“Il vaso di Pandoro” di Selvaggia Lucarelli: l’inchiesta sul mondo degli influencer

Riportando il titolo Il vaso di Pandoro (saggio? romanzo?, un misto dei due generi?) di Selvaggia Lucarelli, il correttore della mia videoscrittura che poteva fare se non correggere?

Il vaso di Pandoro di Selvaggia Lucarelli
Il vaso di Pandoro di Selvaggia Lucarelli

Il vaso di Pandora è una delle tante fregature che la religione ha violentemente donato al genere umano. È un pensierino che Zeus ebbe per la prima donna che, invecchiando, un bel dì sarebbe andata a vedere l’erba dalla parte delle radici, ma che, nel frattempo, poteva essere amata da chiunque la vedesse e la sognasse. Il suo unico dovere, a cui ella si sottrasse, era di non aprire quel vaso. Non ho idea di chi fungesse da consigliere di quella matrona, o se era lei la reggitrice (la rešdōra in slang arşân) del proprio destino. Né mi va di cercarlo sul web, perché ora devo scrivere. Come senz’altro Selvaggia Lucarelli sa, mentre si scrive non si può leggere, semmai urge dimenticare. La memoria è fatta di oblio, come Borges amava narrare. Scrivendo si va sempre un po’ ad Aramengo, ridacchiante cittadina astigiana.

Il più celebre romanzo di Thomas Mann è intitolato: Buddenbrooks Verfal eine Familie. Esiste (da qualche parte) la Sindrome dei Buddenbrook, allorché il capitalismo familiare, cioè la capacità di produrre ricchezza grazie all’appartenere a una schiatta (tipo i Reali d’Inghilterra o di Francia, oppure gli Agnelli) rischia di andar ad Aramengo.

La mattina che mi pervenne il presente libro Il vaso di Pandoro, qualcuno mi disse: ah, ti interessano i libri di quell’invidiosa! Invidioso è chi guarda contro, e che, dicono ad Amalfi, ti porta ‘a seccia (la nera seppia). Un conto è chiudersi in un antro e maledire. Un altro è uscire dallo stesso per andare a indagare su qualcuno. Questa mi pare sia la selvaggia occupazione prediletta dall’autrice.

Nel leggere un’opera mi vado spesso dicendo che non tutto è inventato né reale: e mai io lo capirò fino in fondo (nei singoli particolari, intendo).

Il vaso di Pandoro essendo un libro edito da Il fatto quotidiano, la faccenda si complica. Un tempo si diceva: l’affare s’ingrossa, ma poi uscì un film in VHS con quel titolo e l’espressione cadde in disuso. Io non leggo quotidiani né guardo la tivù da alcuni anni perché preferisco divorare i libri, ma sono ben lontano dal credere di essere una persona saggia. È una questione di scelte di vita e poco più, come chi s’interna in un monastero.

In tempi come gli attuali è importante che esista (floridamente a quanto ne so) una sorgente di informazioni che non sia allineata al Potere. E Il fatto quotidiano è una di queste. Il mio amico Nicola lo va leggendo nei bar o se l’accatta all’edicola e ormai non sa più farne a meno. Ancora non è entrato nell’ottica di scaricarlo a video. Il suo è un problema oftalmologico, però. Dal punto di vista dell’onestà intellettuale Nicola è il mio Faro di Alessandria. Ciò mi porta a dire che quel quotidiano dev’essere per forza (abbastanza) attendibile. In senso transitivo, dev’esserlo anche Selvaggia. Certo che una con un nome del genere, almeno un po’ sui generis dev’esserlo!

Non ho tanto seguito né l’ascesi (si fa per dire) né la caduta (si fa sempre per dire) dei Ferragnez. Costretto con amorosa violenza da una consanguinea, mi sorbii (leggendo un po’, con la luce accesa, che poi lei, ignobilmente, spense) alcune fasi del festival di Sanremo del 2023. Quando la signora Ferragni ha iniziato a declamare la sua celebre lettera (citata nel libro), m’ha fatto tanta tenerezza. La sua voce m’ha commosso. Lo ammetto: ero così sconvolto che non ho seguito nulla di quanto ha detto. Ho assistito anche all’approccio affettuoso tra Fedez e un cantante, ma lo ammetto, essendo un po’ stanco, ero con lo sguardo appannato. Sono poi venuto a sapere del Pandoro e delle conseguenti accuse. Questo e poco altro so dei Ferragnez.

Alla domanda che qualcuno potrebbe pormi, se mi sembri più carina Selvaggia oppure Chiara, non mi va di rispondere; né chi trionfi esteticamente nel confronto fra il barbuto compagno della prima e il tatuato Fedez. In cuor mio ho deciso per la prima questione, ma non ancora per la seconda, anche perché leggendo e scrivendo mi occupo d’altro. Ammetto che questa mia premessa è abbastanza lunga e penosa, ma essa era essenziale per me più che per il mio eventuale lettore.

“Oggi possiamo dire che Chiara Ferragni si sia trovata al posto giusto, nel momento giusto. Che la sua più grande passione – fotografarsi – abbia coinciso…” – un attimo. Ho capito: secondo Selvaggia, Chiara ha saputo “coltivare il culto di sé, davanti a un obiettivo…” – non sono riuscito a capire come, ma forse non era nelle intenzioni dell’autrice riportarne per bene le cause. Rimane per me un mistero. Chiara è quasi troppo bella per essere vera. Ma ce ne sono tante come lei o quasi, forse 10.000 e più, e non capisco quali siano state le esatte ragioni per cui lei e (quasi) solo lei abbia riscosso, nel mondo, tanto successo. Caso o necessità? Valore o mera fortuna? Sarebbe interessante che Selvaggia scrivesse (al più presto) un prequel che me lo spieghi. Che ce lo spieghi. Mica può mettersi a scrivere solo per me, ovvio.

Intorno a pagina 27 de Il vaso di Pandoro, si parla dell’opera di quell’Alessio Sanzogni, purtroppo morto giovanissimo a causa di “un incidente stradale”. Il lettore ignorante (come me) non riesce a capire i suoi grandi meriti. L’unica cosa che m’è concesso al momento di fare è di cercare sul web l’immagine di Alessio. E continuare a leggere il libro di Selvaggia (dando nel contempo un’occhiata ad alcune immagini di Fabio Damato, successivo “general manager” di Chiara). Nonché delle due madri dei Ferragnez: anche qui la scelta per me è dura.

“È come se la sua professione corresse alla velocità della luce ma su due binari paralleli…” – il che è praticamente impossibile, poiché lo spazio-tempo è misteriosamente curvo; ma dà l’idea: “… da una parte ciò che il pubblico percepisce…” – con gli annessi dati sub-luminali – e “… dall’altra ciò che al pubblico sfugge…” – e che non può che deformarsi mentre accade.

A parere di Selvaggia, Chiara “rimane ferma al vecchio modello dell’immagine statica col prodotto o col reel…” – eccetera. Mi domando se oggi un autore come Eschilo non possa sembrare datato. Assai più moderno, quasi televisivo, potrebbe apparire Aristofane (con la sua Lisistrata).

Intorno a pagina 36 de Il vaso di Pandoro, Selvaggia fa cenno ad alcuni “indizi” che si potevano cogliere della decadenza di Chiara. Non li riporto perché sono troppo complicati. Ma sono covati nel libro, qualora interessino.

A pagina 41 sono elencate alcune carenze di Chiara, che non è né questo quell’altro. Però è la Ferragni e questo, almeno fino a una certa data, era indubbio.

Di passaggio segnalo la forma grafica assunta dalla Q, sia nel testo normale che in quello in corsivo. Da sola essa giustifica la lettura del saggio.

A pagina 45 leggo che:L’influencer aveva un pubblico internazionale de un largo seguito anche nel nostro Paese…” – e si circoscrive tale interesse in un ristretto ambito (la “moda”), e poi, nella pagina successiva, si elencano dei suoi deficit nella comunicazione verbale. Il che potrebbe voler dir tanto, o molto poco, a seconda del caso. Anche Calimero non aveva una voce ruggente e non aveva un vocabolario da glottologo, però ha avuto anche lui la propria mitica storia.

A pagina 47 Selvaggia parla di Fedez, dei suoi valori e difetti. Ma ne dirà anche più avanti e in forma ben più micidiale.

Interessante, nella pagina seguente, è il parallelo fra una “soap” come “Beautiful e certi miti che paiono e a volte sono sempiterni, in grado cioè di sopravvivere alla maggior parte dei loro fruitori.

A pagina 61 Selvaggia descrive i rapporti dialettici che anche lei ha coi suoi “follower” – io non lo sono anche se mi è parsa, dal suo primo apparire, assai carina. Poi la sentii parlare in tivù e presi le distanze. Ma sempre perché preferivo leggere. Quando la sentivo dire delle cose, però, non potevo che ammettere che la sua dialettica era pari alla sua retorica e alla sua capacità attoriale. Ben più delle eventuali mie: al suo posto avrei probabilmente fatto la mia balbettante figura. Non me la sarei di certo cavata in un eventuale contraddittorio con lei.

A proposito di follower più o meno consapevoli di esserlo, leggo a pagina 67 un commento di Chiara a proposito dell’ipotetica sovresposizione “dei figli sui social”, Tu, Selvaggia opinionista, la definisci “Una risposta di otto secondi su un tema certamente complesso che vuole liquidare il più in fretta possibile…”in quegli infami 8 secondi: Viaggio nell’era della distrazione, di cui parla nel suo saggio-romanzo Lisa Iotti. Uso ancora quest’espressione, forse discutibile, perché è una nuova forma letteraria: un saggio esplicativo, rivolto all’esterno, ma anche interiore, puntato sulla propria anima e, di riflesso, su quel che esiste al di fuori di sé. È un fitto entanglement fra l’autore e la propria opera, e con tutti i suoi personaggi.

Selvaggia Lucarelli citazioni
Selvaggia Lucarelli citazioni

Intorno a pagina 73 mi pare di capire che Fedez è milanista (non so se focoso o tiepido). Anch’io lo ero, dall’età di sei anni in poi. Poi ogni cosa si disperse nell’entropia della vita, ahimè.

Ingurgito il libro Il vaso di Pandoro senza aver quasi il tempo di sottolinearne le parti salienti. Che non abbondano, poiché tutto lo è, saliente, non essendoci nemmeno mezza caduta di tono e di timbro.

Riporto un brano colto a pagina 143:Ferragni, autocelebrandosi, ottiene le lodi della stampa, dei follower, della politica, del paese.” – io non ne sarei in grado. Tu sì, Selvaggia?

Pagina 155: “… Ferragni cade vittima di ciò che l’ha creata: il web. Il suo successo e la sua caduta, in fondo, sono fatti della stessa materia: la reputazione.” – di quel che pensano gli altri di te. Siamo in un villaggio globale e, si sa, che tutto il mondo è ormai paese. Non so se il Magister Vitae Salvatore Patriarca sia d’accordo, ma per me, da che mondo è mondo, due banalità compongono una (nuova) complessità.

Cara la mia Selvaggia (scusa, ma mi viene da ridere, perché stavo usando il diminutivo del tuo nome!), non rammento a che punto tu citi Wanna Marchi e annessa figliola. Dopo tutto quello che le due signore hanno patito (e forse fatto patire, diversamente non sarebbero state condannate), sono ora divenute (quasi?) delle opinion leaders. Potrebbe capitare anche a Chiara? Se ciò avverrà, sarà anche grazie al tuo saggio/romanzo.

Scrivi, a pagina 160:Insomma, lui era tornato a essere ‘io’, lei tentava ancora di essere ‘noi’”panta rhei, come sai, e quei rapporti potrebbero un bel dì invertirsi fra loro.

Anche questa mia reazione al tuo saggio può assumere la forma di “un errore di comunicazione” – che è la formula adottata da Chiara per giustificare la sua colpa. Come è stato un fatale errore, il suo, di vestirsi di grigio, in modo non tanto dissimile da quanto fece in quei giorni l’“attivista palestinese Salma Shawa” che stava denunciando la “situazione drammatica della Striscia di Gaza.” – immensa tragedia, ben più terribile e condannabile.

Che dire della tua scrittura, Selvaggia? Essa è selvaggiamente ironica. Esempi: “La comunicazione, insomma, deve essere più Chiara (nomen non omen in questo caso) possibile.” – e poi senti che titolo di capitolo: “Quando i bambini fanno like”. E che dire della chiusa di capitolo a pagina 183: “I Ferragnez sono ormai FerragnEX.”, se non che non è né bella né scontata?

Faccio un accenno al tuo scrivere-parlando, con espressioni come: “… ma vabbè…”, “… come no…”. “… Vi ricorda qualcosa?…”; “… Tutto chiaro, no?…” o quando insisti con un po’ di “… Non si capisce…”, di “… se…” e di “… perché…”, nonché un negletto “… Stiamo ancora aspettando…”.

Pregevoli sono le tue metafore: “Insomma, i Ferragnez sono come le uova di Pasqua: bella confezione, ma dentro, spesso, c’è una brutta sorpresa.”

A pagina 230 è descritta un’eventuale irregolarità di tipo lavoristico. Ricordo a chi sai tu che ha 5 anni di tempo per testimoniare il fatto al competente Ispettorato Territoriale del Lavoro.

A pagina 237 paragoni Fedez a “una falena” – lepidottero che vive di luce riflessa. Poiché, a tuo dire: “attraverso gli altri vuole valorizzare se stesso”.

Ammiro la tua bontà quando eviti di parlare del coleottero del genere luciola.

Leggo, a pagina 239 de Il vaso di Pandoro: “… il suo vizio di banalizzare un argomento è stupefacente.” – per cui mi chiedo se sei consapevole del formidabile ossimoro che hai formulato.

Il pubblico, dici, è rimasto stupito, “Quando si è scoperto che dall’operazione ‘benefica’ del pandoro non solo non donava ma guadagnava…” – e questo da Cape Canaveral è, o pare, tutto.

A pagina 242 scrivi: “… si ‘vietano’ reciprocamente di postare foto dei figli ma postano continuamente foto dei figli di spalle, lasciando sulle loro pagine Instagram e TikTok migliaia di contenuti sui loro figli non di spalle.” – ma non ti odora leggermente tutto questo? Se fossi in uno di quei due con-sorti direi all’altro: dirò peste e corna di te, e tu di me, ma dobbiamo restare, nell’intimo, fra noi solidali, se ne vogliamo uscire vivi!

Qualcosa su cui val la pena di meditare: “… hanno fondato il loro successo sulla rimarcazione delle distanze dalle classi più basse e del privilegio.” – in un pianeta terracqueo in cui l’1% della popolazione gestisce oltre il 50% delle ricchezze; e in cui il 50% degli umani riesce a gestirne il 90%.; è su quel pur scarso 40% che si gioca la partita, e che si sviluppa il più feroce degli appetiti, mica sul resto, che è già assodato e quotidianamente digerito.

Quel che leggo a pagina 249, e che non mi va di riportare, mi convince che, come s’è sempre detto a proposito di ogni sorta di personaggio: A volte ritornano! Occhio!

L’“hashtag” che m’hai regalato in tante tue pagine non riuscirò più a scordarlo (tanto che lo sognerò di notte): “ADV”. Purtroppo nella mia misera tastiera manca quel segno fatto di due coppie oblique e opposte di rette parallele.

L’importante, nella vita, è accontentarsi.

Oppure gettarsi a capofitto nelle torbide acque del web: “# ADV”.

Come dico ogni volta al moi autore preferito (che è sempre l’ultimo che m’è passato fra le mani): Grazie!, cara la mia Selvaggia!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Selvaggia Lucarelli, Il vaso di Pandoro, Paper First, 2024

 

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