“Essere o non essere umani” di Björn Larsson: ripensare l’uomo

Il sottoscritto Stefano Pioli, lettore dilettante e compulsivo, consapevole delle sanzioni civili e penali per chi attesta falsa testimonianza, sotto la propria responsabilità, dichiara quanto segue…

Essere o non essere umani di Björn Larsson
Essere o non essere umani di Björn Larsson

Ho iniziato a reagire per iscritto al saggio Essere o non essere umani di Björn Larsson solo allorché, di primissima mattina, a pagina 118, lessi le seguenti parole: “Alcuni filosofi si sono sfilati dal dibattito, evitando del tutto la questione. Altri ci hanno provato, ma facendo cilecca. Uno di questi è Kant, che nella Dialettica trascendentale, la sezione conclusiva della Critica della ragion pura, giunge a una conclusione aporetica: la libertà, ammesso che esista, è inconoscibile.” – forse anche la verità, a questo punto. Anzi: senz’altro. Anche la Libertà di individuare la propria Verità: concetti necessariamente forniti di Maiuscola Iniziale.

Resta insoluta, per me, la domanda che Hilary Putnam si pose in Ragione, verità e storia: quanta certezza ho che il mondo esterno esista fuori dalla mia vasca mentale? Ricordo a malapena che quell’accigliato filosofo accennava a un briciolo di certezza, che mi parve illusoria, un cercare di donare un lieto fine a un’avvilente storia esistenziale. In ognuno di noi cova la sindrome di Matrix, temo.

L’ennesimo pregiudizio: se lo stesso Immanuel Kant ammetteva la sua inanità, come e cosa potremmo sperare altrimenti noi vanesi e deliranti illogici? Al che potrei citare, per celia, il celebre verso di Jovanotti: Io penso positivo perché son vivo, perché son vivo. In carenza di certezze, le celie sono salvifiche. Dopo di cui spengo la luce e provo a scrivere senza i riporti, che userò dopo. Chi è Stefano Pioli? Ricordo tantissimi avvenimenti della sua infanzia. Ripensandoci m’accorgo di sentirlo come un me stesso (Je est un autre disse di sé Arthur Rimbaud), che è notevolmente diverso dal mio io attuale: un complemento oggetto che si differenzia da chi sta ora digitando i tasti del computer, scrivendo, per esempio: a m o r e. E poi mettendo le cinque lettere in corsivo: a m o r e.

Riaccendo la luce e mi metto alla ricerca delle frasi sottolineate in ‘sto bel tomo Essere o non essere umani con cui il mio attuale e sempiterno (?) Io tenterà una reazione esistenziale, una correlazione, tipo quelle che rende consanguinee le particelle quantistiche.

Due parole innanzi tutto sull’autore: Björn Larsson è principalmente (non so però se, scrivendo questo saggio, egli stesso dubiti del valore di ‘sto avverbio di modo) un romanziere, ma anche un filologo, un traduttore, nonché un filosofo svedese, che, a mo’ di horcrux, ha l’anima sparsa everywhere, anche nel Bel Paese, a quanto pare: un aspirante ap(i)olide, tanto per essere comici.

L’Introduzione de Essere o non essere umani ha un solo, immenso difetto: è esaustiva, dopo di cui uno potrebbe chiedersi che senso abbia leggere l’intera opera, quando tutto pare così, pur instabilmente, chiaro e conclamato. Ovvio che quel candido lettore non ha per nulla l’idea di cosa lo aspetti.

“… Per venire a capo della coscienza occorre partire dal presupposto che siamo già coscienti, qualunque cosa significhi.” – per me non è facile. È per questo che ho scritto a matita Putnam?

“L’esperienza di essere di un essere umano umano è quintessenzialmente diversa da quella di un cane, di un maiale, di un pappagallo o di una scimmia.”la quintessenza aristotelica era l’etere, concetto che fu adoperato anche agli albori della relatività per spiegare lo spazio-tempo in cui avvengono gli eventi. Per Albert Einstein, senza di esso il Kósmos era impensabile: avrebbe fatto cilecca ancor prima di nascere. Ho appena nominato non un villano di Gavassa, ma uno degli scienziati più geniali della storia, che era tutt’altro che religioso. A modo suo, era un filosofo. Uno che diceva che Dio non giocava a dadi col cosmo. Niels Bohr, il suo antagonista, diceva che nessuno poteva discettare sul comportamento di Dio. Poi giunse l’ameno John Stewart Bell che fece suonare la sua dissonante campana: per lui Dio giocava a dadi ma barava, e in questa idea lo spalleggiava il suo maestro David Bohm, con le sue variabili (solo ipotetiche in quanto) nascoste, che avrebbero ammucciato (nell’alveo della materia) ogni possibile spiegazione, in supino riferimento a quelli che il Premio Nobel Roger Penrose definisce Misteri Z, che rimangono inviolati a tutt’oggi, nel pur soleggiato 2024.

Ne elenco solo un paio: ciò che (non si sa se) succede al di sotto dello spazio di Planck (dove pare che non valgano le leggi fisiche che conosciamo) e l’enigma correlato alla correlazione, entangled in the quantistic entanglement, arcigno problema che aveva fatto sorgere in Einstein l’idea del paradosso detto di Einsten-Podolsky-Rosen (EPR). Ohhh… Scusate! Mi è venuto il fiatone.

Credo che poche branche dello scibile umano possano gareggiare con la quantistica nella gara a chi le spara più… immense!… rendendo la conoscenza sempre più incerta, in accordo con quanto sancì Werner Karl Heisenberg, il quale teorizzò il noto principio di indeterminazione, come ben sa, un po’ tremando, il micetto di Erwin Schrödinger.

“Ecco le facoltà che nella sua Filosofia moderna Roger Scruton propone come tratti umanizzanti per eccellenza…” – e poi è riportato un decalogo di umanità umanità dell’Homo sapiens sapiens.

Ne cito uno, ma su tutti ci sarebbe da discutere:Gli animali sono privi di senso dell’umorismo” – al che mi viene da dire che quel Roger non abbia mai posseduto un profilo di Instagram o TikTok o Facebook, in cui di continuo girano filmati che attestano la scientifica teoria che i cani sono dotati di una certa vis comica.

“Viene prima la coscienza o il linguaggio?” – prima l’uovo o la gallina? Quien sabe, direbbe Tex Willer.

Un pericolo reale e frequente:Non dimentichiamo che gli stermini e i genocidi sono sempre stati preceduti dalla deumanizzazione delle vittime designate…” – in ognuno di noi c’è un’elica di DNA curdo, armeno, cheyenne, giudeo, palestinese, atzeco, basco etc etc.

“Basterebbe questo per dimostrare che ‘essere degli esseri umani’ è molto di più che appartenere al novero di una specie, perfino agli occhi di un criminale di guerra.”la nozione di Popolo Eletto, nella Bibbia comprende dodici tribù, che (forse) divennero quattordici, quando nelle pur controverse tavole che un angelo donò a Joseph Smith spuntarono delle scritture che attestavano l’esistenza di lamaniti e nefiti. Panta rhei.

A pagina 34 de Essere o non essere umani è indicato un doppio e contrastante decalogo (questo numero 10 che ogni tanto ritorna!, diviso in due categorie: “Oggetto” – “Soggetto” – dopo di cui l’autore scrive: “Come tutte le dicotomie anche queste opposizioni binarie non sono mai assolute.” – come accade nelle pieghe locali del Kósmos, dove entropia e gravitazione paiono indefessamente collaborare.

“Gli studiosi sono tendenzialmente deterministi…” – non sempre: ancora in accordo con quello che sancì il citato Heisenberg con la sua necessaria indeterminazione.

“… non è un caso che le scienze dell’essere umano, in particolare le scienze naturali, ma perlopiù anche le scienze umane e sociali, tendano a non parlare affatto di libertà, scelta e libero arbitrio.” – che non esiste qualora il Kósmos sia inteso come singolarità e non come un insieme diversificato di enti: in tal ultimo caso l’ente Pioli può dire la sua, anzi: tutti gli enti Pioli esistiti o da esistere possono dire la loro.

Caro Larsson, a pagina 55 de Essere o non essere umani scrivi, a proposito di quell’oblungo frutto, che “nessuna delle sue proprietà fa pensare a una banana, reale o immaginaria che sia.”: bada, però, che si dice che quel termine derivi dall’arabo banan, che indica (con un dito?) il dito. Per gioco, potrei dire che una banana è banale, ma prima vorrei sentire la dotta doxa di Salvatore Patriarca, autore de l’Elogio della banalità, nonché de Il cattivo.

A volte mi diverto a immaginare voi filosofi come dei tennisti che, seguendo gli insegnamenti di Borg e Vilas, sparano da fondo campo delle pallate estremamente secche, violente e dotate di effetto. Il fine, pleonasticamente, è d’andare in goal, di raggiungere l’obiettivo, per cui si sta tutti sudando nelle aulenti magliette. Il rischio che si corre (scientemente) è di gettare la palla oltre la linea di fondo o a ridosso della rete.

“… ‘la parola’ è sempre stata sentita come ‘sacra’, e come tale è stata affidata alla cura di druidi, sacerdoti, rabbini e sciamani.”come lessi ne Il cappello scemo di Haim Baharier, per gli antichi ebrei davar è una cosa ma anche una parola, non un mero parlare, ma un ente che parla, un mattone con cui si inizia a costruire quell’edificio, che viene chiamato discorso, ma anche libro; inoltre, in ebraico arca è tevà, ma vale anch’essa come parola, un qualcosa di salvifico che ti fa superare le avversità, purché usata correttamente. Non basta possederlo, quel natante, bisogna saperlo governare.

Una conseguenza di talerappresentazione simbolica arbitraria”: “ha scisso la realtà percepita in due livelli distinti, una realtà immediatamente accessibile, esperita per il tramite dei sensi e talvolta consegnata alla memoria; e una seconda realtà, quella dei simboli impiegati nella rappresentazione simbolica…” – che è decisamente meno evidente. Jiddu Krishnamurti avrebbe parecchio da dire a riguardo. Egli crede che, per cogliere la realtà, bisogna affrontarla come si fa con un cobra: senza pensare a quale specie appartenga, a quale genere, o ai pericoli che comporterebbe l’incontro con l’ofide. Egli predica una Libertà dal conosciuto, che non significa tendere all’ignoranza, ma non farsi turbare dalla conoscenza.

“… il mero fatto che una cosa venga a ‘stare per’ un’altra lascia immutata la realtà”: anche se, per  Bohr, un ente quantistico esiste solo nell’atto della sua individuazione, che ne muta, per un illusorio attimo, ergo per sempre e per mai, i suoi gradi di libertà: da onda diventa particella, esistendo, spazio-temporalmente, nel Kósmos.

“… la realtà smette di coincidere con la percezione sensibile: reale, a questo punto, è anche ciò che le nostre percezioni significano.”: in modo parzialmente inesatto, ma calcolato in maniera abbastanza accurata, come informa in Bussando alla porta del cielo la fisica modellista Lisa Randall.

Ti ringrazio del dono che m’elargisci a pagina 67 de Essere o non essere umani: “Insomma non è un caso se la parola ‘coscienza’ sottintende il prefisso ‘con’ di conscientia: è un’intuizione spontanea dell’epistemologia popolare.” – sarà anche un fatto banale, ma non c’ero mai arrivato.

Il secondo capitolo, intitolato Come Homo sapiens sapiens è diventato sapiens sapiens, termina a pagina 72. Il terzo, intitolato Il seguito della storia, a pagina 186. Il primo era intitolato Perché scaldarsi tanto? Una storia che divide. Ormai mi sento sempre più attirato dentro a un bollente black hole, per cui desidererei il sollievo che reca una tenue entropia, risorsa che tu mai concedi.

“La natura ci permette di immaginare possibilità che lei stessa non ammette, almeno nello stato attuale delle nostre conoscenze.”in quelle di Hugh Everett III forse sì. Per lui ogni decisione di ente quantistico – ogni scelta fra Enten-Eller, di un sé e di tutti gli altri enti finisce per creare un altro e diverso Kósmos, come afferma la sua discussa teoria dei multiversi.

Quanti immaginari universi esistono, secondo te? Pressoché Infiniti è l’unica risposta accettabile.

“Il vero salto di qualità, l’innovazione specificatamente umana, si ha però quando lo scollamento reso possibile dall’invenzione della rappresentazione simbolica arbitraria ci consente di mettere a fuoco i pensieri, i significati e le sensazioni senza tener conto delle percezioni…” – poi specifichi: “… senza lasciarcene sopraffare, principalmente grazie all’apprendimento del linguaggio…” – anche se nei cosiddetti social (verbali, ma anche immaginifici) è così facile fraintendersi… anche su una misera parolina scritta di traverso.

Leggo, a pagina 107 de Essere o non essere umani: “… riusciamo a conoscere gli esseri umani del nostro entourage, con i quali interagiamo e scambiamo informazioni ogni giorno…” – siamo chatbot del nostro prossimo, che tenta di addestrare noi mentre noi tentiamo di addestrare lui. Intrigante, a proposito, m’è parsa la lettura del saggio L’intelligenza artificiale di Dostoevskji di Luca Mari.

Differenzi acutamente fra le lingue nordiche e quelle “romanze”, che prevedono un futuro: sarà quel che sarà. Mentre l’inglese, per esempio, necessita di “una serie di ausiliari modali: will (predizione), should (raccomandazione), must o shall (necessità), may o might (possibilità), be about to (imminenza), can (capacità)…” – e questo accade anche nello “svedese” – secondo quanto affermi.

Mi scotta quanto leggo a pagina 116: “Nella maggior parte delle società democratiche gli uomini politici pensano a vincere le elezioni, più che a reinventare il futuro.” – in Italia interessa gestire i privilegi che sono scontati per chi governa, in supino ossequio al Forte Potere della Finanza Internazionale, che tante viltà ti concede se sei disposto a chinare, diligentemente, ogni volta il capo. A chi non è disposto a farlo, è permesso di condurre la sua vita innocente, purché non disturbi più di tanto. L’esempio che terrorizza tutti noi è di vedersi costretti ad andare in Bolivia, seguendo l’esempio di Che Guevara. O a lottare contro l’abominio degli imperialisti, a prezzo della propria libertà, come accade oggi a Julian Assange. Chi è disposto a imitare questi assurdi ed eroici combattenti? Io no!

“Agli occhi di Sartre rinunciare a progettarsi e realizzarsi nella dimensione del futuro equivaleva a rifiutare la libertà.” – che non so se egli abbia mai del tutto raggiunto. La libertà, a quanto ho capito (anche grazie a te) o è assoluta o è vincolata a delle grevi catene. E libertà non è più, a quel punto. Sono arrivato a pagina 118, per cui continuo a leggere. Ciao. A dopo.

L’orrore che provo, leggendo e scrivendo, è che al contempo non posso svolgere l’altra attività, a essa subordinata e alternativa, come Castore lo è per Polluce, come simboleggia la duplice testa di Giano. Nonché il mito dell’uroboro.

Interrompo la lettura del tuo saggio Essere o non essere umani, passando per una mezz’oretta alla silloge filosofica Ancora un momento di Edgar Morin, dove colgo un dono simile ai tuoi: in greco antico si dice syneídesis, dove sýn è con, come in simpatia, in simposio ed èideos è idea: da spartire con l’Altro. Un’idea che non condividi è sepolta con te.

Per il sempreverde Edgarla mente è una realtà emergente che è l’esito di attività neurocerebrali rispetto a cui ha acquisito una certa autonomia.” Però: “essa può essere osservata, pensata ma non spiegata.” Anche soppesata, dunque, ma non in senso esaustivo. “Sia la cognizione che la coscienza non possono essere dedotte dall’attività cerebrale che le producono.” Per cui: “la coscienza di sé non è assente ma rimane sullo sfondo.” Esiste, ma non è protagonista. A volte sopraggiunge ‘la coscienza della coscienza’ – che chissà che significa. E così continua: “C’è decisamente un carattere autoreferenziale nella misura in cui, nel soggetto, il sé è al servizio del sé, ma il soggetto diventa auto-etero-referenziale quando si mette al servizio altrui o di una comunità cui appartiene.” – e che fa parte (non solo) di lui: io-me-noi-loro: tanti scalcianti gemelli separati alla nascita.“La coscienza di sé presuppone quindi la coscienza dell’identità dell’Io e del Me.” – questi apparentemente sconosciuti. “Penso il mondo e penso me stesso in modo inseparabile…” – sono io una fetta impalpabile del Tutto? Ogni ente, anche “il batterio deve conoscere se stesso, ossia duplicare il suo materiale genetico”: anch’egli è un pur minimo Apollo di Delfi. “Una coscienza vegetale o animale che, per quanto arcaica sia, non è meno originaria, attraverso un processo di crescente complessità, della nostra coscienza umana”: analogamente l’androide Data di Startrek (così pressoché umano!) non è eterogeneo di un minimo bit o di un relativamente più esteso byte. Quest’ultima è soltanto una mia metafora.

Ora torno a quella tua benedetta-maledetta pagina 118 de Essere o non essere umani, ove si narra di un bimbetto che non riesce a mandar giù la cipolla impostagli dalla premurosa mammina, che smette di farlo allorché, per una volta, egli la mangia senza troppi problemi: dopo di cui la mamma “dichiara che non è più necessario.” – che bella cosa è la conquista della libertà! Scusami il punto esclamativo ma anche tu ne fai un uso esagerato…

Tu dici che i soliti noti: “Darwin, Einstein Bohr e Heisenberg” non si occupano solo di “descrivere l’ordine del creato” – quando, per loro, “bisognava capire come si fosse originato”: si è in più o meno mezzo e non si capisce se è lui è a capire noi o viceversa. Per Sartre “resta pur sempre la libertà di scegliere come porsi rispetto alla realtà.”: come co-esisterci.

“… la libertà e il libero arbitrio esistono solo in relazione ad altri esseri umani, non rispetto alla natura…” – ognuno ha il circuito che si merita.

“Un Dio inteso come Parola d’Amore starebbe bene anche a me, che sono ateo.” – questo dissi a Padre Aldo Bergamaschi fu il teologo che unicamente con la sua intelligenza mi costrinse ad andare ad ascoltare le sue omelie. Un giorno gli dissi che, nonostante le sue magiche parole, io ero rimasto ignorante di dio. Egli non si scompose affatto ma si limitò a dire che il suo maestro (Platone) gli aveva insegnato che Dio era la massima misura di tutte le cose. E non è solo una questione di maiuscole, forse. Se fossi riuscito a farmi un’idea di ciò, era già assai. Pochi mesi dopo, Aldo morì. Chissà se sta ancora pensando a ‘sto busillis!

Se al lettore del tuo lettore il mio discorso pare ostico e frammentario, lo invito a ingurgitare il tuo saggio Essere o non essere umani e solo allora mi potrà dire cosa ne pensa a proposito.

“Biologia a parte, solo l’interazione con altri esseri umani ci permette di accedere all’umanità.”: filosoficamente, socialmente, religiosamente?

Ora comincia 4 La scienza e l’essere umano: un po’ lunghetto anch’esso.

“… una costruzione teorica, per quanto elegante, rientra nell’ambito della scienza solo a partire dal momento in cui esprime predizioni precise e verificabili.”predizioni, le chiama “il fisico teorico Patrick Peter.

Lisa Randall, la citata fisica modellista, questo fa: costruisce (annualmente?) dei modelli, che solo gli esperimenti altrui porteranno eventualmente ad attestare quanto siano meritevoli di Nobel.

Indichi, citando “il premio Nobel Robert B. Laughlin”, due possibilità: 1) “possiamo considerarci padroni dell’universo” 2) “è l’universo a dominarci” – come dire: è la Nato a dominare noi o siamo noi paesi allineati alla Nato che dominiamo il mondo?

Il tuo stile, spesso duro, sa essere anche scanzonato, ironico, imperioso, laconico: “Siamo diventati quello che siamo diventati, caso chiuso…” e mancano ancora duecento pagine alla conclusione de Essere o non essere umani.

Dio ha avuto il modo di eleggerci suoi simili? Mentre gli (altri) animali “sono stati creati e basta…”? Il punto di domanda è mio, ma te ne dono un pezzetto. Sia per me che per te si tratta di una domanda retorica che non autorizza la risposta.

“In altre parole, detto un po’ alla buona, lo studio del comportamento animale ci insegna che abbiamo alcune cose in comune con le altre specie, e altre no.” – mingiamo all’impiedi? E le donne? E i neonati?

Michael Tomasello, di cui lessi il saggio Dalle lucertole all’uomo, ammette che “Almeno alcune grandi scimmie” fanno certune cose. Ne riporto solo una, la prima: “(1) fanno uso di strumenti” – secondo quanto dice Danilo Mainardi in L’animale culturale, essi non costruiscono “strumenti che possano costruire altri strumenti.” E nemmeno algoritmi e questo mi pare essenziale, non trovi?

“… Aristotele o Platone non si citano solo come curiosità storico-aneddottiche, ma come interlocutori ancora in parte rilevanti per il dibattito intorno all’essere umano.” – ma non circa la presunta germinazione spontanea dei vermi.

Parli di Wittgenstein. Rammento che Stephen Hawking (in Breve storia del tempo) riporta una sua frase: “L’unico compito restante per la filosofia è l’analisi del linguaggio…” – a me piacciono i tipi modesti, ma Costui a volta ex-agera. Oppure finge?

Mi domando come si possano definire i cosmologi che, equazione alla mano, come no (sto cercando di imitare il tuo stile retorico), falsificando se medesimi, s’inventano la radiazione che scappa dal black hole o dell’accerchiato Kósmos che se la svigna nel primo white hole che gli capita a mano,

Alcune domande cogenti: “Esiste il significato” e poi: “Che cos’è una domanda?”  e poi ancora:

“… dobbiamo presupporre a qualche titolo, in qualche forma, l’esistenza dell’entità Pegaso?” – io dico che se non ci fosse, occorrerebbe inventarlo, in una fiction delle tue per esempio.

“Ontologicamente parlando, insomma, il significato è un fenomeno emergente, indotto da un atto di riconoscimento intersoggettivo.” – chiamalo ancora, se vuoi, entanglement… se io ti leggo, mentre ti leggo, è come se tu mi stessi in quell’attimo scrivendo, al di là di ogni spazio-temporalità. È una bufala? Forse. Ma l’amo.

“… bisogna ricordare come sia precaria la memoria umana.”in Il corpo artificiale di Simone Rossi e Domenico Prattichizzo lessi che il nostro cervello è un tipo indolente, che ama scordare, quando il dato non gli serve nella quotidianità. Ricordo bene la trama de L’Idiota di Dostoevskji ma non altrettanto quella di Fame di Knut Hamsun, che tanto mi piacque, illo tempore. Perché non la rammento più?

La mia speranza è che ogni atto culturale sia formativo come otto ripetizioni di panca piana. Il muscolo così si allena, e l’importante è non smettere di farlo per lunghi periodi.

Su Dio, che devo dire… Ho letto I miei pensieri di Teresa di Lisieux e mi auguro che Egli faccia almeno il miracolo di esistere, non foss’altro perché quella ragazzina che tanto ho amato, leggendola, non ne rimanga eternamente delusa. Padre Aldo credeva in un unico miracolo: la Resurrezione di Cristo, che però, diceva, non era la rianimazione di un cadavere, ma un atto imperscrutabile di Dio. Beato lui che ci credeva, anche se, intelligente com’era, qualche dubbio forse l’aveva. Diceva anche che il cristianesimo era scaduto al rango di religione, come tutte le altre, cessando d’essere un’esperienza di amore. E fu perseguitato per anni dai suoi commilitoni graduati. Pensare che luterani e cattolici si differenziano anche per quello che esiste, trasformato oppure no, in un tozzo di pane liscio e circolare… Siamo ben messi, eh?

“… la Bibbia e il Corano non si riducono a rivelazioni trascendenti, ma spiegano come occorre vivere, in quanto individui e in quanto società, ponendosi come unico riferimento legittimo.” – il mio Aldino predicava la diversità delle etiche, dove tutti potevano fare quello che credevano (in termini di abitudini alimentari e non), purché rispettassero l’Altro come se stessi, sia che fosse un uomo, una donna, un dipendente, un cittadino.

“È come se fossimo incapaci di stabilire che cosa è letterario e cosa no senza porre il problema del valore o della qualità.” – se per Bohr la particella esiste solo quando è attestata, di può dire che un testo diventa letterario solo quando è pubblicato (e letto).

“Flaubert introduce in letteratura un elemento di relativismo…” – del tipo einsteiniano: “non esiste una posizione privilegiata dalla quale osservare l’universo” – nonché “il concetto per cui nel microcosmo della meccanica quantistica l’osservatore influenza qualunque misura.”

Sono d’accordo con quegli autori (l’ultimo che indichi è Eco) per cui “Il lettore diventava una sorta di co-autore: spettava a lui di giudicare della validità dell’interpretazione di un’opera.” – io non giungo a tanto, limitandomi a osservare e a riportarle, mutuata dal mio intervento psico-fisico.

E amo vestirmi da scemo per non andare alla guerra

Brevemente torno al saggio Ancora un momento di Edgar Morin: “… tutto ciò che ignora o disdegna e scienze umane è frutto della barbarie intellettuale.” – inoltre: “La letteratura ha la virtù di essere insieme mezzo di conoscenza e fine estetico emotivo.” – che permette di conoscere anche il proprio essere sapiens sapiens, oltre che la propria pur splendente ignoranza.

Tu parli in Essere o non essere umani di antropologia: “Gli scrittori di viaggio, in linea di massima, non si rivolgono ai nativi, ma ai compatrioti.” – ed è strano questo termine in corsivo: Elias Canetti a chi si sarebbe rivolto? Ai bulgari, agli inglesi, agli spagnoli o ai tedeschi? O, più genericamente, agli europei occidentali?

Leggendo Attraversare i muri. Un’autobiografia di Marina Abramovic ho provato ammirazione per gli aborigeni australiani, come pure, leggendo Lavacro di Maurizio Fierro, per i pellerossa; eppure, io mi sento diverso dagli uni e dagli altri: mi reputo un arşân tésta quêdra, impalpabilmente eterogeneo dai bagolòun pramşân e dai naşoun mudnèiş: fra Reggio Emilia, Parma e Modena non è che passi del gran buon sangue. Ognuno di noi più sente più una sorta dì fratellanza (lo dico in senso provocatorio) coi selvaggi della Papuasia (cosiddetti perché vivono nelle selve), piuttosto per gli altri diversamente emiliani. Quanti casini che crea ‘sto campanilismo!

“A volte, nella fase dell’interazione e dell’osservazione, entrano in simbiosi con altri popoli, ma quando scrivono non parlano direttamente a loro: scrivono per i loro simili…” – così farei per i santacrocini fuori dalle mura, così bistrattati dal pôpol gióst che è domiciliato da via Roma in poi, oltre la porta, detta di Santa Croce. Anche a Parma dicono che il dialetto vero è quello del Sasso, cioè del centro cittadino. Si tenga presente che, a Santa Croce non giusta, chi vive a ridosso di via Adua si sente un po’ diverso da chi vive in zone più interne (circa ottocento metri a nord), dove alloggiano immigrati di diversa schiatta… Schiatta fa venire in mente un verbo che, etimologicamente, ha ben altra origine (significa scoppiare): puozze schiattà!

Solo l’umorismo può rallegrare il condannato alla pena capitale: Il meno raccontabile martirio (narrato però da Enzo Bianchi in Vivere la morte) è quello del sufi Hallag Ibn Manṣûr, grande mistico dell’islam, che non riporto a causa della sua mostruosità, ma che si può tranquillamente leggere in quell’opera da pagina 221 a pagina 226.

‘Sto assurdo mártys dall’implacabile fede rimarrà per me un mito imperituro.

Tornando all’antropologia: “La verità è che sarà sempre un rapporto zoppicante tra due parti male allineate: una che osserva e una che si lascia osservare, una che prevede di andarsene a un certo punto e una destinata a restare, una che descrive e una che viene descritta.”: tu che compili un saggio e io che ci ricamo beffardamente su.

Se ci pensi, le mie verbose reazioni non sono altro che dei documenti antropologici.

“L’evoluzionismo ha punti deboli e lacune: ma la teoria non ha mai ucciso nessuno. Sono le persone a uccidere.”: i killers, ma i mandanti chi sono? Perché e per chi Quel Tale scrisse Mein Kampf (che ho stipato sul medesimo scaffale da anni e che non ho mai avuto la voglia di leggere)?

Salti di palo in frasca (seguendo ovviamente un piano rigidamente ordinato), scrivendo ora: “Non tutti hanno la franchezza di Carlo Rovelli, disposto ad ammettere che la sua specialità, “la fisica, è forse meno ‘utile’ di quanto i fisici tendono a credere.” – la sua gravità quantistica a loop, che interpreta in modo originale il supposto equivoco collegato allo spazio-tempo, è ammirevole in quanto si tratta di conciliare due concezioni antagonistiche. Tutti lo ammirano, rimanendone a rispettosa distanza. Il che gli va bene, tutto sommato, se si pensa a cosa capitò ai sikh, che cercavano d’armonizzare induismo e islamismo, che erano da secoli in santa lotta fra loro: e che concordarono solo nel perseguitare il sikhismo.

Io ammiro chi cerca, forse invano, la verità, non chi crede di possederla in esclusiva.

A pagina 327 de Essere e non essere umani inizia Il diritto umano mancante: un caso concreto, il tuo, di quando andasti in gattabuia, varie volte, per alcuni mesi, in quanto disubbidisti all’ordine da ubbidire durante il servizio militare, dopo pochi giorni di naja: così la chiamano da noi. Il termine deriva dal veneto-friulano che significa, pensa te, genìa, come dire che durante quel servizio si appartiene a un’altra specie animale. Se ti avessi letto nel 1978, quando fui arruolato, penso che non t’avrei imitato neppure allora. Mi ero informato su come avrei potuto evitare quell’obbligo istituzionale, magari fingendomi omosessuale. Poi rinunciai al mio piano, dopo aver soppesato il pro e il contro: pare che il dato sarebbe stato indicato sul libretto di lavoro. E mio padre ci avrebbe sofferto, vergognandosi di me (come già accadde talvolta). Quando la prima sera dopo l’arruolamento mi trovai sulla brandina alta di un letto a castello, guardando la schiera di commilitoni, anch’essi neofiti, mi dissi, mentalmente: Ma io che ci faccio qui? La stessa cosa mi ero chiesto quand’ero al liceo. La mia risposta non m’è ancor pervenuta. Se non come battuta: tu sei un bastardo, mezzo asperger e mezzo arşân, cioè etrusco, celta, latino, unno, goto, etc etc… e più non dimandare… Obbedii a tutti gli ordini che ricevetti, tranne a quello che m’impartì con un certo sdegno un mio commilitone di pari anzianità, che mi disse che avrei dovuto smetterla di dare così tanta confidenza ai nuovi arrivati (i cosiddetti missili, detti anche spine), che non meritavano altro che d’essere trattati come servi. Fui aspramente criticato da lui e da altri nonni, ma me ne fottei. Non mi potevano fare gavettoni o altro, ero troppo anziano e protetto da quella stessa, illogica, legislazione sociale. Ero un quasi congedante, un Eletto… destinato ad alcune brevi (e salvifiche) disoccupazioni e poi fagocitato per sempre dal sistema. Che mi trattenne in ostaggio, versandomi salari e contributi, per circa 40 anni. Pochi mesi prima del congedo, fui inviato presso una polveriera. In tempo di lezioni m’era stato dato l’ordine di andare a controllare che non ci fossero tentativi di scasso dei magazzini di munizioni. Ero a Trieste e il locale caporale dovette mandare via radio l’avvertenza alle varie guardie: Sta passando un mulo…! non spararghe! L’avviso fu da lui ripetuto quattro volte. Alla fine mi sentivo come quell’eroico Ronzinante, che tu, a pagina 284, prospetti abbia avuto per genitori una cavalla e un ciuco. Certo che ne hai di fantasia… mio caro apolide d’etnia svedese… Per chiarire il busillis allo scandinavo che sonnecchia in te: il concetto espresso da quel graduato, mulo, in triestino vuol dire ragazzo.

T’ammiro, in definitiva, per il tuo coraggio. A posteriori dico però che ho fatto bene a subire quell’imposizione civica e legislativa: m’è servita per uscire dal mio guscio e cambiare aria Non smisi di essere Asperger a mezzo servizio, ma dopo la naja riuscii a meglio convivere con quell’oscuro lato della mia personalità e coi più chiari, si fa per dire, lati altrui.

Dopo ‘ste smilze (14) paginette, giunge l’ultimo, assai più corposo, sesto capitolo: Se questo fosse un uomo, che cosa significa essere umano umano e che cosa dovrebbe significare: che ognuno di noi si prende i tempi che può, almeno finché non interviene qualcuno o qualcosa che glielo limita. Tu e io non abbiamo un grande senso della sintesi, ma che ci vuoi fare: è razza! Quale, lo ignoro…

Scrive il (da te) citatissimo Richard Feynamn, che era un professore simpatico (anch’io ne ho avuti alcuni: un nome fra tutti è il critico Giorgio Vioni): “Credo, quindi, che sia impossibile decidere su questioni morali usando tecniche scientifiche, e che le due cose siano indipendenti.”mi oppongo, Vostro Onore!

Ogni teoria scientifica è basata, ab origine, su postulati. Questo vale anche per quella filosofica (che si fonda su assiomi) e quella religiosa (retta da dogmi): tra córer e scapêr, fra correre e scappare. Amo la correlazione, anche quella che intercorre, talvolta inciampando, nella mente. Accetto l’idea di Richard solo se egli intende che lo studio vada svolto senza remore morali e, solo dopo, gestito eticamente. Allora sì, convengo. Diversamente no. È come se qualcuno mi negasse la possibilità di leggere quella citata opera di Quel Tale. Anni fa lessi la più schifosa (per me, ovviamente) delle opere: Le 120 giornate di Sodoma del Divino, si fa per dire, Marchese. E sono pronto a leggere di tutto: anche i libri di Bruno Vespa. Se non lo faccio è per mia scelta: Enten-Eller. Seguo i miei interessi soprattutto intellettuali ed estetici, non tanto quelli etici.

Ora riporto il tuo riporto del matematico Henri Poincaré: “… Non esiste una scienza immorale, come non può darsi una morale scientifica.” – questa è già meglio. Se intendo studiare le cause della lebbra, pur vivendo in un luogo in cui essa non è endemica, svolgo una scelta basata sia sull’interesse scientifico sia per un input etico: a me interessa salvare la vita agli uomini che si ammalano. Questo spinse, immagino, Gerhard Henrik Armauer Hansen (e se la questa reazione è troppo estesa è anche colpa sua) a compiere i suoi preziosi studi.

Perché tu scrivi, Larsson? Perché non guardi mai il Festival di Sanremo (ipotizzo, senza esserne certo)? Perché hai di più (eticamente e intellettualmente) gustoso da fare… Etica e spirito scientifico sono dei risultati della medesima mente. Non sono scindibili.

Scrive Poincaré chela scienza e la morale…” – alla fine – “… non si incontrano mai” – frase assoluta, ergo non (o quasi non) falsificabile: è quasi religiosa. Anche la posizione di Popper può talvolta incrinarsi: io non credo in Dio, ma se Quello mi appare, mi do un pizzicotto. Se non mi sceto, forse la mia visione non è solo sognata. Forse. Nel dubbio m’inginocchio (come feci per la naja). Io non sono un eroe, non sono un obiettore che preferisce la galera all’obbedienza.

Che sia, per caso o per necessità, un seguace dell’eternamente perplesso Mosè Maimonide? Boh?!

“Essere umani umani non si nasce.” – parliamone, magari dopo aver rivisto per l’ennesima volta la scena in cui Totò, celiando, ma non troppo, grida: signori si nasce!… e io lo nacqui!…, oppure quando così apostrofa un conoscente: signori si nasce… ma cretini come te si muore! Si nasce come animali, e poi ci si fa un’esperienza d’uomini, grazie sia all’imprinting che alla genetica. In modo non dissimile dai lupi, dalle volpi, dai canidi domestici. Sento di dovertelo dire: questo raddoppio di sapiens e di umano è una mistificazione, che non è retta da nulla. È una forma di religione, più che di scienza e di filosofia. Ma può essere utile, se il fine è di cercare di andare d’accordo, almeno fra noi umani. Se basta replicare un aggettivo, il prezzo è conveniente.

“Insomma, occorre coltivare il proprio giardino…” – sono d’accordo, ma ti ricordo che ognuno crede sì che sia essenziale costruire termo-valorizzatori della spazzatura, but not in my courtyard, semmai in quello del mio (citrullesco) vicino di casa. In un punto, che ho disperso e che potrei rinvenire in mezzo minuto, ma non m’interessa farlo, parli di alcuni ricconi: sono certo che sai benissimo che l’1% della popolazione mondiale detiene oltre il 50% delle ricchezze: that is the problem! Il loro cortile ha invaso il nostro, e ci scarica tutta la loro sarcastica monnezza. Il più odioso fra loro è colui che è solito passare da un casino all’altro, e che, comunque sia, finisce per aumentare la propria immonda ricchezza.

Trai varie conclusioni del tuo dire, che mi trovano assai d’accordo. Conviene però che il lettore del tuo lettore le legga direttamente dalla tua opera: io finirei per danneggiarle se provassi a riportarle.

Björn Larsson citazioni
Björn Larsson citazioni

Secondo il verso di John Donne:Nessun uomo è un’isola completo in se stesso…” – è vero, ma ti ricordo quel che forse non sai. In una sua famosa canzone, Scialpi ricordava a se stesso (e a me) che Siamo isole nell’oceano della solitudine. Ogni oceano, sia che tu ti chiami Cristoforo Colombo o che tu sia un vichingo o un hawaiano, può essere attraversato, ma non tutti ce la fanno. Molti soccombono anche ad attraversare i pochi chilometri di un mare chiuso, come ben sai. Anche loro, soprattutto loro, vanno semplicemente aiutati. Il primo passo sarebbe ridurre le suddette, ingiuriose, differenze di ricchezza. E mandare quel losco plutocrate a faticare, scaldandosi un po’, in fonderia.

Prendendo spunto da Hume, tu parli (per tutta l’opera, ma qui in modo icastico) del “baratro fra l’essere e il dover essere” che “rimane un problema”. Il problema.

Sappi che il Ministero del Lavoro a suo tempo distinse, fra l’essere e il dover essere, in relazione a quanto è giuridicamente sanzionabile. Se un datore di lavoro omette una registrazione (ingannando l’eventuale disamina dell’ispettore) va anche multato amministrativamente. Se non rispetta i termini contrattuali, a suo carico gli sarà verbalizzato un mero addebito contributivo, senza che gli sia comminata alcuna sanzione. La morale è questa: la finzione mirata al raggiro è tipica dell’uomo, ed è su questo che occorre far mirare l’etica del controllo.

“… quasi nessuno, se non magari un pazzo, accetterebbe di scambiare la sua posizione con quella di un detenuto in isolamento o di un morto vivente in un lager…”: ergo Salvo d’Acquisto e Rajmund Kolbe non erano normali? No: erano eccezionali. Non so se anche troppo umani umani.

Nessuno arriverebbe a sostenere che esistano geni milanisti e geni juventini…” – i romanisti definiscono strani i tifosi della Lazio. Io sono milanista di chiesa riveriana, soltanto perché avevo quattro anni quando la squadra del (mio) golden boy vinse la Coppa dei campioni. I bambini stanno sempre dalla parte dei vincitori: anch’essi sono umani umani.

Ognuno necessita di un ideale a cui tendere, che forse non si potrà mai raggiungere, ma c’è consentito di sognare di farlo.

A pagina 413 (più che altrove) de Essere e non essere umani t’interroghi su “il senso della vita” – è semplice: è ←→. Il mio programma di scrittura ha anche questo simbolo, che dà più l’idea: . Probabilmente quello di Carlo Rovelli (che tu citi spesso) ne ha uno che vortica su se stesso. Il senso della vita è lo stesso di quello del Kósmos rovelliano: un quid che vortica su se stesso, al di là del tempo e dello spazio. E in esso è covata la tua umana umana ambizione di capire la verità, che è un’anziana consanguinea che non si è mai maritata, ché non ne ha trovati di umani umani alla sua altezza (e bassezza).

Ciclo continuo in svedese è (correggimi se sbaglio): slinga. Sling è la fionda. Dove si slinghi il Kósmos lo sa solo lui: non è detto che si finisca tutti a zero gradi, immobili; né succhiati in un’immensa singolarità che, secondo le idee di Stephen Hawking e di Lee Smolin, condurrà a una nuova esistenza. Come già ti dissi, questi due princìpi fingono di litigare, sogghignando, forse, alle nostre spalle. A differenza di te, con cui però concordo emozionalmente e intellettualmente per la maggior parte del tuo discorso, io sento che ogni nostra doxa odori di scempiaggine.

Questo però non ci deve impedire di pensare, di astrologare. C’è poi quest’entanglement che fa ben sperare. Se due particelle, distanti una quasi infinità, si sentono consanguinee in ogni attimo della loro esistenza, potremmo esserlo anche io e te, io ed Edgar Morin, tu e lui. Perciò non smetterò di scrivere e riscrivere questa mia reazione fino a che non avrò concluso la lettura del citato saggio del sempreverde francese.

Tante sono le ingiustizie perpetrate dalle varie Chiese nei confronti dei liberi pensatori. Il marrano Edgar fa rabbrividire nel riportare il testo della scomunica promulgata il 27 luglio 1656 contro Baruch Spinoza, presso la sinagoga di Amsterdam. In Io e Dio di Vito Mancuso, lessi che, oltre al dogma dell’infallibilità papale, c’è, quasi coevo, quello che impone al credente di non dubitare dell’esistenza di Dio, allorché si pone di fronte all’immensità del Creato.

Non è inquietante?

Ecco, un mio conato fideistico, che vorrei condividere con te: finché c’è Edgar Morin c’è speranza! Il tuo saggio Essere e non essere umani e il suo Ancora un momento sono, per me, correlati e si completano istantaneamente l’un l’altro. Ed è bello essere della stessa specie animale a cui appartiene Edgar, a cui appartieni tu, nonché Cesare, Hitler, Stalin e tanti altri umani troppo umani Signori, che però non ce la faccio ad amare. Questo sì che è un problema, vero?

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Björn Larsson, Essere o non essere umani, Raffaello Cortina Editore, 2024

 

Info

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