“Raccontami tutto” di Elizabeth Strout: un ponte fra i mondi dei romanzi precedenti
“Bob aveva capito una cosa diventando adulto, che agli altri non importava, se non per qualche secondo al massimo. Non era colpa di nessuno, semplicemente la maggior parte della gente non è in grado di interessarsi davvero a esperienze non sue.”

Ho letto tutti i libri di Elizabeth Strout, pertanto non poteva mancare l’ultimo: “Raccontami tutto”, uscito nel 2025 per Einaudi.
Prima di tutto, desidero riportare alcune informazioni biografiche e alcune note sulla sua bibliografia.
Elizabeth Strout nasce il 6 gennaio 1956 a Portland, nel Maine, Stati Uniti. Dopo una laurea in Inglese al Bates College e un diploma in giurisprudenza alla Syracuse University, inizia una carriera variegata che comprende l’insegnamento della scrittura creativa e altri impieghi, prima di dedicarsi completamente alla narrativa.
Il suo percorso l’ha resa una delle voci più significative della letteratura americana contemporanea, riconosciuta per la capacità di illuminare l’ordinario con una luce morale e poetica. La sua scrittura affonda le radici nel paesaggio e nell’anima del Maine, dove ambienta molte delle sue storie, popolate da personaggi comuni, feriti, spesso soli, che portano addosso il peso della memoria e delle relazioni imperfette.
I temi centrali della sua opera sono la solitudine, le ferite familiari, il tempo, la compassione, la ricerca di un senso e costituiscono il suo vero territorio narrativo.
Strout non cerca mai di stupire, ma di svelare: la sua arte è tutta nell’ascolto, nella capacità di dare voce alle emozioni taciute e di restituire dignità alla fragilità umana. Opere come “Olive Kitteridge”, “Mi chiamo Lucy Barton”, “Oh William!” e “Lucy by the Sea” hanno dato vita a un vero e proprio universo condiviso, dove personaggi e luoghi ritornano come vecchi amici o come fantasmi di un’umanità in divenire.
Con “Raccontami tutto” (Tell Me Everything), Elizabeth Strout compie un passo ulteriore: crea un ponte fra i mondi dei suoi romanzi precedenti, intrecciando le voci di Lucy, Olive, Bob Burgess e altri volti noti in una coralità che è anche una riflessione sul narrare stesso.
Il romanzo prende avvio da un episodio giudiziario ‒ la scomparsa di una donna anziana e le accuse rivolte al figlio, Matthew Beach ‒ ma la trama investigativa è solo un pretesto: ciò che davvero interessa a Strout è osservare come un evento di rottura scuota le relazioni, metta a nudo il dolore, costringa a ripensare la verità.
Bob Burgess, ormai sessantacinquenne, si fa portavoce del disincanto e del bisogno di redenzione che attraversano l’opera, mentre Lucy Barton è ancora una volta testimone e mediatrice del dolore altrui.
Il momento d’incontro tra Lucy e Olive Kitteridge, due figure cardine dell’universo dell’autrice, assume qui un valore emblematico: è il dialogo tra due coscienze, due modi di stare nel mondo ‒ la vulnerabilità e la durezza, la confessione e il silenzio ‒ che finalmente si guardano, riconoscendosi.
Sul piano stilistico, “Raccontami tutto” conferma la cifra sobria e luminosa della sua autrice: frasi brevi, pause e omissioni che creano una musica interiore.
Nei silenzi di Strout si annidano le verità più profonde. La coralità, talvolta complessa, non toglie coesione: restituisce invece la sensazione di un grande affresco di anime, di un’umanità che si cerca e si interroga.
Elizabeth Strout appartiene a quella costellazione di scrittori e scrittrici che hanno saputo coniugare la delicatezza della percezione con la precisione del racconto morale, Strout scrive storie che sembrano piccole ma contengono un mondo, esplora la disarmante semplicità dei rapporti familiari, mostrando come l’amore e la stanchezza convivano nella stessa stanza, condivide una visione spirituale e meditativa della vita ordinaria, una sorta di teologia sommersa della compassione; la capacità di restituire la vita di provincia in tutta la sua austera bellezza.

Questo libro, che consiglio, va letto con calma, lasciandosi attraversare dalle parole come da un dialogo intimo. È adatto a chi ama le narrazioni che non offrono soluzioni ma domande, a chi trova nella letteratura uno specchio del quotidiano e non una fuga da esso.
Suggerisco di leggerlo dopo aver conosciuto almeno “Olive Kitteridge” e “Mi chiamo Lucy Barton”: solo così si coglierà la piena potenza della rete di rimandi che Strout ha costruito nel tempo.
Un romanzo che ci invita, come il titolo suggerisce, a raccontare tutto, ma soprattutto ad ascoltare tutto ciò che, nel silenzio, resta ancora da dire.
Written by Giovanna Fracassi

