Gerda Taro: la prima donna reporter di guerra morta in missione
Il primo agosto del 1937, a Parigi centinaia di migliaia di persone commosse accompagnano il funerale di una ragazza tedesca che, proprio quel giorno, avrebbe compiuto 27 anni.
Pablo Neruda e Louis Aragon leggono discorsi in sua memoria, mentre allo scultore Alberto Giacometti viene chiesto di realizzare il monumento funebre.
Nel 1942 il governo collaborazionista di Vichy fa cancellare l’epitaffio e la tomba resterà riconoscibile solo per uno squadrato blocco di pietra con sopra un nome, Gerda Taro, gli anni di nascita e di morte, 1911 – 1937, e una semplice colomba stilizzata. Solo recentemente è stata collocata una lapide in marmo bianco per ricordare chi Gerda Taro sia stata: una fotografa uccisa sul fronte di Brunete in Spagna nell’esercizio della sua professione; la prima donna reporter di guerra morta in missione.
Gerda Pohorylle nasce a Stoccarda il 1° agosto del 1910 da una famiglia di ebrei polacchi. Forte nel carattere e nel fisico, simpatizza giovanissima per il partito comunista. Con l’avvento del nazismo conosce il carcere e deve rifugiarsi a Parigi, dove riesce a sopravvivere grazie alla sua intelligenza e determinazione. Conosce e si lega a Endre Ernő Friedmann, profugo ungherese di tre anni più giovane rispetto a lei, che le insegna a fotografare. Proprio la fotografia diventa per entrambi un’insperata fonte di reddito, soprattutto dopo che Gerda, che per nascondere le proprie origini si fa chiamare Gerda Taro, inventa il fotografo americano Robert Capa, uno pseudonimo che lei ed Endre usano entrambi sempre più con successo per vendere i propri lavori.
La guerra civile spagnola li vede testimoni attenti e motivati. Gerda Taro, bella e giovane, con il suo coraggio, con il suo entusiasmo, con la sua passione politica che la porta a incitare i combattenti repubblicani impegnati in una difficile lotta, diventa famosa tra loro come ‘la ragazza con la Leica’.
Gerda ed Endre si alternano come inviati; è la ragazza a seguire una delle fasi più cruente del conflitto spagnolo, la battaglia di Brunete. Dapprima le forze repubblicane, che lottano per spezzare l’assedio delle truppe nazionaliste a Madrid, hanno l’iniziativa, ma l’intervento massiccio dell’aviazione tedesca procura perdite devastanti nelle loro file. Proprio nella confusione causata da un improvviso attacco aereo, Gerda viene investita da un mezzo cingolato repubblicano; non perde i sensi e cerca di tamponare la ferita al ventre con le proprie mani. Soccorsa, viene portata all’ospedale di Madrid dove i medici, nonostante un disperato tentativo di operarla, nulla possono contro la gravità delle lesioni interne. Dopo una breve agonia, preoccupata soprattutto per le sue fedeli macchine fotografiche, la ragazza muore.
Il suo compagno che l’aspetta a Parigi per partire a sua volta, apprende della tragedia da un giornale, mentre è in attesa in uno studio dentistico, e ne è sconvolto. Firmandosi da quel giorno sempre con il nome di Robert Capa, sarà il fotoreporter più celebrato e coraggioso del suo secolo.
Durante la Seconda guerra mondiale segue e in certi casi precede le forze anglo-americane in Algeria, in Tunisia, in Sicilia, in Normandia, ed è a Parigi nei giorni della liberazione. Nel 1948 documenta la nascita dello Stato d’Israele e la successiva guerra arabo-israeliana.
Nel 1954 durante la guerra d’Indocina al seguito delle truppe francesi, muore saltando in aria su una mina, una sorte che, con disperazione, sembrava cercare dalla morte di Gerda.
Per molto tempo gli archivi dei negativi dell’attività di Gerda in Spagna sono stati considerati perduti durante la precipitosa partenza di Endre da Parigi, per sottrarsi alle persecuzioni razziali dopo la vittoria delle truppe di Hitler. Questo ha fatto sì che le fotografie del loro sodalizio venissero quasi tutte attribuite a Endre, mentre la memoria di Gerda Taro veniva posta in un ruolo marginale e progressivamente quasi dimenticata.
Solo il relativamente recente ritrovamento di parte dei negativi dopo una serie di vicende romanzesche ha permesso di ristabilire in parte la verità, restituendo alla ragazza il giusto riconoscimento per il suo lavoro e la sua bravura.
Le foto di Gerda Taro appartengono al periodo della fotografia in bianco e nero, e questo esalta la sua capacità di gestire il contrasto e le luci. L’immagine, rispetto a quelle moderne, risulta semplificata, ridotta all’essenziale, concisa ed efficace.
Colpisce la capacità della reporter di descrivere sempre con grande efficacia gli aspetti sociali. I sorrisi e le paure dei bambini, le donne che non sono solo mogli e madri ma vere combattenti, la vita ordinaria dei soldati mentre si fanno tagliare i capelli o si allacciano gli scarponi, il reclutamento, i combattenti nelle trincee e dietro le barricate, i feriti trasportati in barella, i morti abbandonati senza sepoltura, le case ridotte a macerie, la folla in attesa davanti ai cancelli dell’obitorio, il piccolo orfano di guerra che mangia una misera zuppa e ci guarda con grandi occhi scuri troppo adulti.
Per il grande pubblico, la serie fotografica più conosciuta di Gerda Taro è sicuramente quella, scattata nel 1936 vicino a Barcellona, che documenta la vita di alcune miliziane.
Sono tutte ragazze giovani, determinate nei movimenti e negli sguardi, fiere e curate nelle divise, consapevoli di dovere affrontare un nemico più organizzato e meglio armato, di rischiare la tortura e la vita. Soprattutto, sono donne che restano donne anche andando a combattere per i propri valori.
Il formato delle fotografie è quasi sempre quello quadrato, caratteristico della Leica usata della reporter.
La foto ‘Miliziana repubblicana si addestra in spiaggia’ è di una perfezione artistica assoluta. La giovane combattente ha i cappelli bruni, corti, ed è ripresa dal basso, probabilmente da terra, in controluce. Il suo corpo occupa gran parte dell’inquadratura, scuro su sfondo chiaro. La posa è raccolta, geometrica: il ginocchio a terra e l’altro che aiuta a prendere la mira, sono flessi a 90 gradi. Il busto è proteso in avanti, lo sguardo cerca il bersaglio, le labbra sono leggermente aperte, come a cogliere un respiro profondo prima dello sparo. L’arma è una piccola pistola che l’illuminazione rende luminosa. Le scarpe si fanno notare per la linea oggi fuori moda e per il piccolo tacco.
Se un’analisi superficiale può fare giudicare l’atteggiamento della giovane miliziana troppo concentrato e attento, ugualmente si respira l’epopea di un periodo di grande storia, la consapevolezza che dalla lotta poteva nascere un mondo diverso, con nuove opportunità, con una giustizia più vera, e si poteva fermare l’avanzata del fascismo e del nazismo. Un miraggio che, né per la Spagna del 1937, né per Gerda Taro, si sarebbe realizzato.
Written by Marco Salvario