“L’ultima infedeltà” poesia di Guido Gozzano: la tristezza si dilegua
La poesia “L’ultima infedeltà” è stata pubblicata all’interno della silloge “I colloqui” del 1911 nella sezione “Il giovenile errore”.
“L’ultima infedeltà”
Dolce tristezza, pur t’aveva seco,
non è molt’anni, il pallido bambino
sbocconcellante la merenda, chino
sul tedioso compito di greco…
Più tardi seco t’ebbe in suo cammino
sentimentale, adolescente cieco
di desiderio, se giungeva l’eco
d’una voce, d’un passo femminino.
Oggi pur la tristezza si dilegua
per sempre da quest’anima corrosa
dove un riso amarissimo persiste,
un riso che mi torce senza tregua
la bocca… Ah! veramente non so cosa
più triste che non più essere triste!
Guido Gustavo Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 – Torino, 9 agosto 1916) è stato un poeta italiano.
Il suo nome è spesso associato alla corrente letteraria post-decadente del crepuscolarismo. Nato da una famiglia benestante di Agliè Canavese, inizialmente si dedicò alla poesia nell’emulazione di D’Annunzio e del suo mito del dandy.
Successivamente, la scoperta delle liriche di Giovanni Pascoli lo avvicinò alla cerchia di poeti intimisti che sarebbero stati poi denominati “crepuscolari”, accomunati dall’attenzione per “le buone cose di pessimo gusto”, con qualche accenno estetizzante, il “ciarpame reietto, così caro alla mia Musa”, come le definì ironicamente lui stesso.
Morì a soli 32 anni, a causa della tubercolosi che lo affliggeva.
“L’ultima infedeltà” tratta della mancanza di un vero affetto, di un passo femminile. Il poeta sente che anche la “dolce tristezza” sta abbandonando la sua “anima corrosa” nella quale persiste il “riso amarissimo”.
La chiusura con una epanadiplosi che conferma l’iniziale verso: “non so cosa/ più triste che non più essere triste!”. Il poeta è sbaolordito dall’allontanamento della tipica tristezza/malinconia con la quale vive e si sorprende perché non riconosce cosa sia più triste: se l’essere triste oppure se rattristarsi del suo non essere più triste.