“Tutti gli uomini del re” di Robert Penn Warren: il tempo ossessiona?

Quanti sono i libri che hanno fatto la Storia (altrui, ora mia)?

Tutti gli uomini del re di Robert Penn Warren
Tutti gli uomini del re di Robert Penn Warren

Uno è Tutti gli uomini del re di Robert Penn Warren, che ti toglie la parola, donandoti la sua, te la nega, ripigliandosela, va avanti e indietro, tanto il tempo della scrittura è il medesimo, il tuo è quello della lettura! Ed è la prima volta che m’imbatto in frasi così mozzate: “e non c’è ragione per cui questo stato–”, oppure: “E per quanto riguarda i soldi–”, ovvero: “Quell’uomo… quello con cui lavori–”: c’è una caotica differenza fra i tre puntini e la barretta. I primi sono mele succose e dolci, i secondi frutti tostati e secchi. I primi si adattano a frasi come Ti voglio così bene… I secondi urgono in pensieri tagliati all’improvviso: Ti voglio– oppure solo Ti–  e che poi s’intenda amare o uccidere, trattenere o lasciare, lo si può solo ipotizzare. All’Altro è venuto meno non il tempo, che ce n’è più che di vita, ma l’energia, l’eventualità spazio-temporale, se vogliamo essere relativistici. E il Tempo, ‘sto quotidiano sconosciuto, che di doman non c’è certezza, ma manco di ieri, né di ora, ché, a sentire i fisici, manco l’attimo esiste mentre fugge. O esiste ma non è. Chissà che ne dici tu, eleatico mio e di chissà chi, oramai.

Colgo ogni poche righe una massa aggrovigliata di similitudini e di metafore, inaudite e banali, come quelle che uno spara al prossimo o a sé, mentre è in fila alla cassa o messaggiando al cellulare, dispositivo che manca negli anni ‘30 e quando uno telefona deve aspettare che una compiacente signorina gli dia la comunicazione. Complicato, o no? Lo si chieda ai miei figli, che sono nati col satellitare nella cuna. Del resto c’è tutto, la corruzione, la mala politica, di idealisti, no, non ne ho incontrati. Mi mancano alcune centinaia di pagine. Sto sottolineando le similitudini, le somiglianze, le affinità, le apparenze, le metafore, i discorsi autobloccati, gli accenni al mistero del tempo e poi, mi chiedo, che me ne farò di tutto ciò? Mica posso buttarli qui, che di spazio non ce n’è. E vorrei che fosse lindo, non troppo, ché offenderebbe la brama di vivere. Il viaggio sarà lungo. S’arriverà, prima o poi. Leggere un libro è attraversare un mare di sabbia o un giardino botanico, dipende. Sto pensando a Deserti di Carla Perrotti. Lei era in groppa a un dromedario, io a un sofà. Che cambia? Il fine è quello di Totò: andare dove si deve andare, alla parola che chiude per sempre. Concludere una lettura è morire.

“Uscite dalla città e prendete la Highway 58, direzione nord est…” – obbedisco. Sei un navigatore ante-litteram. Non ci capisco nulla: “Il fine ultimo dell’uomo è il sapere, ma c’è una cosa che non saprà mai.” – è orrido quanto dici, lo getto a terra! – “Il Capo girò la testa per guardare Duffy con una tale rapidità e così all’improvviso che si percepì solo un movimento sfuocato.” – e poi “spiegò, lo sai come funziona in politica. Quindi–”

Ne Tutti gli uomini del re descrivi ogni cosa con minuzia psicologica. Basti dire che quel mondo è imprevedibile come un crotalo. Il Capo dice a un sottoposto: “È tutto chiaro o ti devo fare un disegno?” – frasetta da–

Si va in un luogo e tu la descrivi con minuzia psicologica irreale e realistica, e aggiungi: “Ecco, era quel genere di casa lì.” – bene – “… iniziammo a distinguerne la faccia abbronzata e segnata, con quella pelle sottile, appesa alle ossa, che dà agli anziani quell’aria di provvidenziale pazienza, i capelli grigi allisciati sul cranio ovale…” – ok – “Il Capo era in piedi sui gradini, sbattendo le palpebre e sorridendo, come se fosse mezzo addormentato e sapesse già che sogno avrebbe fatto.” – …creatura mitologica che nacque uomo. Quanti “come” a pagina 44 de Tutti gli uomini del re! Quanti come a–

“Ma di solito quello era il preavviso che ti dava il Capo. Ne avevo viste abbastanza da saperlo.” – oh, Jack, ti rivolgi a me come se fossi in gruppo con altri. Al momento ci sto io e stop. A pagina 70 de Tutti gli uomini del re scocca la scintilla fra i poteri esecutivo e giudiziario. Sara un leitmotiv. All’inizio del Capitolo 2, torni a “Mason City”. E indietro in quell’illusione: il tempo – “Tempo e moto cessano di esistere. È come inalare l’etere…” – e così sia. I puntini sono miei. Tu hai per lo più quel– Con me lettore il tuo discorso è fluido, mai interrotto. “… vabbe’, insomma, entrai là dentro e in fondo all’androne e vidi…” – (puntini sempre miei): scorgesti un tot di banalità metafisiche, lo sai? Ex-ageri, svacchi, direbbe Gianni Celati, a cui non saresti spiaciuto: “Ma così sto andando in fretta.” – chissà se Gianni ha sognato di tradurti? Siediti e fatti un drink. Ora puoi–

“… la vera natura di Willie piano piano si manifestava…” – in quella landa temporale ancora non era il Capo, ma qualcosa si poteva presagire. Un mezzo fesso. Per poco. Credeva “di avere un rapporto speciale con Dio, o con il Destino, o con la Fortuna…” – qualche differenza coi nostrani, che bramano finanziamenti (occulti o palesi), basta che se magna!

Poi Sadie – nomen omen? – gli dà l’imbeccata: “E va bene imbecille, ti hanno fregato!” – e calca la mano, urtando Willie, dicendogli: “È chiaro o ti devo fare un disegno? Ci arrivi, adesso, testone?” – ci sta arrivando quel testone. Da oggi Sadie lo temerà. Willie diventerà il Capo. Si ritirerà dalle competizioni dopo aver seminato della polvere da sparo, e aver estratto dal frigo della nitro-glicerina – “‘Li ammazzo,’ disse in un bagno di sudore.”bellina la virgola, santo il progetto.

“Il Tempo non è niente per un maiale, e nemmeno per la Storia.” – punto. Non a capo. Non ho tempo né spazio da perdere: “…come si dice che scorra il passato davanti agli occhi di un uomo che annega.”. – poco più in là finisce il Due. Dal Tre in poi le cose cambiano. Patton dice: “Nessuno ha mai provato a impadronirsi di tutto lo stato. Nessuno mai–” – il tuo humour, Jack: “‘È una bella serata,’ dissi con un tono di voce che di solito, lo confesso, si riserva ai bambini, alle vecchie signore dure d’orecchio e agli imbecilli.” – se ci provi con me ti spacco il colon! Tu lo doni alla signorina Dummond, un’esaurita testé guarita da quei sintomi e ora alle prese con un nuovo attacco. Ti manda a quel paese. Fa bene. Ti conviene evitarla. Ascolta la mamma. Poveretta. Che vita la sua! Priva di marito (santo altrove) e opima di maschi che crepano uno alla volta. Non ne parlo. Ma c’è tutto, stipato in ‘sto ameno capitolino.

“Non c’è solitudine più profonda di quando sei in macchina di notte sotto la pioggia.” Ti perdi in quel discorso, a pagina 177 de Tutti gli uomini del re:del ragno che tesse quel filo”, per cui ti perdonerò finché potrò. 16 pagine dopo infili tante di quelle similitudini e metafore, aggrovigliate l’una nell’altra, che decido subito di non segnare più nulla. Non ne fai più di quelle che servono o che si leggono in altri libri: le tue sono magiche, anche se ovvie. A pagina 204 rievochi l’incontro con “quel vecchio grassoccio, sporco e pieno di forfora, con gli occhialetti cerchiati di metallo, che una volta…” – eccetera. Il consanguineo che t’ha rovinato e illuminato la Vita, donandoti le Maiuscole, e non sai che farne: sono Troppe! Bypasso su tutto, Dio compreso. Ho fretta d’arrivare al Quarto. Eccomi. Dove parli di Jack Burden – e di quel parente in cui egli, il tu che fu, s’imbatte leggendo “il diario” di quell’alter ego, che diventa alter is, poi alter ego, poi alter is. Lo scambio dura parecchio, e non capisco cosa c’entri col Capo.

Il tuo avo è un’altra Penna rispetto a te. È un altro Penn. Battuta. Non ha le nostre battute. La sua prosa è secca, meno bestiale. Tu sei cinico. Lui crede in Dio. Tu lo reinterpreti: “‘Eh.’ fece Simms (‘grugnì’ secondo il diario)…” – minuzie… e poi accenni a “quella che lui definì una ‘brama di tenebre’”: inquietante. Questo lo è di più: “È terra nera e sarà innaffiata da sudore nero.” – razzisti alcuni, tanti.

Si è nel 1800, prima della Guerra Fraterna, nel Sud. “Il diario terminava qui…” a pagina 252 de Tutti gli uomini del re. Mi mancherà l’idealista.  “Ma adesso io (che sono quello che Jack Burden è diventato)…” – siamo ben messi! E per Jack Burden quelle “erano solo parole…” – da onde che erano: ora particelle, che si posano sulle anime di chi le attesta, ci vanno a sbattere. Dice il Capo: “Non c’è mai una spiegazione. Su niente. Si può solo indicare la natura delle cose. Se sei abbastanza una gamba a vederla…”i puntini sono tuoi.  “Le cose…” – dici – “… Sono sepolte sotto i detriti del tempo…” – che ci vuoi fa’ – “… qualsiasi cosa sia stata già non c’è più…” – No! È altrove, trasformata in ricordo. In ciò che si definisce il presente. Quel che sarà il futuro.

Salto la metafora su Dio di pagina 269, non m’appartiene. Meglio questa: “… dei nuvoloni grigi, così bassi che le loro pance sfioravano aste e comignoli come scrofe gravide che attraversano un campo di stoppie.” – e tutto sol per: “Noi che amiamo la verità” – inoltre: “Ogni tempo passato confluisce in un unico tempo…” – che non è unico, lui. Non è.

Silenzio!, che ora inizia il Capitolo cinque de Tutti gli uomini del re: “Ma un momento, gentile lettore, mon semblable, mon frère…” – temo d’averti dato troppa confidenza – “… mi rivolgo a te, a ognuno di voi…” – al momento a combattere sono solo io!

A pagina 322 c’è un capoverso di 19 righe che farebbe venire il fiatone a James Joyce“Ma Anne Stanton non era quell’eroina, perciò non si appoggiò al lampione e non disse una parola, continuò a camminare insieme a me.” – congiunzioni e punteggiatura calibrate secondo l’usta dell’autore e/o del traduttore, l’erculeo Michele Martino.

Mi sono innamorato anch’io di ‘sta silfide? Mi fa tenerezza. Le avrei voluto bene, forse per tutta la vita. L’avrei sposata, fatto figli eccetera. Forse non avrei provato una folle passione erotica. Si deve provare l’amore, per crederci, come per le cucine di Biella. Tu non la smuovi dicendole: “… sono uno studente di storia, te lo sei scordato?” – … devi essere più incisivo, dire e fare altro, ammiccare… ma sei innamorato, quando scrivi: “Non c’era stato fruscio sulla spessa moquette. Capirai, con le piume che aveva al posto dei piedi.”la piccola ora veleggia sulla pagina 363, ove infilzi un virilismo dopo l’altro, sei da sberle: sintomi della tua nascente passione per il suo corpicino, l’anima l’avevi già infilata dentro.

Il tempo t’ossessiona: “… capii che il momento del presente era contenuto nel momento del passato”: “Sei innamorato”, cotto e crudo, a seconda del pensiero, rivolto al prima e al durante, che per il dopo c’è tempo. Sei su uno spiedo e paragoni l’amore a un’“eredità” o a un “cancro” – sei catturato: “Così ci sono due tu, quello creato da te stesso amando un’altra persona e quello che la persona amata crea amando te.” – concetti non meno illusori di quel signorino, il Tempus qui fugit, fottendoci il taccuino e l’anima!

“All’inizio sentite una trazione lenta, costante, graduale, che quasi non ci fate caso, finché non arriva l’accelerata, l’avvitamento vertiginoso e infine il tuffo nelle tenebre.” – e quel buco è nero, ma c’è chi dice che poi si schiarisce come la pianta del piede di uno zulu.

Robert Penn Warren citazioni solitudine
Robert Penn Warren citazioni solitudine

A pagina 457 de Tutti gli uomini del re s’annuncia un omicidio. 5 pagine dopo rimbalzi la responsabilità fra un te e un lui (morto da un bel po’). Dopo di che urli: “Se un uomo sapesse come vivere non morirebbe mai.” – dici che la vita è un romanzo a capitoli (divisi in paragrafi, in capoversi, in periodi). Un bimbo lo sa. Prima della fine dovrò dire a me stesso chi è ‘sto Capo, ‘sto Re. E se provassi adesso?

È un uomo che vorrebbe essere il Grande Fato degli altrui destini. E tu? Sei uno che vorrebbe capire. In tal modo sconfini nei destini altrui. Combinando disastri. Succede un incidente al figlio del Capo, che più che un delfino pare un vitello da sacrificare a un Cretino. Il Capo pensa di dedicare al figlio la sua opera più maestosa. Cavolate, dice sua moglie, ma usa un modo sommesso per dirlo: “Quelle cose lì non contano…” – non è lecito tornare indietro e fingere che non siano successe. Vieni in mio sostegno, quando scrivi: “La realtà non è una funzione dell’evento in quanto evento, ma della relazione che intercorre tra quell’evento e gli eventi passati, presenti e futuri.” – immagini che debordano, avanti e indietro, in su e in giù.

Alla fine, scrivi, “… pensai che ogni consapevolezza che vale la pena di conquistare va pagata col sangue…” – altrui, ovvio. Se fosse il tuo saresti un martire, un disgraziato, un perdente. Non saresti parente del capo, o amico, ma l’errore da eliminare. I due antagonisti sono ora fatti fuori dalla Storia, Colei che vince la Partita, ignobile come il suo sposo, colui che emerge dai cadaveri. Citi, senza nominarlo, Niccolò Machiavelli, “… quel cinico fiorentino che è il padre del mondo moderno…”

La Storia dà ragione ai miserabili: loro la reggono sulle spalle e quando si schiantano sul terreno sono adorati come santi. Tu sei un Burden, un carico da portare, e vivi in un luogo chiamato Burden. In una sua poesiola Rudyard Kipling cantava il The White Man’s Burden… Vigliaccate! Un ultimo pensiero? Quel Capo era un Uomo. Divenne un Capo. S’illuse. E morì.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Rober Penn Warren, Tutti gli uomini del re, 66thand2nd, 2014

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *