“Nell’oceano dell’ebraismo” di Massimo Giuliani: tra Talmud e filosofia

“… la pace non scaturisce dai buoni sentimenti ma dal compromesso; è comunque più pericoloso un fanatico (a qualsiasi causa asservito) che un nemico politico.”  – “Nell’oceano dell’ebraismo”

Nell’oceano dell’ebraismo di Massimo Giuliani
Nell’oceano dell’ebraismo di Massimo Giuliani

Nell’oceano dell’ebraismo di Massimo Giuliani è un arcipelago di parole e di concetti essenziali per… Per…? Cercherò piano piano di capirlo.

A me piacerebbe essere, potenzialmente, un alpinista, ma non mi sento d’arrampicarmi su quelle perigliose erte. Similmente vorrei avere il coraggio d’attraversare una piazza camminando su una corda, tenendo in mano una barra d’equilibrio, a dieci metri da terra, ma non mi va di provarci. In maniera ancora analoga, mi piacerebbe avere una nonna dal cognome ebreo e ne ho una che si chiamava Zuelli, che c’entri Elia?: ava materna semper certa est. Purtroppo ella è paterna e non utile alla bisogna.

Pochi popoli sono stati oggetti di analisi come l’ebraico, tanto che si può dire che il senso critico degli umani si è sviluppato anche grazie a esso.

Il mio autore preferito, a prescindere dall’arte, è Woody Allen, la cui gustosa interpretazione di un cappelluto e pelosissimo cohen, in quel suo fantastico (in tutti i sensi) Zelig, m’ha fatto spanciare dal ridere. Questo m’induce a ricordare che una delle mie canzoni preferite, Hallelujah l’ha scritta Leonard Cohen. Hallelujah significa preghiamo Dio.

Mia madre, cattolica, m’insegnò a dire Sia santificato il Suo Nome, ogni volta che udivo una bestemmia. O, più semplicemente: il Signore sia lodato. E questo è essenziale farlo se il blasfemo coincide con l’orante. Tutto il mondo, in fondo, appartiene alla medesima chiesa.

La lettura di tanto aggrovigliate nozioni ne Nell’oceano dell’ebraismo mi sta recando una fatica intellettuale non trascurabile. Ho scoperto, leggendo Il cappello scemo di Haim Baharier, che per gli antichi ebrei davar è una cosa ma anche una parola, non un mero parlare, bensì un ente che parla, un mattone con cui si inizia a costruire quell’edificio, che viene chiamato discorso, ma anche libro. Ecco che mi rendo consapevole di una banalità: questa disamina di filosofia ebraica m’ha reso, se non migliore, almeno più saggio. In ebraico arca è tevà, ma vale anch’essa come parola, un quid di salvifico che fa superare le avversità, purché la si usi correttamente.

Io vorrei tanto essere ebreo da un punto di vista di umano, o umano umano, tanto per ricordare la lezione di Björn Larsson, autore di Essere e non essere umani, piuttosto che da un punto di vista religioso. Leggendo quella sua opera, ho imparato un’altra ovvietà: “‘la parola’ è sempre stata sentita come ‘sacra’, e come tale è stata affidata alla cura di druidi, sacerdoti, rabbini e sciamani.”

“Si può imparare il giudaismo nel tempo di una corsa metropolitana?” – si chiede Giuliani all’inizio dell’Introduzione al presente saggio Nell’oceano dell’ebraismo. Tradizionalmente, la domanda è: “È possibile studiare e apprendere tutta la Torà stando su un piede solo?” – e la risposta è No, se è vero che non si finisce mai di im-parare, di appropriarsi della Conoscenza.

Un’altra pur scontata mia scoperta: a intersecare due concetti semplici si scopre una complessità.

Ho iniziato a scrivere questa reazione un giorno e mezzo dopo aver concluso la lettura del libro di Giuliani, che è una silloge di pezzi datati dal “28 settembre 2017” al “7 maggio 2020”. Perché ho aspettato tanto? Impegni vari m’hanno distolto. Erano più importanti della stesura delle mie considerazioni? Forse. Diversamente non avrei posticipato di tante ore (in genere sono immediato). Perché, infine? Lo sapessi…! Ma lo ignoro!

“Il pensiero ebraico è una strana disciplina: è l’area di intersezione e lo spazio di sovrapposizione frutto della congiunzione di due insieme diversi tra loro, la filosofia e il giudaismo.” – l’amore della conoscenza e dei suoi legami con quel che te la concede soltanto come Gli pare meglio?

Il Giudaismo è un insieme di individui (e di tribù) o un Corpo Solo?

Se ho ben compreso, colà si distingue tra fantasia e devozione, qualità entrambe essenziali per comprendere ciò che necessita d’essere compreso, al fine di sopravvivere. La mia è una deduzione assai arbitraria e di essa non sono certo.

Delle qualità divine, “ci fidiamo e la nostra fede si basa su un sapere ben testimoniato.” – il quale concetto è scritto in un testo: la Torà, che mi pare sia un termine con cui si possono intendere tanti fatti, oppure uno solo: l’insegnamento derivato da Mosè, pur inteso da tanti fonti, purché tradizionali, consegnate agli uomini da Chi ha fatto la loro storia. E questo vale erga omnes: anche a chi, come me, non confida in alcun dio.

Il mio amico più caro, quand’ero piccolo, era ebreo. Lo chiamavo (dentro di me) Fantastico Dione, ed era Colui che m’avrebbe svelato, dopo che fossi morto, tutti i misteri (anche quello di Atlantide, anche il luogo dove avevo cacciato quel sachem indiano che non riuscivo più a trovare (anche oggi la statuetta è latitante). Ma la Speranza di rinvenirlo è ancora viva in me. Chissà dove s’è finito? Forse Fantastico Dione me l’ha celato. Quando ebbi circa quindici anni, qualcosa cambiò. La Fede si tramutò lentamente in Speranza, e ancora essa mi fa compagnia, specie la sera.

“… è impensabile un conflitto tra sfera cognitiva e sfera religiosa; distinzione e persino separazione sì, ma conflitto e alternativa no.” – se l’energia si ottiene dal prodotto della massa e la velocità della luce al quadrato (come insegna l’ebreo Albert Einstein), si capisce che l’una non può fare a meno dell’altra, perché azzerando l’una si nullifica la consorella. Se le due condizioni del Kósmos di sottraessero, tutto svanirebbe nel Nulla.

E = mc2 si può scrivere anche E – mc2= 0: e m’auguro che quel Kaos non ci faccia mai precipitare.

Amo in te, Massimo Giuliani, l’augurio che ti fai a pagina 14 de Nell’oceano dell’ebraismo (tu la esprimi in senso negativo, io la positivizzo, ma non cambia granché): che tutto quello che è stipato da millenni nella tua cultura ebrea sia per sempre recepibile da tutti: erga omnes, appunto.

Come potrei dubitare di quanto riporti a pagina 19, citato da un testo antico: “Su tre pilastri il mondo si regge: sulla giustizia, sulla verità e sulla pace.” – ma dovrei pensare (e penare) un po’ sul concetto successivo: “l’ordine dei tre non è casuale”.

Caso o necessità: this is the problem!

“… la scala della santità – costruita con i piedi di ogni momento dell’esistenza e di ogni sforzo di bene – è l’unica scala umana che, secondo la metafora biblica, ci avvicina al cielo.” – ed è questo concetto che mi sfugge (pur essendo un Pioli), da quando l’ho smarrito.

“La faglia che separa e aggrega gli elementi può essere riportata al dilemma moderno presentato da Schama: etheos (‘etica) o ethnos (‘etnia’)?” – quesito non certo minimo. Umanamente esaustivo, lo definirei.

“Un Dio che può scegliere a piacere il suo popolo di elezione è evidentemente il Sovrano signore di tutti e, ben lungi dall’essere nazionale per sua essenza, è eminentemente universale.” – pare e forse è un paradosso?

“… appeso alla fede o meglio alla speranza, due aspetti che nel giudaismo di fatto convergono.” – anche la carità? In ogni caso, vi dico: beati voi ebrei, anche se non si capisce quando!

“… qedushà: distinzione ed elezione, esistenza come precetto, cura nel rispetto della libertà, pietà che non ignora la fragilità e giustizia che non annienta l’autonomia della creatura.”un bel po’ di mistici ossimori, eh?

Scriveva Emmanuel Levinas: “Il monoteismo non è un’aritmetica del divino. È piuttosto il dono, forse soprannaturale, di vedere l’uomo simile all’uomo sotto la diversità delle tradizioni storiche che ognuno porta avanti: è una scuola di zenofilia e di antirazzismo.” – che tanti (potenti) bigiano, purtroppo.

Fu rabbi ‘Aquivà a dire:Tutto è previsto, ma il permesso [di scegliere] è dato.” – ed è quello che penso io: essendo un ente come tutti gli altri, anch’io ho diritto a professare la mia privata e pur connessa intenzione.

Se sono omogeno al Kósmos (ed è possibile) il gioco è fatto.

Scrive Sándor Márai: “… Kafka non era tedesco. Non era neppure ceco. Era uno scrittore e basta, così come lo sono, inconfondibilmente ed inequivocabilmente, tutti i più grandi.” – tutti umani umani? E gli altri, quelli più piccoli? Solo umani? Esistono gli scrittori umani umani umani? Non si tratta di “ethnos”, bensì di di “etheos”?

In quale settore dello stadio mettiamo Bruno Vespa? E quel generale grafomane e di successo?

Secondo “il filosofo neokantiano Steven Schwarzschild”: “i falsi messia sono come i medici che Dio occasionalmente manda a risvegliare il malato.” – anche Cristo?

Il che lo fa somigliare alla particella virtuale che, pur non esistendo, aiuta la reale a ri-sorgere (da mera energia che era). È un mistero non ancora comprovato da teorie stabili, eppure il fenomeno pare virtualmente reale.

Secondo “la credenza qabbalistica”anche nel più grande dei peccatori sussiste una particella di santità e anche nell’errore si nasconde uno spicchio di verità.” – all is entangled, correlato, essenziale a capire e a tentare di spiegare i diversi stati quantici.

“La storia è raccontata da Martin Buber.” – tutto è narrato, interpretato, sviluppato, correlato con chi ci precede e con chi ci segue: chiamala se vuoi cultura umana che interagisce fra sé. Grazie al ?

Borges (non dirmi che era ebreo!) diceva che ogni libro è ripreso dal suo lettore. Anche il tuo lo è.

Parli di Alberto Cavaglion e dici:Qui lo storico si rivela narratore di narratori.” – sentieri che ogni volta s’intersecano borgesianamente: chiamale, se vuoi, sinapsi testuali. Un groviglio che ha di certo il capo inziale, sennò non sarebbe tale, e che si perde chissà dove. Non chissà se.

“Piste metaletterarie che fanno pensare…” – sento che potrebbero inquietarti i miei riporti brulli, e anche brutti, ma se alcune parole sono vere in sé, lo sono anche tolte dal contesto. Il mio è un invito al lettore del tuo lettore di diventare direttamente tuo lettore e poi lettore dei testi originali su cui basi il tuo dire.

Ma come potrei fare? Ha senso per me imparare a una certa età l’aramaico, l’ebraico, il greco antico, l’etrusco (che nessuno sa ancora tradurre compiutamente)? Secondo me sì. Se poi si muore nel tentativo, questo capita anche agli alpinisti, ai cosmonauti, agli scopritori di nuovi mondi.

“… e la pace non scaturisce dai buoni sentimenti ma dal compromesso; è comunque più pericoloso un fanatico (a qualsiasi causa asservito) che un nemico politico.”del resto tra ospite e ostile, c’è una minima differenza fonetica. È soprattutto una questione d’accenti.

Günther Anders elogiail coraggio di avere paura” – e su questo mi pare non abbia dubbi Roberto Escobar, autore de I volti della paura.

“… la paura come causa di scoperta, occasione per escogitare (ex-cogitare) terapie e soluzioni ai pericoli, ai guai che ci siamo imposti.”: la vita si sconta morendo un po’, appunto, di paura. E resuscitando ogni volta: chissà se Giuseppe Ungaretti sarebbe d’accordo con questa piolata.

“… il pensiero non conosce partenogenesi e, al contrario, germoglia sull’ibrido, sullo scambio, sull’impuro.” – io cerco nell’Altro ciò che in lui è parimenti diverso da me. È per questo che mi sento ebreo eletto nell’alveo dell’anima, se non anche in superficie. Chissà…

“Chi legge in traduzione spesso non si rende conto di leggere ‘in differita’.”: è questo che amo della traduzione, ché quelle nuove parole mi servono per navigare sulla tevà, in cui ci sono almeno tre individui di specie uniformemente diverse: lo scrittore originale, il traduttore e il me che legge. Che presto si trasforma del me che ha letto. Nell’attimo in cui assorbo le parole, mi rapporto a quei due correlati che esistono ancora (fossero pur In Alto Colà), pur anche se fossero distanti un’ira di dio (un costo che non sempre si ha la forza di pagare). Quando si dice che un luogo dista tanto, da noi arşân si dice che è a cà ‘d dio. Quanto si fatica a vivere? Da dio! Se si vuole si può anche scrivere con la maiuscola: da Dio!

“Il linguaggio della traduzione nasce nel peccato.”la pèca, nella mia Rèş, è il gradino, al pchê è il peccato, su cui si può inciampare. E se tutto il Kósmos è paese… ognuno ha i peccati che si merita.

Istruttiva è la differenza che mi offri tra “teurgia e magia” – va solo letta e meditata. Mi riservo solo di dire che, se la direzione è pur la medesima, cambia però il verso, che non è poco.

Stupendi sono i due proverbi che mi doni a pagina 121 de Nell’oceano dell’ebraismo: da soli possono giustificare la lettura della tua opera, che è una delle più interessanti fra le recenti.

Per anni mi porrò il quesito se il titolo di 42. sia un refuso volutamente casuale o casualmente voluto. In quest’articolo m’affascina il termine apikoros, che alcuni riferiscono a Epicuro, altri no.

È eretico non confidare nella Provvidenza? Forse. Ricordo, con un umorismo non so troppo cristiano, che un signore scrisse una risentita lettera alla Provvidenza Sociale. Che non sempre è esaustivamente previdente, né provvidente, essendo un Istituto parecchio umano umano.

La differenza fra “kasher” e “taref mi fa malpensare sul senso di uguaglianza a cui dovrebbe tendere chi è umano, o diversamente bestiale.

A pagina 140 de Nell’oceano dell’ebraismo scopro che quei “Settanta” erano invece 72 (12 per 6).

Secondo Il libro di Mormon le 12 tribù d’Israele furono 14 (se ho ben capito, quando lo lessi).

Riuscirò mai a decifrare La guida dei perplessi di Maimonide – comincio a dubitarne. L’unica mia speranza è che è sempre possibile farlo scorrendo dalla prima pagina in alto a sinistra fino all’ultima in basso a destra. Poi uno capisce quel che può. Sento che un giorno ci proverò. Presto? Non lo so.

Ti chiedi, pensando alla “questione del divieto di immagini, chiamato spesso aniconismo…” – se “esiste un’etica ebraica…”.

Poi pensi all’“Eccezione preclara” – cioè “il linguaggio verbale, la parola. Tuttavia anch’essa è immagine, riflesso della realtà, rappresentazione. Forse è ‘la’ rappresentazione per antonomasia.” – essendo pure essa una traduzione, un tradimento: quando voi autori usate un termine fra virgolette: “…”, io uso questo: ‘…’. Forse il mio è un peccato, ‘na pèca, ma non ne sono certo.

Massimo Giuliani citazioni
Massimo Giuliani citazioni

Stavo chiedendomi se anche tu hai letto lo stupendo Il mio nome è Aher Lev, scritto dal rabbino Chaim Potok. Pensa in che umano ingenuo ti sei imbattuto!

Unico miracolo che hai scatenato in me: mi sono deciso di leggere Danny, l’eletto, che da anni alloggia in un kibbutz della libreria che ho in camera, insieme ad altri autori yankee, ebrei e non.

Alla fine di 51., avverto una sempre più forte sindrome di Stendhal, paragonabile a quella che provai a Piazza Armerina quando il mio amico Nicola mi recò ad ammirare i mosaici di Villa Romana del Casale.

Per sopravvivere intellettualmente ho deciso di proseguire nel proposito che sto già attuando dall’inizio: commentare solo le mie sottolineature più cogenti. Se non adottassi tale strategia sarei ancora a dire la mia su quanto lessi nelle primissime pagine del libro.

Savina, fra le cugine predilette di mia madre Rosalinda, era per noi Pioli proverbiale. Dopo un’interminabile chiacchierata, sottovoce, mormorava: Ti dico questa… e vado! E poi ne inanellava ancora sei o sette. A volte otto. Io sono più coerente. Salto gli intricatissimi capitoli fino al 63. compreso.

Sto veramente bene e male al contempo. Bene perché capisco che sto crescendo leggendoti. Male perché tale ginnastica mentale m’ha prodotto una quantità esagerata d’acido lattico.

Per quanto attiene la “bat qol”: la voce di Dio che risuona, tenue, dall’alto, mi fa piacere pensare a quel che tu scrivi: “Quello divino fu un sorriso di amarezza e sconforto, non di compiacimento o di soddisfazione”: un dio addolorato mi fa sperare che Egli esista.

Non è Fede, forse, ma è già qualcosa. Piuttosto che nulla, è meglio piuttosto (mamma Rosalinda dixit). Nel ringraziarti, ti sussurro: vado finalmente a riposarmi.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Massimo Giuliani, Nell’oceano dell’ebraismo, Castelvecchi editore, 2023

 

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