Vincitori e finalisti del Contest letterario “Conversazioni poetiche seconda edizione”
“Si può affermare che la poesia sia quel miracolo traghettato da menti ispirate nella dimensione spazio/temporale? Nel cammino dei secoli dapprima vi fu la metrica, la scoperta della rima, delle assonanze; si comprese la plasmabilità della parola, la cura da profondere prima di inserire il vocabolo nel corpo della lirica. Viaggiando viaggiando, la poesia è giunta all’epoca attuale, si è raffinata per effetto del suo tratto camaleontico, per la propensione alla trasfigurazione!” ‒ dalla prefazione di Antonietta Fragnito
Si è conclusa il 3 marzo 2024 a mezzanotte la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione” promosso da Oubliette Magazine, dagli autori e dalle autrici dell’antologia e dalla casa editrice Tomarchio Editore.
La giuria del contest (Alessia Mocci, Stefano Pioli, Carolina Colombi, Antonietta Fragnito, Giovanna Fracassi, Samuel Fernando Pezzolato e Franco Carta) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.
Il premio per ciascuno dei vincitori consiste nell’invio di una copia dell’antologia “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione” degli autori ed autrici: Antonietta Angela Bianco, Caterina Muccitelli, Gabriella Mantovani, Gabriella Zedda, Gigliola Cuccu, Giovanna Fracassi, Mary Ibba, Oswaldo Codiga, Roberto Chimenti, Samuel Fernando Pezzolato, Teresa Stringa.
Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest (due per ogni sezione).
Tutte le opere partecipanti al Contest “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione” possono essere lette cliccando QUI.
FINALISTI “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione”
Sez. A
Marco Leonardi con “Sotto quelle fronde”
Thea Matera con “Frottage”
Ignazio Salvatore Basile con “Quando ho visto i tuoi occhi”
Matteo Marangoni con “Le maglie della sera”
Cinzia Panuccio con “Lo chiamano amore”
Michele Pochiero con “Il ricordo di un diario”
Simona Grammatico con “Cercando una poesia”
Sez. B
Peter Hubscher con “Dantesca”
Fabio Soricone con “In questa casa non abita più nessuno”
Chiara Sardelli con “La piramide di luce”
Giovanni Ferrari con “Labbra”
Manuela Orrù con “La verità celata”
Sanja Rotim con “La pianta dei soldi”
Carlo Zanutto con “A Luigi Cannillo”
OPERE VINCITRICI “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione”
Sez. A
Marco Leonardi con “Sotto quelle fronde”
Ricordi? Sotto quelle fronde
Dicevamo le nostre cose:
Quotidiane, poco profonde.
Avevi mani poggiate sul grembo
E ai piedi sandali d’oro
Intrecciati su dita sottili
E io provavo qualcosa che non so,
perché se lo fisso diviene vago,
un riflesso di sole fugace nel lago.
Poi, seduto di sghembo,
Vidi il tuo sguardo blu
sbattere sugli occhiali scuri
E mi nacque la voglia
di scompigliarti i capelli,
forse i pensieri.
Michele Pochiero con “Il ricordo di un diario”
Essere morto tra i fogli di un diario
come qualcosa già passato, un ricordo.
Essere come un pezzo di carta scritta
in ricordo di un qualcosa che muore.
Essere tra i pensieri della gente
tra i loro amori, tra i loro odi,
le loro felicità, le loro amarezze.
Essere come un vascello silenzioso
che solca le onde del pensiero umano
e scoprire.
Scoprire d’essere un uccello senz’ali,
tremolante come lo stelo
di un fiore che nasce senza motivo:
un fiore che riporta in tanti diari
di bimbi pieni di mistero,
di piccole montagne e grandi alberi.
E poter alla fine rinascere come un uomo
che cerca se stesso in un vecchio ritratto
tenuto nascosto tra le pagine
di un libro sgualcito,
e ricordare tante cose come un diario:
il diario della vita che rompe i sogni,
squarcia le speranze e matura i pensieri.
Sez. B
Fabio Soricone con “In questa casa non abita più nessuno”
Molto tempo fa, ero fidanzato con una ragazza della quale ero perdutamente innamorato e ricambiato.
C’era qualcosa di segreto nel nostro amore, obliquo, ti prendeva nella pancia ma non era cattiveria assolutamente, ti chiudeva il respiro per l’intensità delle emozioni che suscitava, ma non come accade con la sofferenza: si trattava invece di un mistero inaudito, la voce dell’amore che non corrisponde mai a come ce la immaginiamo e per questo sorprende, lascia senza fiato.
Noi tutti vogliamo un amore celestiale, così chiaro che tutti debbano accorgersene, a me e Sabrina capitò invece un amore che profondava negli abissi dei paradisi ctoni, incontro a quel sole nascosto al centro della Terra.
Un amore misterioso e silente, che sbocciava ogni giorno diverso. Ci sentivamo perduti e gioiosi di esserlo, come ci avesse unto la mano di una creatura giubilante.
Avevamo una casa piena di bambole e luci fioche, ci piaceva quell’aria sinistra. Quando facevamo l’amore, mi mancava il respiro e turbinava l’emozione nella mia pancia, avevo la stessa sensazione che si prova a scendere dalle montagne russe: ci amavamo.
Io all’epoca ero un fisico delle particelle, lavoravo in un laboratorio con acceleratori di particelle simile al CERN oppure al Laboratorio del Gran Sasso. Un giorno, ebbi un prestigioso riconoscimento per aver dimostrato matematicamente l’esistenza di particelle che interagivano persino con le leggi della fisica rendendo la realtà flessibile e mutevole.
Chiamammo la realtà Struttura Libera e iniziammo a ridefinire il concetto di legge fisica. Dopo questo riconoscimento, i miei amici e Sabrina mi organizzarono una festa a sorpresa.
Ero felicissimo, ma qualcosa andò storto. Per via di un movimento maldestro, Luca, un mio amico, rovesciò un bicchiere con del vino e lo fece cadere su Serena, bagnandola.
Sembrava una cosa da nulla, ma ci fu invece un litigio generale che coinvolse anche me e Sabrina.
Inizialmente, non sembrava niente di grave, ma gli animi si scaldarono presto come non era mai successo tra di noi. Pareva la classica litigata che si sistema in un secondo, eppure, qualcosa si ruppe in quel momento. Sabrina mi disse: “Vedo che sei tranquillo, non te ne frega niente, Fabio, che ci stiamo lasciando?”.
Mi alzai e me ne andai pensando di fare la cosa migliore. Ritenevo che, se un’inezia tale poteva rovinare un amore così struggente, a me non quadrava più nulla, e me ne andai sperando che il giorno dopo tutto si sarebbe sistemato.
Ma non fu così. Ricordo che, mentre discutevamo, allo stereo davano una canzone che non riesco a rimembrare perché appartiene a un altro tempo, il titolo era “Puoi vivere un giorno di più”.
Ci lasciammo. Soffrii in modo inimmaginabile. Non cadde una lacrima. Ingoiai tutto.
Una notte, mentre stavo passeggiando di ritorno da un pub, un signore distinto in smoking che stringeva una verga in mano – un bastone molto elegante – mi guardò fisso negli occhi e mi disse:
“Io posso ridartela” e ribadì “Non aver paura, io posso ridartela”.
Lesse nel mio dolore infinito e lo seguii senza dire una parola fino a casa sua, entrammo e immediatamente fece segno di raggiungerlo fino al salone. Accese il suo stereo e la canzone era la stessa di quella maledetta sera:
“Puoi vivere un giorno di più”.
Scoppiai finalmente a piangere un pianto violentissimo senza fiato, ebbi paura che fosse la morte. Lo abbracciai con tutte le mie forze dopodiché si allontanò per un attimo. Fu così che la vidi entrare, Sabrina, bellissima come sempre e con le lacrime agli occhi.
Mi disse: “Non chiedermi chi sia questo signore perché non lo so”, scoppiammo tutti e due a ridere, ci abbracciammo e piangemmo come raramente accade anche nelle esperienze più belle, le baciavo gli occhi e altrove la baciavo ovunque.
Mi raccontò che il signore in questione l’aveva fermata per strada e le aveva detto:
“Se sei pronta a gettare la tua vita, quella è la strada, se rivuoi il tuo amore, seguimi. Se scegli di non venire, non ci saranno altre chance di rivederlo”.
Tornammo insieme. Il giorno dopo, ci affacciammo presso la dimora del signore per ringraziarlo con tutte le nostre forze, ma nessuno si fece vivo sulla porta nonostante diversi tentativi di suonare e bussare.
Un secondo dopo, attraversò la strada una donna che si diresse da noi e ci chiese chi cercassimo.
Sabrina prese la parola: “Cerchiamo un signore sulla sessantina, molto elegante…”.
La donna ci interruppe e aggiunse: “Mi dispiace deludervi, ma in questa abitazione non vive più nessuno da un mese circa, e non ho mai visto il signore di cui parlate, gente elegante in questo quartiere se ne vede poca”. Stupiti, ce ne andammo. Qualche giorno dopo, passando davanti a un teatro, ci fermammo a leggere gli spettacoli in programma, ce n’era uno che catturò la nostra attenzione: IL POETA DELL’AMORE INTERPRETATO DA ATTORI PROFESSIONISTI. OMAGGIO AL COMPIANTO GEORGE LIZ.
E una fotografia del poeta che non lasciava dubbi. Era l’uomo che conoscemmo poche notti prima e che per motivi sconosciuti ci aveva fatto rincontrare.
Chiara Sardelli con “La piramide di luce”
Firenze ottobre 2021
Marco ha preso la Tramvia. Fruga nel borsetto, controlla l’orario tramite smart phone. È in ritardo sull’appuntamento al Centro Commerciale Il disappunto gli si dipinge in volto. Imbronciato, sposta in avanti il mento fermando il sorriso agli angoli della bocca. Sa che Riccardo lo aspetterà; ma percepisce qualcosa d’indefinito, quasi ricevesse un segnale che la giornata non è propizia. Mentre scende spinge giù la gamba a toccare il marciapiede e si sente sbilanciare. Una nebbiolina addensata e corporea tenta di liberarsi dalle sue membra che le si stringono addosso. Marco acuisce la vista. Il suo doppio, Eliodoro, è di fronte a lui, vestito con una cappa trapezoidale, troppo pesante per la stagione che si vive a Firenze. Ha accostato i calzoni in pelle, rincalzati nei comodi stivali, alla cotta in maglia, senza alzarne il cappuccio. Il giovane alza un sopracciglio sorpreso dalla chioma riccioluta, tagliata e domata, dalla barba sfoltita alla base delle guance. Solo le striature bianche dei capelli denunciano l’età avanzata di Eliodoro. Vorrebbe domandare in quale universo si sposterà il suo doppio, ma non fa a tempo.
Eliodoro lo anticipa nel parlare:
«Dunque ho il tuo consenso per questa missione.»
Il giovane sente il collo che muove la testa, acconsentendo. Chissà quale volontà guida il sistema simpatico. Tace, impaziente di conoscere e soddisfare la propria curiosità.
«Alcuino mi sta aspettando.»
Eliodoro ridacchia spavaldo, guardando con occhio critico il proprio interlocutore.
Marco abbassa gli occhi imbarazzato, consapevole della sua sciatteria.
Una voce fastidiosa gli ronza in testa: «Sarà il caso che tu non faccia aspettare Riccardo, il tuo amico. Ricorda, l’appuntamento è presso la piramide ruotante nella sala d’aspetto.»
“La piramide!” pensa Marco, “chissà perché, per spostarsi, Eliodoro utilizza proprio una piramide di luce.” Non riesce a visualizzarla. Il suo udito invece ne percepisce nette le vibrazioni. Il pensiero si trasforma in debole e, di passo veloce, Marco va incontro a Riccardo.
Aquisgrana febbraio 811
«Stai silente da quando stiamo viaggiando. Proprio ora ti avvicini allo schermo di luce?!» Eliodoro non parla con un cristiano. Lo sommerge, di un grigio ferro espanso, la bolla d’aria ipnotizzante che si sprigiona dalle pupille dell’amico felino. Se lo ritrova tra i piedi ogni volta che decide di prendere vita manifestandosi a Marco. Eliodoro sospetta che lo spirito di Felicefù sia responsabile di questa sua incarnazione. Felicefù è un gatto davvero strano. É impedito nel suo verso tipico, il miagolio, comunica grazie alla telepatia.
L’altra questione è che Felicefù persiste a intromettersi nel pensiero di Eliodoro. Quando incontra il di lui rifiuto, si tramuta in una forza cinetica portentosa: balzelli alle gambe, strette alle mani e quant’ altro possa risultare utile a manifestare la sua frustrazione. Vuole essere considerato.
Eliodoro è impegnato a far vaporizzare le pareti della piramide di luce, intaccando la sua riserva di energia psichica. Una parte di questa si spende per esprimere a Felicefù il rassicurante pensiero che potrà seguirlo nella sua avventura.
Le pareti della piramide si sono disintegrate unitamente alla luce che il prisma emana quando è serrato nel chiuso della sua essenza.
Disteso, il busto eretto e le gambe tese in avanti, sul terreno erboso e umido che fa da cornice alla chiesa ottagonale, rialzandosi Eliodoro ha cura di accostare alle spalle la cappa, soddisfatto di averne indovinato la pesantezza. Il clima è rigido ad Aquisgrana.
Felicefù gli gironzola attorno, impedendolo. Egli ha varcato l’ingresso dirigendosi verso la torre scalare che porta alla cripta.
La memoria lo inonda di ricordi.
Quel rompipalle di Marco fa uso della telepatia. Il cervello di Eliodoro subisce indesiderate interferenze, funziona come per gli umani. Se ignori il presente, arriva o la nostalgia del passato o l’ansia di prevedere e controllare il futuro. Tra le due meglio la prima.
Eliodoro è già stato nella cappella e nella cripta. Spera di rivivere la bellezza di quegli incontri quando l’Accademia era alle sue origini. Vorrebbe scacciare le emozioni, smancerie che gli permangono dalla frequentazione con gli umani. Non lo influenza l’eco dei dialoghi, dei ragionamenti filosofici che a quel tempo avevano presa su di lui. Piuttosto la struggente visione dei maestri e fra questi di colui che gli è stato il più vicino. Più volte il desiderio di incontrare Alcuino lo ha spinto a fare domanda a Caronte, senza successo. Si può pretendere che venga fatta grazia ad un miscredente? Lui, imprigionato com’è nel corpo di un’anima laica, riconosce la superiorità dello spirito e respinge l’ateismo, in uno sforzo sincretista che ammette e confonde le divinità.
Ora freme di intima soddisfazione. Con l’aiuto di Felicefù ha respinto l’intromissione telepatica di Marco. Torna in Aquisgrana, nel febbraio 811. Sta sperimentando un presente ucronico. A riceverlo è proprio Alcuino: La voce è certa, chiara e inconfondibile.
Eliodoro ha recuperato la sinestesia dei sensi e, superata la commozione, ha il dono della lucidità nell’ascolto e nella comprensione.
La sua missione? Gli si imprime nella coscienza. Deve la propria investitura alla sua fama di orefice e di sapiente matematico. Sarà destinato a realizzare uno degli ultimi desideri di Carlo Imperatore. Alcuino lo fa scendere nelle viscere della terra. È solo, in compagnia di Felicefù. La voce di Alcuino, consolatoria, lo accompagna: «Proprio qui, nella terra destinata ad accogliere la salma dell’Imperatore dovrai realizzare il miracolo del tempo che si ferma e conquista l’eternità…»
Sul più bello la comunicazione si interrompe. Felicefù non si scoraggia e lo sprona. Nel cervello di Eliodoro si accende una lampadina: “Sicuro! Dovrò recarmi da Marco, evitando il ritardo, assistere alla compera del nuovo orologio al quarzo e carpirne i segreti. Da lì partirà la mia ricerca per frammentare il tempo in periodi sempre più infinitesimali…” La via è ardua e il percorso tutto da scrivere. La piramide di luce si è di nuovo materializzata. Garantirà l’incontro con Marco, certo e realizzabile, come la missione di Eliodoro.
I vincitori dell’antologia “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione” saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.
Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti del Contest “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione”
Info
Acquista l’antologia “Conversazioni poetiche ‒ seconda edizione” su Amazon
Ma che bella sorpresa! (prossima tappa il Nobel!)
ah ah ah Marco… Nobel per?
Complimenti ai vincitori e ai finalisti!
Bravi!
Grazie Alessio… al prossimo contest! (probabilmente dopo Pasqua)
Complimenti ai Vincitori e Finalisti, ma bravi tutti i partecipanti.
Grazie Maria Carmela, al prossimo contest!
Grazie con tutto il cuore. Ci tengo davvero tanto a complimentarmi con tutti: organizzatori, Giurati, partecipanti e finalisti e ovviamente gli altri vincitori. Grazie!
Complimenti Fabio e grazie per il tuo commento :)
Onorato e felice di essere tra I finalisti per la sezione poesie. Grazie alla Giuria, ai partecipanti e agli organizzatori.