Painting Words #8: intervista a Giovanni Lopez, graphic designer

La rubrica “Painting Words” vuole tracciare l’arte contemporanea con una serie di domande rivolte alle personalità più interessanti del panorama odierno. Nella prima puntata abbiamo incontrato Iena Cruz, nella seconda Lorenzo Babboni, nella terza Eugenio Sicomoro, nella quarta Gabriele Artusio, nella quinta Kimi, nella sesta Antonio Bonanno, nella settima Silvia Crocicchi ed in questa ottava vi presentiamo Giovanni Lopez.

Giovanni Lopez intervista Painting Words
Giovanni Lopez intervista Painting Words

Giovanni Lopez nasce a Roma nel 1971. Durante gli anni degli studi si occupa di cinema, sia dal punto di vista teorico, sia lavorando attivamente in questo settore: veste infatti il ruolo di art director nell’ambito pubblicitario, graphic designer per la RAI.

A Firenze con la collaborazione della sua partner Lucilla Cracolici apre e fonda “Giolu”. Autore e illustratore del romanzo “Victor e la leggenda di polvere”, in collaborazione con il fratello. Ha collaborato con Moscabianca edizioni.

Dal 2016 decide di dedicarsi con ulteriore impegno alla sua carriera artistica collaborando con gallerie a livello europee partecipando a fiere internazionali.

 

S.T.: Tradizione pittorica e contemporaneità: quale il file rouge che fa da collegamento per un percorso lungo 500 anni?

Giovanni Lopez: Tutta la tradizione dell’arte figurativa è alla base di ogni discorso pittorico che io possa elaborare, in particolare mi entusiasma la pittura fiamminga, per gli incanti di luce e colore. Posso restare ore a contemplare una battuta di caccia di Cranach il Vecchio, per i colori saturi che è stato in grado di mettere sulla tela. Poi ci sono maestri assoluti come Pieter Bruegel e Hieronymus Bosch, quest’ultimo il primo surrealista, in grado di rappresentare nei suoi incubi il lato oscuro e grottesco dell’umanità. Questi per me sono punti di riferimento imprescindibili. Vivo a Firenze, pertanto è impossibile non avere un confronto quotidiano con il passato glorioso di questa città. Inevitabilmente attingo a quell’iconografia, ma è il primo passo che mi serve poi per raccontare altro e sorprendere chi guarda, prima di tutto me stesso. Cerco di combinare il linguaggio della tradizione storica che tutti conosciamo con qualcosa di inaspettato e incongruo. È un processo che mi diverte, e questo per me è fondamentale, attingo a diversi codici di linguaggio del passato per poi raccontare qualcosa che non trovo nella tradizione. Come nel gioco, però, non seguo uno schema fisso, procedo sempre in funzione di ciò che immagino: a volte quel mondo classico scompare quasi nel tutto, e così emergono altre contaminazioni o influenze. Ammiro, per esempio, l’arte di Norman Rockwell, e credo che in alcuni miei quadri lo si intuisca.

 

S.T.: Tra le varie tecniche usate quale ti è più congeniale?

Giovanni Lopez: Di sicuro l’olio. Ho cominciato a usare i colori a olio all’età di 14 anni. All’inizio, ricordo che non fu affatto semplice imparare a usarli ma sapevo che certi risultati sulla tela si potevano ottenere solo con quella materia, c’erano i grandi capolavori della storia dell’Arte nella mia testa a ricordarmelo. Negli anni la pittura a olio è diventata la prediletta, uso maggiormente tavole telate fatte da me, lino e pioppo.

 

S.T.: Confine tra realtà e irreale: quando e perché sconfinare?

Giovanni Lopez: Per me è un passaggio naturale che nasce dal processo creativo: nei miei disegni preparatori, esseri umani, animali e oggetti s’intersecano e dialogano tra loro, creano nuovi mondi, a volte un po’ fiabeschi, altre volte grotteschi. Per quanto mi riguarda non credo esista una risposta al perché questo accade. Probabilmente, per me, non esistono confini tra reale e irreale in pittura, nella misura in cui una pipa dipinta su tela non è una pipa, come ci ha mostrato Magritte. La questione dunque è semantica: là dove si gioca con le dimensioni dei soggetti, con le reazioni tra essi e con lo scenario in cui essi agiscono.

 

S.T.: “Victor e la leggenda della polvere”: quale lo spunto per questa narrazione? Ci sarà un seguito?

Giovanni Lopez: Io e mio fratello Giacomo abbiamo scritto questo romanzo dopo aver a lungo pensato e immaginato il mondo in cui esso è ambientato. Un mondo futuro abitato da milioni di creature artificiali, in cui gli esseri umani sono in minoranza. Ci piaceva l’idea che queste macchine potessero essere riparate o meglio “guarite” da una sorta di medico-sciamano, i cui metodi non avessero nulla a che vedere con la robotica o con l’ingegneria biomeccanica. Esite un seguito e stiamo valutando l’idea di proporlo a un editore.

 

S.T.: È in corso la tua mostra personale al Museo di Storia Naturale La Specola: hai raccolto le prime impressioni e impatto scatenato sul pubblico?

Giovanni Lopez: La mostra “Noi, Animali” è un sogno che si avvera. Il Museo della Specola è il contesto perfetto in cui esporre i miei lavori: gli animali sono una costante nel mio lavoro. È stata la direttrice della Specola, Lucilla Conigliello, ad avere l’idea di portare i quadri dentro il Museo, un’idea entusiasmante per cui le sono molto grato. La curatrice Nadia Di Nuzzo è stata fondamentale, mi ha aiutato a rendere possibile questa avventura: senza di lei non sarei andato molto lontano. È una persona preziosa a cui tengo molto. Pochi giorni dopo l’inaugurazione mi è sembrato già un successo.

 

S.T.: Il tuo processo creativo si struttura con fasi progettuali o pura ispirazione?

Giovanni Lopez opere Pista
Giovanni Lopez opere Pista

Giovanni Lopez: ho sempre bisogno di divertirmi e sorprendermi, nella vita e nel lavoro. Come nel gioco ho bisogno di trovare soluzioni originali, combinazioni inconsuete, capaci di sorprendermi. È lavorando con questo spirito che ho forse mantenuto uno sguardo un po’ bambinesco sul mondo: gioco con le cose le figure e i colori. Si tratta perlopiù di un processo inconscio perché, quando inizio a disegnare un bozzetto non so ma quale sarà il risultato finale. Parto sempre da un soggetto che attira la mia attenzione, molto spesso un animale, poi mi lascio guidare dall’istinto. Non c’è dunque un progetto, un’idea precostituita. Ma questo è un metodo arcinoto, teorizzato da Breton, un metodo determinante per il mio processo creativo.

 

S.T.: Quand’eri bambino sognavi già d’intraprendere questo cammino di vita? Un disegno che ricordi con più emozione? Progetti futuri?

Giovanni Lopez: Da piccolo sognavo spesso di vivere in una realtà magica, lontana dalla vita reale. Il mondo che mi circondava mi stava stretto, non lo sopportavo e il desiderio di evadere trovava sfogo nel disegno, dove ero libero di costruire qualsiasi cosa fossi in grado d’immaginare. Mi ricordo che quando capitava che fossi soddisfatto del disegno venuto fuori, provavo un sentimento di euforia unita a meraviglia. Ho sempre dipinto e disegnato ma a sei anni non avevo idea di cosa avrei fatto da grande. Col tempo però ho capito che il mio futuro sarebbe stato in qualche modo legato al disegno. Mi ricordo quando ne feci uno in classe alle elementari, travolto anch’io dall’onda emotiva che colpì l’Italia nei giorni che seguirono il terremoto dell’Irpinia, nel 1980. Il disegno fu appeso alla parete dalla preside. Ero orgoglioso di quel lavoro, ma allo stesso tempo ero turbato per il suo contenuto. A novembre ho partecipato alla fiera di Dublino con galleryX, a maggio 2025 una mostra con Daniela Astone, amica artista che stimo immensamente, presso la Best Gallery a Firenze.

 

Written by Simona Trunzo

 

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