“Grande Sertão” di João Guimarães Rosa: alla ricerca dell’alter ego perduto
“Grande Sertão” di João Guimarães Rosa mi fa venir in mente quella frase di Eugenio Montale: “L’uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi”. Ci si affeziona al proprio Male di vivere, che a volte s’incontra, dice il poeta, come se fosse il rivo strozzato che gorgoglia… l’incartocciarsi della foglia riarsa… il cavallo stramazzato… (da Ossi di Seppia, 1925).

L’etimologia è l’àncora a cui ancòra c’è consentito aggrapparci…
Felice da phýô = produco. Lieto da lætus = fertile (da cui letame). Triste da terere = consumare.
L’artista imaginifico/colono zappa il suo campicello in apparente indifferenza nei confronti del resto del Kósmos, a cui necessariamente si correla, coltivando le minuzie, in folle contraddizione con se stesso, zompettando tra egoismo e altruismo. Amen e Così sia. L’Altro è il Miserabile, colui che non comprende, o fatica a farlo, ma è il “Vossignoria”.
Arte è espressione che diventa una onanismo, se non è comunicata a chi è esterno a te, nella consapevolezza che si è entrambi esterni a un Mistero immenso. O forse è grande come te, pur parendo uno sconfinato deserto, un de-sertão. L’importante è attraversarlo, per uscirne in qualche modo, da vivi possibilmente. Concordi con me, “vostra eccellenza”?
Contemporaneamente a te, amico mio, eccellenza mia, sto coltivando un orticello poco distante, non esteso come il tuo, ma ugualmente incommensurabile: La freccia del tempo di Martin Amis. Gran parte del mio (tempo) lo passo solo con te, ma una mezz’oretta ogni dì l’affido solo con lui. Ne ho per tutti e due, di quell’illusione (del tempo, intendo).‘O lettore nun se scorda i cunti suoi.
Ti ringrazio, Edoardo Bizzarri, della tua opera sconfinata, della tua Avvertenza del Traduttore (e del tuo salvifico Glossario). Hai avuto l’accortezza di indicare i quattro vocaboli fondamentali, il cui significato, come scrivi: “dovrebbe essere consultato prima ancora della lettura del testo.” – cosa che faccio immediatamente. Sono: “sertão”, “vereda”, “burití” e “jacunço”: i cui significati analogici e approssimati, ergo inesatti e simili, sono: savana, valle, palma, bandito. Fai cenno alle “innovazioni linguistiche”, al cui tono generale ti attieni “più che alle sue singole manifestazioni.“
Quel che cerchi di riprodurre è “il ritmo dello stile” della pressoché interminabile canzone di João Guimarães Rosa, i cui singoli versi sono le piccole dosi di cui poc’anzi diceva Eugenio. Partiamo!
“Il luogo Sertão si riconosce: è dove i pascoli mancano di steccati…” – dove abbonda la carenza, che non è mai assoluta, ma sempre relazionata con le poche cose fra cui ci sei tu, io narrante, appassionatamente approssimato e imperfetto. La fisica moderna ci insegna che l’esattezza è un’illusione.
“Il diavolo vige dentro l’uomo, nelle increspature dell’uomo…” – una professione di fede e nulla più. Non prevede falsificazioni, né attestazioni. È, anzi, esiste, e stop. È ontologia/mitologia: parte integrante di te, mio baldo “Riobaldo”. Siete entangled, ormai, come a tante altre minute realtà, come il tuo amichetto d’infanzia, Diadorim, figlio di un “jacunço”, poi “jacunço” con te.
“Vossignoria stia pur certo…” – e stia pur seduto, ché la storia che le sto narrando richiederà svariati e immani porzioni di spazio-tempo prima che finalmente si giunga all’ineluttabile dunque.
“Ebbene, vossignoria presti attenzione…” – che il momento è topico e tale resterà per mezzo migliaio di paginette… Mi spiego: vossignoria siamo entrambi, dipendendo dal punto di vista. Ve n’è uno per ogni lettore, al bisogno.
“Io sono soltanto un uomo del sertão…” – e “Vossignoria sa che sertão è dove comanda chi è forte, con le astuzie.” – un’arena ove tutti sono gladiatori, ove è destinato a perire chi lo è di meno, o non lo è più, o è semplicemente un disgraziato, poiché “Vivere è molto pericoloso.” – e faticoso…
Quando le cose non andavano al meglio, mia madre diceva: pasînsia cun râbia – un minimo di collera è essenziale per accettare il quasi inaccettabile.
Scrivi a vossignoria: “… finiva per essere un odio calmo. Odio con pazienza, vossignoria sa?”
La tua scrittura è abnorme, così zeppa di cose (umani, animali, piante, oggetti e discorsi) che mi pare d’essere un tordo sassello capitato chissà come e perché in circonvallazione all’ora di punta. L’unica sua chance è librarsi nell’aere per raggiungere lidi più quieti. Mon cher Amis?
Diamine!: – “… la gente sa che lui non esiste, e lui è lí che si occupa di tutto.” – tanto è preso dalle sue mansioni che ha finito per smarrire la maiuscola, manco fosse una berretta.
“Se sto parlando a vanvera, vossignoria m’interrompa.” – come se fosse facile…
“Ah, il buon modo di vivere del jagunço. Cosí la vita è respirata, vissuta per di sopra. Chi si trova a jagunçare non fa caso alla povertà di tutti, pulviscolo.” – enti svolazzanti, come quel tordo.
“Volevo bene a Diadorim, in un modo condannato, né pensavo piú che gli volevo bene, ma proprio per questo sapevo gli volevo un bene insemprato. Ohi, strige perlata! – un bel colore…” – che fa fremere quel pennuto – “L’ho detto, ma vossignoria non l’ha sentito.” – a volte navigo col pensiero in altri lidi e, in sottofondo, la tua voce m’accompagna. Vocalizzando, tu evochi: sogno sognato. Sei anche un’acufene. Non solo, questo è certo. Sei quasi nulla e quasi tutto il resto.
“Vossignoria non mi chieda niente. Cose di questo genere è bene non chiederle.” – ne convengo!
“Io so che quel che sto dicendo è difficoltoso, molto aggrovigliato.” – facile e complesso!
Quel che conta è “la materia che ne viene fuori.” – che emerge da quel poco che è il tutto.
Per esempio: “Quel bambino, come avrei potuto dimenticarlo?” – il tuo smisurato amore.
Egli ti dice: “Sono diverso da tutti gli altri. Mio padre ha detto che debbo essere diverso, molto diverso…” – così inverso a tutti che ognuno si può rispecchiare in te.
Oltre che il luogo di tanta Santità, “Sertão è il penale, il criminale. Sertão è dove l’uomo deve avere nuca dura e mano quadrata.” – dove è illecito il lecito.
Quel “Maestro Luca”: “picchiava tutti i bambini con la bacchetta.” – anch’io vissi in quell’aula.
“Zé Bebelo si era impadronito di tutto con la sua retentiva, sapeva molto piú di quello che io stesso sapessi.” – il mito della conoscenza reca angoscia, in quanto ci si sente ignoranti.
“Allora, la sua allegria divenne smisurata…” – era la parvenza che celava il suo tarlo, il suo pensiero fisso, che era questo: “… mettersi in testa, tutto in una volta, quel che i libri danno e non danno.” – la cultura, che infinita non potrà mai essere: necessariamente approssimata e limitata.
“… lo riconobbi. Il giovane, cosí differente e vistoso, era, sa dunque vossignoria chi, ma chi, proprio?…” – il punto interrogativo e insemprato della tua esistenza? – “… Il Bambino, sissignore, quello del porto del de-Janeiro…”
Dai un’ampollosa definizione dell’amore, e delle sue cause, nonché conseguenze, poi finisci per ammettere: “Parlo molto, lo so; annoio. Ma però è necessario…” – e il pleonasmo è essenziale…
“…ricordando la mia vita all’indietro, io voglio bene a tutti, solo sento disprezzo e disgusto per la mia propria antica persona.”: ti spronano a descrivere gli Altri: già ci sono passato.
“… La vita della gente fa sette giravolte…” – e poi si cessa di contarle: un azzardato nonsense…
“La sua amicizia, lui me la dava. E l’amicizia data è amore…” – kam’a: passione.
“Era che lui mi voleva bene con l’anima, intende?” – ognuno come può.
“Ma Diadorim era un giovane cosí bello, con fattezze cosí fini.” – bello e buono hanno lo stesso, mistico etimo: duenos. Ci s’innamora come fa un bimbo con un giocattolo. E tu sei il giocattolo dell’Altro. Tu di Diadorim. Lui di te. Una punteggiatura vi separa. E null’altro.
“Orbene, tutto quello che racconto è perché penso che è proprio necessario.” – sono d’accordo (dal mio punto di vista) per sei settimi.
“Il mio corpo voleva bene a Diadorim…” – capita anche con gatti, cani, topi ballerini e assimilati.
“Ah, ma parlo falso. Vossignoria lo sente? Dice di no? Io dico di sí.” – aspettare prima di giudicare!
“Da me aspetto qualsiasi bugia…” – purché sia verace – “Ma io sono stato sempre un fuggitivo…” – quale scrittore non lo è? – “Diadorim e io, noi restavamo a portata di voce e di sguardo, sempre non molto lontani…” – correlati! – Ma: “Diadorim mi dominava.”: tuo servo-reggitore – “Tutte queste cose avvennero tempo dopo. Ho fatto un passo avanti, nella mia storia…” – non solo tua…
“Diadorim sorrideva serio.” – duplice – “… la vita è soltanto violenza. È ramo spezzato dall’albero…” – è vis/roboris, sennò come può condurci seco? – “Perché racconto tutto questo a vossignoria?” – perché le sarde mangiano le alici – “Sono cose che non entrano per farsene un’idea.”: fissale, e vedrai che, a poco a poco.
A pagina 196 de Grande Sertão discuti col tuo interlocutore semicelato dalla carta su quel dio e su quella sua emanazione negativa, come si fa coi partiti politici: quale conviene di più al nostro egoismo? – “… il cuore ai miei piedi, da poterlo pestare…” – in modo da lasciarne traccia nel sentiero altrui. – “… il Sor Candelario andava a caccia della morte…” – ogni coglione ha la sua passione – “… Era pazzo? E chi non lo è? perfino io e vossignoria…” – chi ancora non lo è sia subito ricoverato! – “Zé Bebelo” parla di un “mondo a casaccio” – è il caso che ti reca ogni volta a casa. Stefan Zweig tornò per un po’ ne Il mondo di ieri, che era così ordinato… Ma poi inciampò su di sé – “La gente deve uscire dal sertão, ma sempre si esce dal sertão impadronendosene dal di dentro.” – difficile da dirlo, pure a farlo – “Il sertão è questo: uno lo spinge di dietro, ma poi quello torna a circondarti da tutte le parti. Il sertão è quando meno lo si aspetta; dico.” – è il futuro che ingabola il passato. Gambler! – “… tutto cominciava terminato. Solo restava la guerra.” – tu sei un jacunço, fra poco sarai un jacunços capo. Non t’invidio: “quel-che-non-esiste!” t’assisterà, un po’ zoppicando. – “Non è ma finge di essere.” – e ci aiuta a narrarci, a Citarci addosso: vero, Woody Allen?! Ne sai qualcosa anche tu, vero, mio Arthur, Époux infernal!
“Contro di lui noi andavamo…” – manca forse un in – “Ma il demonio non esiste reale. Dio è che lascia che si accordi a volontà lo strumento.” – per intero o a metà? La gara fra i due è a chi esiste di meno. Che c’entri con l’Essere? – “Il barití vuole tutto azzurro, e non si stacca dalla sua acqua – ha bisogno di specchio. Maestro non è chi sempre insegna, ma chi d’improvviso apprende.” – Gesù fu mio discepolo, come Socrate, Confucio e Buddha. A Vito Mancuso impartii essenziali lezioni.

“Mi ricordai di lei. Tutti i miei ricordi io li volevo con me.”: erano i miei allievi prediletti. – “Ma tutto va vivendo troppo rimescolandosi” – nell’ammesca Francesca – “Tutto quello che è già stato, è il principio di quello che verrà…” – forse – “Il diavolo per la via…”: chiede l’anima in elemosina.
“Il sertão ha paura di tutto.” – noi siamo il sertão e quel tutto: il sertão ha paura di sé. Il sertão è Guernica e chi la sta devastando – “Ma racconto meno di quel che fu…” – scelgo, odio, rinnego – “… una metà, per non raccontare raddoppiato.” – scrivere è ringhiare, borbottare, bramire, bramare, salvare, eliminare, tacere – “… io gli volevo bene per destino, che deriva dall’antico dell’essere…” – …dal kaos dell’esistere. “La gente solo sa bene quel che non intende.” – la ragione deforma la conoscenza! – “Il sertão – si dice – se uno lo cerca non lo trova – è fra le cose introvabili.” – basta metterci le mani sopra e quello svanisce: le mani non sono per lui – “Di colpo, di per sé, quando la gente non se lo aspetta, il sertão viene.” – non capisco, vossignoria, se è il frutto del caso o la sua radice. Vossignoria, lei parla di un sertão vero e proprio e la cosa si complica al punto che rinuncio a capire. Non è detto che la tua credenza sia giusta: è infalsificabile, come quei Due! – “Rividi tutti e Diadorim.” – lui sempre fuori dagli Altri. Lui è l’Altro – “Tutto questo avvenne rapido, che manco il pisciare di un rospo…”: è la giovinezza che si fugge, tuttavia! Ma il tuo amato bene resterà per sempre dentro di te, immoto, immutabile: sperone di roccia – “Dimenticare, per me, è quasi eguale a perdere denaro.” – ce ne saranno, di soldi, che non ci saremo noi – “Dico a vossignoria: il diavolo non c’è, non esiste e a lui io ho venduto l’anima.” – t’ha pagato con dei bitcoin – “Il diavolo non è di tutti?” – se noi siamo parte del Creato e il Creato ha un Padrone, o Lui è il Padrone, o è parte del Creato. E noi siamo parte integrante del Creato. Forse. – “Uomini del sertão, veda bene: il sertão è un’attesa enorme…” – di un’unica, immensa risposta – “… il destino destina…” – da qui a lì e poi là, indicandoti ogni volta il posto che ti compete – “Il sertão ventò roco.” – bello – “Vossignoria senta il mio cuore, prenda il mio polso. Vossignoria guardi i miei capelli bianchi… Vivere – non è vero? – è molto pericoloso.”
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
João Guimarães Rosa, Grande Sertão, Feltrinelli, 1985