“Hopper. Una storia d’amore americana” documentario di Phil Grabsky: l’omaggio a Josephine Nivison
“Inizialmente sono stato attratto dall’idea di un uomo scorbutico, monosillabico e sgradevole, ma ho imparato che questa era una sintesi molto ingiusta dell’uomo Hopper, che è stato molto più complicato e complesso di così.” ‒ Phil Grabsky
Per la Grande Arte al Cinema prodotta da Nexo digital, il 9 e 10 aprile 2024 è in arrivo un docufilm d’eccezione dedicato a Edward Hopper, pittore simbolo dell’arte americana.
Realizzato dal regista Phil Grabsky, il documentario Hopper. Una storia d’amore americana esplora con dovizia di dettagli l’arte di Hopper, oltre che le sue relazioni personali fondate soprattutto sul rapporto con sua moglie, Josephine Nivison.
“L’arte americana non deve essere americana, deve essere universale.” ‒ Edward Hopper
Nato a Nyack (stato di New York) nel 1882, Edward Hopper, ragazzino silenzioso e introverso, trascorre la sua infanzia tra letture e la passione per il disegno, la cui inclinazione è evidente fin da giovanissimo. Passione che, dopo aver frequentato la scuola d’arte, lo spinge a diventare illustratore.
Circostanza in cui sviluppa il suo personalissimo stile, quello che accompagnerà sempre il suo approccio a un tipo di pittura nitida e lineare.
Intorno al 1906 raggiunge Parigi, che gli apre nuovi orizzonti, grazie ai capolavori degli impressionisti e alle opere di Pablo Picasso, di cui è un ammiratore estasiato.
A Parigi, il pittore, non avvezzo alla mondanità cui partecipano gli altri artisti che si ritirano sulla collina di Montmartre, fa vita solitaria.
Il suo carattere riservato e incline all’introspezione gli suggerisce momenti di isolamento, durante i quali si dedica a studiare le espressioni pittoriche che ispirano la sua espressività, che appare sobria e accurata, grazie anche a un indovinato e studiato gioco di luci.
Al suo ritorno negli Stati Uniti, con sé porta un bagaglio di esperienza che lo pone all’attenzione del pubblico. Anche se per ottenere riconoscimenti importanti dovrà attendere momenti più propizi.
L’incontro con Josephine Nivison, che si lega a Hopper con il matrimonio, è del 1923. Un legame che sarà proficuo per il pittore; in quanto la donna, anch’essa dedita alla pittura, promuove l’arte del marito, prima che la propria.
Jo, così come Edward Hopper chiama la moglie, non è solo la sua compagna di vita, ma anche la sua musa ispiratrice. Spesso, è infatti ritratta da lui in veste di modella in alcuni dei suoi lavori.
A differenza di Hopper, che spesso si chiude in silenzi impenetrabili, Jo è una donna brillante, colta, spiritosa, già laureata e amante del teatro; dotata di ampio talento artistico, la Nivison fa un passo indietro per dare al marito l’opportunità di veder affermata la sua creatività.
Convincendolo a far uso anche dell’acquerello, che però Hopper abbandona per tornare a dipingere con i colori a olio, medium in cui trova la sua cifra stilistica ideale, giocando innanzitutto sulla tela con contrasti di luci e di ombre.
Josephine asseconda il marito in tutto, trascurando se stessa e le proprie capacità per seguire Hopper in una continua competizione con la stessa, di cui ama oscurare le potenzialità artistiche. Ed ecco nascere da qui, un rapporto conflittuale fra i due.
L’America dei dipinti di Hopper è una terra desolata. Non presentata in tono trionfalistico, ma illustrata come un affresco di una società che cade sotto i colpi della grande depressione del 1929, che vede la gente comune precipitare in un disagio economico e sociale di vastissime proporzioni.
“Il mio scopo nel dipingere è sempre stata la più esatta trascrizione possibile della più intima impressione della natura.” ‒ Edward Hopper
Filo conduttore della produzione di Hopper è lo scorcio urbano dai rimandi spesso inquieti, con un’atmosfera mesta atta ad acuirne gli aspetti angusti. Con strade immerse in un silenzio surreale e case solitarie addossate alla ferrovia illuminate da malinconici lampioni, o affacciate su di un mare grigio e triste.
O ancora, caffè notturni frequentati da pochi avventori rischiarati dalle luci giallastre dei neon.
Una realtà che racconta all’osservatore il silenzio e l’attesa, oltre che la solitudine.
Seppur le tonalità dei dipinti di Hopper godono di colori vivaci, e non abbiano toni dalle gradazioni spente, da essi, ugualmente, si evince un malessere esistenziale. Di cui l’osservatore, già coinvolto in una scena malinconica, ha contezza, osservando un’America in cui non si riconosce. Che non è l’icona descritta dalla letteratura, ma è ritratto dello smarrimento dell’uomo di fronte a spazi sconfinati, quelli propri delle praterie americane.
“Per me l’impressionismo era l’impressione immediata. Ma sono più interessato al volume…” ‒Edward Hopper
Artista influente, il più influente della storia artistica americana, la cui personalità enigmatica si evince con nettezza dal docufilm Hopper. Una storia d’amore americana, il bisogno emotivo di Hopper, che si declina in bisogno iconografico, è indagare l’interiorità dei soggetti raffigurati.
Persone con lo sguardo perso nel vuoto, che appaiono distanti dalla realtà e alienate dal resto del mondo e prive di atteggiamenti empatici.
Emotivamente abitati da una sorta di distacco, e immersi in un’atmosfera immobile e surreale appaiono come immortalati in un’istantanea scandita da uno sguardo cinematografico; con una luce metafisica che genera sgomento.
Il contrasto fra luci e ombre, con una luminosità netta e decisa che attraversa la scena pittorica, che tanto ricorda gli studi del Caravaggio, è motivo di accrescimento dell’arcano di cui sono gravide le opere di Hopper.
Che è poi l’espressione del suo fare artistico: semplice e nitido al contempo; illustrato palesando le caratteristiche esteriori dei soggetti, intesi come raffigurazione plastica della condizione umana.
In definitiva, si può sostenere, che Hopper coglie la realtà restituendola allo spettatore attraverso il proprio sguardo interiore.
Da aggiungere che la dimensione artistica di Hopper ha ispirato registi quali Hitchcock, che ha ricostruito l’ambientazione della casa vittoriana dipinta da Hopper nel suo lavoro The house by the railroad nel luogo, il Bates hotel, dove sono state girate le sequenze del celebre film Psycho per la regia di Hitchcock.
Infine È il 1967 quando Edward Hopper si spegne, lasciando un’ampia mole di dipinti dall’intenso impatto emotivo, che sono poi la cifra pittorica indicativa del suo mondo interiore, non ancora decodificato del tutto.
Notevole esponente del Realismo americano, corrente artistica che si è sviluppata tra il finire dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, a dare conto di ciò che Hopper ha significato per il mondo dell’arte, è il docufilm Hopper. Una storia d’amore americana, in cui una voce fuori campo riferisce della creatività di un artista dalla personalità complessa, oltre che delle sue idiosincrasie, riversate soprattutto sulla moglie.
“Il mio scopo in pittura è sempre quello di usare la natura come mezzo, per cercare di fissare sulla tela le mie reazioni più intime di fronte al soggetto, così come appare quando lo amo di più: quando il mio interesse e il mio modo di vedere riescono a dare unità alle cose.” ‒ Edward Hopper
Docufilm eccellente, Hopper. Una storia d’amore americana, esaurisce con dettagli anche inediti, oltre a ciò che di lui già si conosce, il percorso umano e professionale di un gigante dell’arte quale è stato il pittore americano.
Anche in questo caso, come in altri documentari di Nexo dedicati alla Grande Arte al Cinema, gli interventi di addetti ai lavori sono stati essenziali per comprendere a fondo ciò che il pittore ha rappresentato nel panorama artistico del Novecento.
“Durante gli studi per il film, ho anche scoperto che non si può capire Edward Hopper senza capire sua moglie Jo. È per questo motivo che con il progredire delle ricerche, abbiamo cambiato il titolo in Hopper. Una storia d’amore americana.” ‒ Phil Grabsky
Written by Carolina Colombi
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