La felicità è solo uno stato d’animo di un lampo – riflessione di Ninnj Di Stefano Busà

Vi sono elementi che fanno pensare che la Felicità tanto agognata non esiste, è solo frutto della nostra fantasia, del nostro impenitente desiderio di magnificare il nostro    io  rendendolo responsabile di una situazione paradossale, di un modello eccellente di esser(ci) nel mondo, al fine di caricarlo di tutta quella colpa, di tutta quella assenza che in realtà è dentro di noi.

Siamo noi, infatti, i principali artefici della nostra vicenda personale, della nostra felicità negata e siamo sempre noi a sprecare le uniche occasioni che abbiamo per poter usufruire di quella che utopisticamente crediamo possibile ottenere.

Il concetto di Felicità è un concetto astratto in partenza, una marca di abbigliamento che non ci  dà lo sconto promesso, non ci è dato di indossarla, perché siamo incapaci di scrutare i segni della sua eventuale presenza in noi. Siamo sempre noi ad accorgerci che non la possiamo mai afferrare, perché siamo bloccati da una struttura mentale, biologica, fisica, strumentale, una incapacità congenita che non ci consente una dinamica strutturale adeguata.

La Felicità e posta su un piano inclinato, più noi ci agitiamo, tentiamo di raggiungerla, più essa si allontana da noi, precludendoci quelle prelibatezze, quelle  altezze miracolistiche che crediamo di poter raggiungere nello sforzo quotidiano di stringerla a noi.Ma come la Perfezione è un puro frutto dell’utopia e non esiste sulla terra, anche la Felicità è una condizione idealizzata della realtà, uno stato d’animo, una condizione evocativa del nostro bisogno di Perfettibile in un mondo completamente privo della Perfezione.  Del resto la creatura terrestre, ovvero l’uomo corrisponde alla tipologia di uno dei più imperfetti misteri planetari.

È proprio dell’uomo, dunque, ambire alla tanto agognata felicità , senza possederne i requisiti, avere le pur minime proprietà referenziali. Ritengo la struttura bel suo meccanismo biologico/sensoriale non sia fatta per essere addestrato a percepire i segnali, sue assenze, le mancanze le incongruenze della sua esistenza e che essi siano talmente lontani dal suo modo di gestire le perdenze, da non accorgersi neppure dove sbaglia. Egli sbaglia nel ritenersi un privilegiato a cui si deve la Felicità, perché quest’ultima non è un prodotto che puoi trovare ovunque, la Felicità va conquistata giorno per giorno, va goduta goccia a goccia, va tutelata, va protetta da ogni violenza. La Felicità è fragile, perché non offre mai nient’altro che qualche opportunità da cogliere e questa quasi sempre sappiamo sfuggirci dalle mani, poiché non sappiamo riconoscerla.

La felicità sta nelle piccole cose,  nei piccoli interludi dell’attimo che se ne fugge via, sta dentro e non fuori di noi, sta esattamente in quello che vorremmo essere e non siamo, da qui l’eterno scontento, l’insoddisfazione, la delusione, l’amarezza, il disincanto che ci precludono ogni più piccolo tentativo di vederla. La tendenza a voler istruire una pratica di lasciapassare per il paese della Felicità ci porta a commettere atti indecenti, a vivere perennemente con la spada di Damocle sulla testa, a causa di tanta altra  infelicità che ci andiamo a creare, quando entriamo in conflitto con la parte più inconscia della nostra personalità. Ma, ci siamo mai chiesti cosa vogliamo veramente? quale è la forma e la sostanza che perseguiamo per dirci davvero felici? Suppongo che ognuno creda che tale felicità gli venga elargita dall’alto, chissà per quale virtù infusa, o per quale merito o dono di cui siamo i privilegiati, i favoriti del destino. Non  muoviamo un dito per meritare una piccola porzione di felicità, ma pretendiamo che la stessa ci piova dal cielo gratuitamente. La felicità invece, è una strana simbiosi tra il dare e l’avere, è un’alchimia di ingredienti dosati : in eguali proporzioni si può raggiungere la serenità, in mancanza di uno o dell’altro elemento si può essere in presenza di  atarassia o al contrario in preda a quel senso smodato, scomposto della personalità presuntuosa, portata alle estreme conseguenze da un io facinoroso, egocentrico.

La caratteristica peculiare della Felicità non è la perfezione, ma l’uso di essa. Sono convinta che se anche l’uomo possedesse l’universo intero, la fama, il successo, la ricchezza, gli onori, l’amore, l’intelligenza e quant’altro, andrebbe alla disperata ricerca di qualcosa che non possiede che non esiste o non gli è manifesta. Ed è proprio in questa sua inamovibile insoddisfazione, in questa sua distorsione della realtà sta il difetto della sua realizzazione. Egli non può godere mai della Felicità che non esiste, poiché di sicuro la felicità cui aspira è solo il desiderio della felicità, la condizione primordiale del suo innamoramento nei riguardi di un sogno. Sta nel fattore precipuo della limitatezza umana il bisogno di felicità, ma la difficoltà a realizzarla, a goderla sta nell’insufficiente aspettativa, sta nel ricercarla in modo forsennato il motivo più errato per non poterla possedere.

Quando il frastuono della vita convulsa e contraddittoria smaschera la fragilità della nostra aspettativa, la sconfitta sembra inevitabile. Quello che ci apre a una piena rivelazione della nostra incapacità di possedere la felicità è un sistema di vasi comunicanti: quando si arriva all’ultimo e non trovi quel che prima ti è apparso raggiungibile, si torna indietro e il percorso della relatività ti trova impreparato e fragile, davanti ad un senso di mobilità del senso della felicità che è smisurato e si trova sempre altrove, lontano da noi, dalle nostre presunzioni, dai nostri marchingegni e atrocità fatti in nome di quella aspirazione così radicata e potente, da non saperla neppure indagare. Insieme  alla felicità che non trova mai, l’uomo è tormentato dal dolore, dalla solitudine e oscilla fra una esaltazione momentanea e un rinnovato abbattimento.

La felicità sta in sé, non si agita, non si adatta a stratagemmi, a complicità di sorta, non combacia con il logico bisogno di un refrigerio temporaneo. La Felicità è un Ente transcendente, è una guerra all’ultimo sangue dichiarata e conbattuta ogni giorno nei territori impervi di una città-fantasma, nel cuore di fattori predisponenti che al solo sfiorarli si sfaldano. L’impalpabilità è la sua regola, ed è la logica conseguenza di una condotta che non vanifica la status interiore della consapevolezza, è un modus vivendi che rasenta raramente quei paradisi dell’oltre cui aspiriamo, ma  sta a noi determinare  la dinamica che presuppone un lungo tragitto di esperienze,un forte equilibrio nel gestire l’episodio umano come un evento irripetibile da cui si deve trarre il massimo della saggezza per poter aspirare ad uno solo episodio di felicità.

Written by Ninnj Di Stefano Busà

 

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