale balsamo spirituale, di dischiudere un qualcosa che va oltre ciò che i sensi percepiscono, scortati dalla ragione, durante il giorno.

Sublime esaltazione, tuttavia così angosciosamente breve… Cosa rivela la notte, a quest’uomo? Cosa sussurra alla sua anima, che egli desidera condividere con l’amico?

Tra tutti i misteri della vita umana, ce n’è uno che ho svelato: la cosa che più ci tormenta della nostra esistenza è che siamo eternamente soli, e tutti i nostri sforzi, tutte le nostre azioni, tendono soltanto a rifuggire questa solitudine.

E qui sembra di udire, di lontano, la voce del filosofo francese Blaise Pascal, da alcuni considerato un esistenzialista ante litteram: siamo immersi nella solitudine, volenti o nolenti. Gli esseri umani fanno di tutto per stordirsi e dimenticarsi di questo. Ma annaspano nella stessa pozzanghera fangosa: è il noto divertissement, uno dei temi centrali del pensiero pascaliano.

Tuttavia, desidero aggiungere, anni dopo De Maupassant, un filosofo rumeno naturalizzato francese, Emil Cioran, userà, nelle sue opere, toni ben più terribili per descrivere la condizione umana. Ma non intendo anticiparvi di più: sarà materia di prossimi miei articoli.

Solitudine in grado di sprofondare una persona in un oscuro baratro, continua l’uomo… E questo baratro cos’è, se non la vita stessa? Risalito il lungo viale fino all’Arco di Trionfo, erano poi tornati indietro fino a Place de la Concorde.

Ivi, colui che teneva le fila della conversazione (o del monologo, che dir si voglia), “[…]tese il braccio verso l’imponente obelisco di granito che si erge sul suolo di Parigi lanciando tra le stelle il suo lungo profilo egiziano, monumento in esilio recante sul fianco la storia del suo paese scritta in simboli strani.

A questo punto, l’amico esclama: “Ecco, siamo tutti come questa pietra.” Che significava?

Forse… Noi crediamo di cambiare. Crediamo di imbarcarci verso nuove rotte. Tuttavia, alla fine… Non siamo altro che noi stessi.

Il terzo, Passeggiata, narra di un serio impiegato ligio al dovere, Leras, abitudinario, sin quando, di ritorno dal lavoro, quasi inebriato dalla luce del tramonto, decise che avrebbe fatto un giro per la città, anzitutto cenando in una taverna nei pressi degli Champs-Elysées, in seguito passeggiando per i boulevard fino a che, stanco, si sedette su una panchina. Lì fu avvicinato da una prostituta, così si alzo per andarsene, ma un’altra e un’altra ancora gli rivolsero la parola, mai per dialogare umanamente, no… Per contrattare un surrogato di amore, un qualcosa che, con l’amore vero, con il sentimento, nulla ha a che spartire.

Così ragionando, Leras si rese conto di quanto misera fosse la sua esistenza. Non aveva provato alcuna forma di amore, figuriamoci quello vero… Una vita fatta di grigiore, banalità, ripetitività… Di gesti sempre uguali a se stessi. Una vita fondamentalmente vuota, senza passione…

Cosa aspettava? Cosa sperava? Niente. Pensava che doveva essere bello, da vecchi, trovare, tornando a casa, dei bambini che pronunciano le loro prime parole. La vecchiaia è più dolce, quando si è circondati da quelle creature che vi devono la vita, che vi amano, vi accarezzano, vi dicono delle parole sciocche e piacevoli, che scaldano il cuore e consolano di tutto il resto. E pensando alla sua camera vuota, alla sua stanzetta ordinata e triste dove mai nessuno entrava oltre  a lui, una sensazione di sconforto gli strinse il cuore.

Lo ritroveranno il mattino seguente, impiccato ai rami di un albero.

Nel quarto, Una serata a Parigi, troviamo il signor Saval, notaio di Vernon, appassionato di musica, il quale cerca febbrilmente di emergere, trovando i contatti giusti. Si trovava a Parigi, come di consueto quando una nuova opera veniva rappresentata in teatro, quando gli venne l’idea di fare un giro per i locali più alla moda della città, quelli, in particolare, più frequentati dagli artisti: approdò al Rat-Mort, dove si trovò a chiacchierare con il signor Romantin, artista di grido e vincitore di una medaglia d’oro all’ultima Esposizione.

Venuto a sapere che, a casa del famoso artista, ci sarebbe stata una festa (con parecchie personalità di spicco del mondo artistico), riesce a farsi invitare. Tuttavia, presto Saval intuisce che qualcosa non quadra: Romantin gli fa preparare la sala del suo atelier per la festa, sfruttando la sua ingenuità e la sua ammirazione; inoltre, di lì a poco, lo lascia solo ad aspettarlo per un’ora circa, senza fornire spiegazione alcuna.

Finalmente, la festa ha inizio, benché Romantin non si vedesse ancora. Sarà, per Saval, una festa dal sapore amaro: scambiato per un valletto, viene umiliato e fatto ubriacare. Successivamente, gli vengono sottratti i vestiti e viene messo a letto. Verrà scacciato il mattino seguente da un’anziana che, con una scopa in mano, ripuliva la stanza.

Nudo e raggirato.

Nel quinto, Un’avventura parigina, troviamo una donna, provinciale, che, annoiata dal grigiore della sua vita, decide di fare un viaggio a Parigi, per provare avventure nuove, dopo, naturalmente, aver trovato come pretesto quello di andare in visita da alcuni parenti, per giustificarsi con suo marito.

Giunta in città, conosce un famoso scrittore, Jean Varin e, affascinata dalla sua presenza, ben presto decidono di uscire insieme. Prevedibilmente, al termine della serata galante si ritrovano nel medesimo letto. Quella notte, tuttavia, la magia svanisce… “[…] lei era semplice come può esserlo la sposa legittima di un notaio di provincia, e lui più esigente di un perverso pascià. Non si capirono affatto.” Se ne ritornò a casa il prima possibile e, ivi giunta, scoppiò in lacrime.

L’ultimo scritto, come anticipato, si presenta come una disquisizione marcatamente storico-cronachistica dei boulevard parigini, che l’autore ci presenta frammisti con storie di vita vissuta: ci presenta il politico Mirabeau, le eleganti dame della Rue de la Chaussée-d’Antinfitte, la rue Laffitte, il padiglione di Hannover con , a poca distanza, la casa di Mademoiselle Lenormand e altre vie…

La notte…

La notte ammaliatrice. La notte seducente. La notte che, con un tocco magnetico, mesmerizza il tuo cuore, facendoti vivere un sogno, o un’illusione o che… Ti schiude il significato più profondo della tua vita.

La notte…

 

Written by Alberto Rossignoli

 

Un pensiero su ““Amo la notte con passione”, libro di Guy De Maupassant – recensione di Alberto Rossignoli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *