“Il passo della strega” di Fabio Soricone: la poesia come rito di rivelazione
“La tua grazia sporcata dal nero atollo/ dove si nascondono i demoni./ Un’anima invasa da perpetue creature degli abissi/ fino a martoriare la tua bellezza,/ a deturparti la voglia di vivere. […]” ‒ poesia “Anneliese”

La raccolta poetica Il passo della strega di Fabio Soricone, volume di recente pubblicazione, si colloca in un contesto di poesia italiana contemporanea che esplora tematiche quali la soggettività, il simbolo e il mondo del mistero.
Pubblicato nel 2025 da Tomarchio editore, è già il titolo ad anticipare in qualche misura il contenuto della raccolta, che evoca la figura della strega come simbolo di marginalità e potere silenzioso.
La strega citata nel titolo è figura simbolica, ed è archetipo del sapere negato, della libertà punita, che cammina in un paesaggio interiore, lasciando dietro di sé tracce, segni, passi.
Soricone non scrive una raccolta sulla stregoneria nel senso comune del termine: scrive una poesia della soglia, in cui la strega rappresenta anche il femminile primordiale, l’intuizione, la memoria del sacro.
La figura della ‘strega’, nel panorama letterario contemporaneo, è stata riabilitata come simbolo di libertà e di conoscenza, ed è in un contesto poetico ricercato che Soricone la colloca: la strega non è l’essere oscuro della superstizione, ma la custode dell’ombra, la voce che sussurra dal margine, l’interprete dei segreti della terra e della memoria. Diventando metafora di chi rifiuta di piegarsi all’omologazione, di chi conserva un sapere arcaico e intuitivo, in antitesi alla sterile razionalità.
“Il passo della strega” è quello dell’artista, del poeta, di chi attraversa la realtà con uno sguardo obliquo e rivelatore: è quello di chi osa guardare dove gli altri distolgono lo sguardo. Con movenze che non sono una mera passeggiata, ma un rituale, una scoperta, elementi entrambi intrisi di mistero. Che è poi il passo di chi sa di entrare nello spazio nascosto di un altrove di natura ancestrale, il quale delinea un confine che separa il mondo del mistero da quello sfavillante della luce.
In questa sua silloge, Soricone indaga l’oscuro, la soglia tra mondi, dove la strega diventa figura liminare: lì, dove lo spazio liminale è luogo materiale di transizione fisica, o anche passaggio psicologico tra due stati diversi. Quale può essere un corridoio, una stazione oppure un momento di incertezza nella vita.
Spazi, caratterizzati da un senso di attesa, dalla percezione di ‘essere a metà strada’ tra un prima e un dopo, in cui il passo suggerisce un movimento lento, consapevole, forse transitorio, tra mondi alternativi, tra luci e ombre. Oppure, una linea che attraversa una soglia sospesa dove l’umano e il sovrannaturale si sfiorano. Un luogo dove la poesia diventa rito ed evocazione, oltre che metamorfosi.
“[…] Tieni a mente un colore, uno soltanto,/ sbiadito o scuro non fa differenza/ portalo come un fiore da custodire dentro l’anima. […]” ‒ poesia “Anneliese”
Le liriche di Soricone attingono a temi che si intrecciano come fili di un arazzo antico: la mitologia, che riaffiora come un eco di culti antichi; la religione, intesa come tensione spirituale ma non dogmatica; la natura misterica, viva e pulsante, che diventa luogo di rivelazione; il cinema, evocato come immaginario visivo e simbolico, in quanto linguaggio che cammina parallelo alla parola poetica.
Nel corso della raccolta, l’autore sembra oscillare tra la concretezza del vissuto e la dimensione fantastica o simbolica: la natura, la corporeità, la memoria, l’atto della poesia stessa diventano terreno di confronto con l’ignoto, con l’invisibile. Tanto da poter definire il contenuto dei versi un ‘attraversamento’, lì dove Soricone accompagna i suoi lettori con passaggi rituali, per invitarli ad accogliere l’ombra, il cui potere trasformativo si può declinare in visioni poetiche. Che possono generare sensazioni di nostalgia, inquietudine o disorientamento.
“Si è fatto buio./ Gli alberi attoniti si destano/ come bambini/ nel cuore della notte. […]” ‒ poesia “Sabba”
Proposta poetica intensa e meditativa, Il passo della strega vuole essere un invito al lettore a inoltrarsi in un cammino che si snoda tra uno spazio temporaneo e un senso di profondità. Con versi che lambiscono il mistero, e parole che risuonano e spingono a guardare oltre. Con un contenuto lirico che gode di vari punti di forza: l’originalità ad esempio.
In sintesi, Soricone non cerca la facile evocazione ma la tensione verso l’imponderabile. E lo fa con una lingua poetica attenta ai suoni, ai silenzi, alle pause. Perché le sue, più che semplici descrizioni, sono poesie che si fanno gesti.
A seguire, altro punto di forza è l’unitarietà della raccolta: il tema della trasformazione, del confine, della figura della ‘strega’ come simbolo unitario, danno coesione alla raccolta. A cui si affianca la qualità linguistica da cui si evince una poesia ben curata, con il rispetto per la forma e per il ritmo.
Se qualche criticità la si può adombrare si tratta di minuzie. Quale ad esempio la densità simbolica, che può diventare un ostacolo ad una immediata fruizione poetica, nel senso che il lettore potrebbe trovarsi a dover scandagliare il testo, più che entrare subito fra i versi. Lì, dove alcune liriche hanno una struttura interna complessa: giochi di luce-ombra, richiami mitici o archetipici, metafore che frugano nell’inconscio.
Mentre uno degli aspetti più interessanti del libro è la commistione di mito, natura e immaginario visivo, in quanto la poesia di Soricone ha spesso una potenza cinematografica che si traduce in immagini di boschi, lune, acque, corpi in metamorfosi. Come se la sua scrittura costruisse una scenografia simbolica, dove l’elemento naturale diventa specchio dell’anima.
Il riferimento al cinema, presente nella prefazione a cura di Alessia Mocci, non è casuale: il poeta sembra montare le sue immagini come un regista, alternando sequenze di luce e ombra, primi piani emotivi e campi lunghi dell’immaginazione. L’effetto è quello di una poesia visiva e sonora, che si legge ma anche si ascolta, si vede, si attraversa.
Lì, dove ogni poesia di Soricone la si può interpretare come un fotogramma sospeso tra realtà e incanto, tra sogno e memoria, che abita una dimensione visionaria, in cui le immagini si muovono come in una pellicola notturna composta da lampi, ombre e apparizioni.
La notte, nei versi del poeta, non è assenza di luce ma spazio di conoscenza, luogo dove si ascolta ciò che il giorno tace, dove la parola poetica diventa rito di evocazione. Perché nell’oscurità c’è consapevolezza, non paura; Soricone non teme il buio: lo esplora, lo attraversa, lo accoglie. Ed è da interpretarsi come una metafora della ricerca di sé, della verità, della parola poetica che cerca la sua forma.
“[…] Qui la terra/ non ha che la voce del vento/ e della pioggia/ a sfiorare le ossa. […]” ‒ poesia “Sabba“
La lingua di Soricone è densa, evocativa, non sempre immediata. Richiede attenzione e ascolto, come un canto che si rivela lentamente. Non cerca il compiacimento formale, ma la profondità del simbolo.
Le parole sembrano provenire da un luogo interiore remoto, dove la poesia non descrive ma trasfigura. In un equilibrio tra intensità e misura, tra visionarietà e controllo in cui si avverte una tensione spirituale sottile, che non appartiene alla religione ma all’esperienza del mistero.
Nei suoi versi Soricone dosa con sapienza il silenzio e l’immagine, creando una tensione poetica che non spiega, ma evoca con versi che si muovono con ritmo fluido, libero, senza costrizioni metriche. Versi che respirano, appena sussurrati da una voce interiore.
Il passo della strega è, in definitiva, un libro di soglia: tra luce e tenebra, tra umano e divino, tra antico e contemporaneo. È un attraversamento, un rito iniziatico che chiede di guardare l’invisibile. Con la figura della strega che cammina davanti, e con il suo passo invita a seguirla nel territorio dell’immaginazione, dove la poesia diventa conoscenza e metamorfosi.

Perché Il passo della strega è un libro rivelatore, un viaggio poetico nell’ombra e nella conoscenza. Opera che dialoga con la tradizione e con il presente, insegna che la poesia può essere un atto di coraggio, un attraversamento dell’ombra, che restituisce dignità al mistero, alla complessità, alla profondità del simbolico.
In un tempo che teme il silenzio e rifiuta l’ambiguità, Il passo della strega è un libro che si legge con gli occhi, ma si ascolta con l’anima. Un passo dopo l’altro, nel silenzio incantato della notte. Volume indicato per gli amanti della poesia contemporanea, interessati a esplorare linguaggi simbolici e immagini archetipiche, come a chi ama una poesia che non spieghi tutto ma suggerisca e induca a riflettere. Meno indicato per chi preferisce versi ‘leggeri’, immediate invocazioni emotive senza strato simbolico profondo.
In conclusione Il passo della strega è raccolta amata da chi non teme l’ombra, a chi è disposto a camminare su terreni incerti, a chi ama le poesie che sfidano la visibilità, che evocano più che spiegare. A chi vuole, insomma, una poesia che interroghi l’invisibile, il rito, il mito, e non resti sulla superficie.
“[…] Tra poco sarà/ di nuovo mezzanotte/ e tornerà/ la ricorrenza segreta,/ la vestizione obliqua della natura/ dove cangiano i volti. […]” ‒ poesia “La notte delle streghe”
Written by Carolina Colombi
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Pubblica con Tomarchio Editore

