“M – Gli ultimi giorni dell’Europa” di Antonio Scurati: drammatizzare quando il momento è giusto
Antonio Scurati, autore de M ‒ Gli ultimi giorni dell’Europa, è uno scrittore greve, cioé dotato di un peso specifico superiore alla media, che non sarebbe spiaciuto a Mike Mentzer e ad Arnold Schwarzenegger, che celebrarono la loro passione per la cultura fisica con due espressioni retoriche, rispettivamente: Heavy Duty e No pain no gain.
Ogni volta che inizio a leggere un libro di Scurati mi dico: ma chi me l’ha fatto fa’! Per poi convincermi che era destino. Torno perciò ai suddetti motti: il dovere è sempre duro e, se non si prova un po’ di fatica, dolore e acido lattico, il muscolo non cresce, nemmeno quella paccottiglia biancastra, così informe e rugosa, che è il cervello. Diversamente si può scegliere di non leggere o di accontentarsi di autori più lievi.
La cultura, se non è fondata sulla libertà di scelta, è solo fatale indottrinamento.
Dal lungo esergo del libro M ‒ Gli ultimi giorni dell’Europa riporto: “… questo romanzo è aderente in ogni suo dettaglio a fatti storici ampiamente documentati (al netto di pochi, lievi, consapevoli anacronismi e di molti probabili errori). Non vi è nulla di romanzato in esso e, forse, nemmeno di romanzesco, salvo il modo del racconto. Non è il romanzo qui a inseguire la storia, ma la storia a farsi romanzo…” – e allora mi viene da ricordare che romanzo deriva da Roma, da parlare romano, evitando balbettanti barbarismi. In altre parole, narrare significa tentare di farsi capire.
Come si dice dalle mie parti, questo è poco ma sicuro: Scurati è uno scrittore che non te la manda a dire, né ama immergersi nell’infingimento. Egli scrive al fine di dírla s-cèta e nèta: schietta e pulita. Ricordo che ama leggere le opere di Michel Houellebecq. Un giorno forse capirò il perché.
Sempre nella mia Reggio Emilia, il contrario di nèta è melnèta: mal netta al punto d’essere lurida.
La scrittura di Scurati è pulita anche nel descrivere personaggi sporchi, nel qual caso si concede la giusta dose di ironia.
Il romanzo M ‒ Gli ultimi giorni dell’Europa, sezionato in tre parti, ognuna delle quali divisa in numerosi capitoli brevi, è ambientato nell’Italia e nell’Europa dal 1938 al 1940. Alla fine di ogni capitolo sono riportati dei pezzi di lettera o di dichiarazioni ufficiali da parte di uomini del regime o del tempo.
Scurati sa drammatizzare quando è il momento giusto. Per esempio, nel descrivere lo stato d’animo dell’ebreo “Renzo Ravenna” che era tanto amico di “Cesare Balbo”, quando s’inventa i suoi tetri pensieri: “… il fascismo non c’entra niente con quelle deliranti farneticazioni germaniche… no… no… non è possibile… è solo un brutto momento… passerà… passerà…” – e su quest’angosciante sospensione termina il capitolo, a cui seguono vari riporti: uno dello stesso Renzo Ravenna, un “Manifesto del Comitato per l’ottavo centenario della cattedrale di Ferrara, presieduto da Renzo Ravenna, 8 maggio 1935”, tre scritti di Benito Mussolini, una parte della “Conversazione tra Italo Balbo e Vittorio Emanuele III” e un pensiero di “Gino Luzzatto, ebreo professore di storia economica”, che mi colpisce per la sua spietata lungimiranza.
Verso la conclusione del capitolo successivo de M – Gli ultimi giorni dell’Europa, Scurati ci mette del suo: “Camerata macchinista, accendi i motori: che la trebbiatura abbia inizio.” – e grazie a quest’invenzione riesce a immergere, sempre di più, sé e il lettore nella vicenda narrata.
Nella seconda pagina del capitolo successivo ancora, si legge il quesito che l’autore pone al disgraziato ebreo: “È questa la storia cui appartiene, oggi, Renzo?” – e la risposta è sempre là, che soffia nel vento, di pace sospesa e di guerra inevitabile.
Poco dopo, essendo la vita un lungo banchetto interrotto da innumerevoli lutti, e che va perciò gustato attimo per attimo, viene nominata “la tipica leccornia ferrarese, la salama da sugo…” – il piatto meno vegano che sia mai stato concepito nella mia regione; e il mio pensiero corre a Luca, il mio rodigino amico, che ne è così ghiotto!
Cerco ora a tutti i costi un riporto (anche se ‘sta scrittura intriga al punto di non consentirne tanti): “In una vera e propria vertigine mimetica, Hitler accenna un sorriso se Mussolini, nel proporre come proprie le sue condizioni, accenna un sorriso, si acciglia se Mussolini si acciglia. Calato il sipario sulla proposta di pace, pausa per il pranzo.”
Miseramente cado nell’assurdo, ma non riesco a zittirmi su un fatto: il vero protagonista del romanzo è M, Benito Mussolini, il quale però, per essere compreso, necessita della presenza (e pure dell’assenza) del suo alter ego, inteso come il suo esatto contrario: il “genero” nonché “ministro degli esteri fascista” – Galeazzo Ciano – il quale “Sa che per lui imitare il suocero sarebbe una goffaggine grottesca e, dunque, ha deciso di non accorgersene.” – di cosa? Non importa, Galeazzo Ciano non influisce a livello pratico su di nulla. Si limita a fare scena e col suocero condivide solo la tendenza a simulare e a dissimulare, come, a sentire Cicerone, pare fosse uso fare Catilina. Eppure Galeazzo è sempre sul palco della storia. Come M!
Affascinante, e un po’ indisponente, è il rapporto fra M e la sua Claretta, a cui porge talvolta “parole dolci” – a volte no, “ma c’è sempre quella stessa, misteriosa ombra a incupire la di lui voce.” – e che il Duce sia ombroso lo si nota ancor oggi, come si nota in molti suoi filmati.
“… ma l’Italia fascista è un Paese troppo meschino e Edda una donna troppo appassionata perché il trattato coniugale non si traduca in pillole di veleno quotidiano per entrambi.” – è uno stralcio del romanzo che serve a definire la scrittura di Scurati: quieta ed esagerata al contempo, sempre espressiva.
L’Italia cattolica ha, specie in quegli anni, il culto del matrimonio, che è spesso falsato dalla più astuta delle ipocrisie, come la finta coerenza politica, che sconfina a ogni piè sospinto nel sottile tatticismo che serve a deviare il fine di chi ancora ignora dove concluderà il suo tragitto la particella quantistica che determina quel Kósmos in cui, in Italia come altrove, tutti noi si vive… poiché sempre, finché si può, “Conviene non rompere con nessuno e, come di consueto, ‘stare a vedere’.”
In certi momenti “Bisogna ritrovare l’istinto crudele della rissa, quello dei primi anni, quello dei vecchi squadristi, bisogna ridiventare impietosi, si tratta di aspettare che gli alleati tedeschi abbattano l’avversario, e soltanto allora balzare nella mischia per finirlo a calci in faccia.” – per cui ci si domanda cosa sia cambiato nel Bel Paese di ottant’anni dopo.
La tragedia è che, ora, a dirigere l’orchestra, non è più il maestro M, ma il più affezionato dei suoi ex allievi: quell’Hitler – per il quale, da tempo “Non c’è stato nessuno spazio per un ragionamento politico, per le sottigliezze dell’unica arte che conti, l’arte del possibile.” – l’unica ormai consentita. Ora, “ottenebrato dai successi dell’alleato, irritato dal muco che gli scende dal naso, Benito Mussolini cessa di dare ascolto al residuo buon senso.”: e questo è un acuto racconto psicologico.
Quanto leggo a pagina 381 de M ‒ Gli ultimi giorni dell’Europa, e che non riporto perché è solo in quella data pagina che deve svolgere la sua funzione, la dice lunga sull’ipocrisia umana, sempre così abbondante, allora come oggi.
Dalla pagina 387 estrapolo queste poche parole: “… al prezzo di qualche migliaia di morti…” – che un buon gerarca non esita a sacrificare (anche per poi onorarne la sempiterna gloria) pur di “… poter sedere al tavolo delle trattative di pace da vincitore…”.
Alle vittime spetta l’ingiusta parte di colpa quando “l’umiliazione della violenza ferisce più della violenza stessa…” – allorché si prova un’insopprimibile vergogna per l’altrui misfatto.
Penso ora a chi va “roteando i suoi celebri occhi da belva sul gregge che occupa l’intero orizzonte davanti a sé, guarda nessuno e non vede nessuno.” – se quel nessuno accetta, ieri come anche oggi, di rimanere tale, facendosi da parte. Ma ora non ce la faccio a evitare di riportare la chiusa terribile del romanzo… No! Ci devo riuscire! E allora mi limito a dire che tale frase merita la lettura di quest’angosciante romanzo.
Altrove l’ho definito un romanzo saggistico: prova ne sia il lungo elenco dei Personaggi Principali di quell’infìda menzognera creatrice di Kaos che pare essere (o è?) la Storia, che viene elargito al lettore ormai sfinito, con la precisa suddivisione fra l’“Asse Roma-Berlino”, “I nazisti”, gli “Spiriti liberi percossi dal vento della Storia” e, per finire, le “Democrazie ‘plutocratiche’: Gran Bretagna e Francia”, tutti quanti con la loro definizione e descrizione.
Un commento finale al titolo: Gli ultimi giorni dell’Europa… La Seconda guerra mondiale ha visto soccombere questo continente antico, ma non per sempre. Infatti esso ogni tanto accenna a rinascere, per poi tornare, come dire?, a ibernarsi. Come succede al gatto di Schrodinger, a seconda di dove va a finire la particella, essa è viva e desta, oppure esangue e da sotterrare. Ogni continente, in definitiva, vive nell’universo che si merita.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Antonio Scurati, M – Gli ultimi giorni dell’Europa, Bompiani, 2022
Info
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