“Ancora un momento” di Edgar Morin: l’uomo filosofico astrologa?
“Le strutture del dominio e dello sfruttamento hanno radici profonde e complesse, e solo affrontando tutte le facce del problema si potrà sperare in un qualche progresso.” – Edgar Morin
Per mia necessità personale e per mia scelta insindacabile, io concedo a Edgar Morin, autore di Ancora un momento, tutto il tempo che gli serve per farmi comprendere chi e cosa Io sia.
In cambio gli dono un mio piolesco motto: il francese migliore è quello che scrive, più ancora di quello che s’infila una baguette sotto l’ascella per eventualmente donarla al vicino di casa (italiano).
In tarda età (più mia che sua: avendo lui appena 102 anni) ho scoperto la simpatia e l’acume di questo filosofo che non ce la fa mai a dire nulla di illogico, anche se una piccola smagliatura di un suo discorso l’ho poco modestamente rinvenuta a pagina… no… ne parlerò poi… forse…
Ancora un momento è una silloge di argomenti filosofici espressi su quanto questo essere umano umano e onnicomprensivo ha percepito a proposito della vita umana (sua e di altri), esposta in modo narrativo. Il raddoppio di quell’aggettivo sarà poi motivato.
L’homo philosophicus philosophicus osserva, medita, astrologa, scrive. E legge sé e l’Altro.
Da parte mia colgo, a pagina 7: “Ciò che unisce questi testi è l’inseparabilità tra vita, pensiero e opera del loro autore.” – io ormai confido in tale inseparabilità, nonché nell’estro, nella coerenza e nell’onestà intellettuale di Edgar Morin.
Come mia costumanza, non intendo fare una sinossi dei vari argomenti, ma pescare qua e là alcuni pensieri espressi dal filosofo.
Non solo Edgar dice di sentire “la gioia estetica nel contemplare le bellezze della vita…” – e poi ne esplicita varie. Poi dice di sentire “una fervente comunione e fusione, quasi mistica, tra il mondo in me e me nel mondo.” – e il suo discorso esprime la “gioia di vivere, che presuppone un ardore…” – che ora gli pare “… solo attenuato…” – e la sua voce è forte, decisa, ma triste, quasi entropica e m’induce a chiedere a chiunque abbia il tempo e la voglia di rispondermi: a cosa siamo destinati in questo Kósmos, il cui presunto Ordine è sempre più freddamente sconvolto dal Kaos?
Edgar dice anche in Ancora un momento: “Il mio Io soggettivo e il mio Io oggettivo scompariranno simultaneamente e questo annientamento sarà, contemporaneamente, quello del mondo in me.”: anch’io ho avuto simili pensieri, e l’unica speranza l’ho rinvenuta nell’alveo della rassegnazione, cioè nel ripetermi come un mantra le sante parole dello zio di un mio amico, che era anziano e malato terminale: al mâsim e mōr!: se serve, volto i piedi a quell’uscio! E chissenefrega!
Nel frattempo me la godo con queste vocali aperte o chiuse, e ampie: â e ŏ, nonché con tutte le altre (anche quelle ristrette). Piuttosto che niente, è meglio piuttosto.
“Ho conservato le aspirazioni della mia adolescenza, perdendone le illusioni…” – la mia vita è stata una progressiva rinuncia a possederne, se non Colei che m’induce a esistere tenendo la mente e gli occhi spalancati di giorno, più socchiusi (e con strambi e rapidi movimenti) quando si fa sera.
“La bara, finto utero di legno, è la prigione della nostra decomposizione.” – un mio faceto amico usa dire, allorché il discorso si fa pesante: Ma parlare della solita, no? Inutile specificare cosa sia la solita per un volgarissimo maschio arşân. Il quale è un discorso stupido, se si pensa all’entropia che ha danneggiato i corpi di Marilyn Monroe e di Virna Lisi.
Eppure non riesco a immaginare che la bellezza sia eterna, anche per via di quel versaccio di John Keats che non cito quasi mai: A thing of beauty is a joy for ever. Ho visitato di recente la sua tomba al cimitero acattolico di Roma: non presenta il suo nominativo, perché questo egli aveva preteso: la bellezza non ha codici fiscali, è bella (ed energetica) e stop.
Tu, Edgar, ami “il letto” che descrivi come “Un ritorno mimetico alla pace uterina.” – anche a me esso non dispiace la sera; ma alla mattina sono felice di lasciarlo scomposto com’è. Di pomeriggio, a volte, lo risistemo.
“Ma quanta incoscienza, quanti errori e orrori sono stati commessi credendo di servire il genere umano!” – tutti quelli che sono stati ideati da un Io che non accetta d’essere una parte del Noi.
This is the problem!
“Possiamo e dobbiamo rigenerarci nella Terra-Patria, che è il nostro universo, al tempo stesso singolare e concreto.” – è il mio sogno di sempre, giovane mio…
Per te, sempreverde Edgar, “la mente è una realtà emergente che è l’esito di attività neurocerebrali rispetto a cui ha acquisito una certa autonomia…” – però: “essa può essere osservata, pensata ma non spiegata”: soppesata, dunque, ma non in senso esaustivo.
Ancora: perché mai farsene un problema?
“Sia la cognizione che la coscienza non possono essere dedotte dall’attività cerebrale che le producono…” – per cui: “la coscienza di sé non è assente ma rimane sullo sfondo” – sicuramente esiste, ma non è protagonista. A volte sopraggiunge “‘la coscienza della coscienza’” – che chissà che significa: e la metti anche fra virgolette. Se tu fossi un social friend, ti chatterei in giornata.
E così continui: “C’è decisamente un carattere autoreferenziale nella misura in cui, nel soggetto, il sé è al servizio del sé, ma il soggetto diventa auto-etero-referenziale quando si mette al servizio altrui o di una comunità cui appartiene.” – e che fa parte (non solo) di lui: io-me-noi-loro: tanti scalcianti gemelli separati alla nascita. Aggiungi poi: “La coscienza di sé presuppone quindi la coscienza dell’identità dell’Io e del Me.” – questi apparentemente sconosciuti.
Scrivi ancora: “Penso il mondo e penso me stesso in modo inseparabile…” – sono forse io un’impalpabile Fetta della Torta?
Ogni ente, pur anche “il batterio deve conoscere se stesso, ossia duplicare il suo materiale genetico…”: anch’egli è un microscopico Apollo di Delfi.
Mica hai finito: “Una coscienza vegetale o animale che, per quanto arcaica sia, non è meno originaria, attraverso un processo di crescente complessità, della nostra coscienza umana.”: analogamente l’androide Data di Startrek (così pressoché umano!) non è eterogeneo di un minimo bit o di un relativamente più esteso byte. Quest’ultima è una mia sciocca metafora.
“La letteratura ha la virtù di essere insieme mezzo di conoscenza e fine estetico emotivo.” – è una spinta energetica che ci consente di andare ogni mattina oltre: la sera ci si riposa soltanto (il che vale per me e per te, e per tutti gli Altri).
Nel capitolo di Ancora un momento che inizia a pagina 53, parli di Montaigne, di Spinoza e della vera identità di Shakespeare: molto interessante quel John Florio dal DNA siculo, per cui spero di trovare da qualche parte un suo pur anche banalissimo scritto.
Altri due capitoli, interessanti ma che m’intrigano di meno, fanno parte di Remissione.
Mi volgo ora alla seconda parte del tomino: Cambiamo strada.
“Negli ultimi decenni, con l’egemonia dell’economia liberale globalizzata, il profitto è cresciuto oltre misura a detrimento della solidarietà e delle convivenze.”: mi fai ricordare quel che disse un asiatico che, allora, era l’uomo più plutocratico del mondo, all’indomani di una sua debacle finanziaria: è solo carta…! Non si pose affatto il problema che magari c’erano alcuni milioni di uomini che avevano patito della fame a causa del crollo dei mercati! La resilienza di quell’uomo mi fece schifo. Il suo ricordo m’opprime. E quasi l’odio. Anche lui era un umano umano.
A pagina 95 scrivi: “Homo è sapiens demens…” – condivido.
Mi doni poi, nella pagina seguente, un termine che d’ora in poi farò mio: “econocrati”.
“Le strutture del dominio e dello sfruttamento hanno radici profonde e complesse, e solo affrontando tutte le facce del problema si potrà sperare in un qualche progresso.” – condivido ancora.
“Bisogna dunque pensare strada quando si pensa città.” – a Reggio Emilia, dove si parla un dialetto che pare francese, il centro è morto, essendo stato ucciso dai centri commerciali che, a quanto ho capito, non ti piacciono. Manco a me. Io amo tanto passeggiare per l’ormai desolata via Emilia, che risale ai tempi di Marco Emilio Lepido, detto il Regium, fondatore della città.
Sappi però che la gente anche ora continua a camminare nei finti viali dei centri commerciali, lunghi a volte centinaia e centinaia di metri, tanto che ogni tanto si ha il desiderio di sedersi e riposare un quarto d’ora.
Questo è l’aspetto forse negativo della questione. Quello positivo è che questi centri sono stati costruiti in quelli che una volta (tuttora per alcuni snob) erano definiti quartieri degradati, per la semplice ragione che lì il terreno edificabile costa di meno e gli spazi sono più vasti. Ecco allora che questi Mostri Commerciali hanno riscattato dei luoghi altrimenti negletti, in cui anche i cittadini del centro si riversano (pure di domenica, pensa). I negozi del centro sono, al contempo, in grande crisi.
Che dire se non che, ogni volta: Panta Rhei.
È questo quel che intendevo con smagliatura. Non so cosa sia successo dalle tue parti, ma dalle mie è accaduto quanto ho descritto.
Ho letto, in contemporanea col tuo Ancora un momento, Essere o non essere umani di Björn Larsson. Alcune parti del tuo testo l’utilizzato per reagire al suo saggio.
Björn usa spesso l’espressione umano umano: essendo homo sapiens sapiens.
Le vostre due opere sono quantisticamente entangled, correlate.
In esse s’è incuneato il mio io-me.
Voi due filosofi trasmettete al lettore le vostre acute motivazioni intellettuali e spirituali: l’ultimo aggettivo lo dono a chi crede nell’Anima.
Io ci credo. Tu pure? Björn anche?
Cos’è l’anima? L’unica risposta che mi viene è: boh!
Prendendo spunto da Hume, Björn parla (per tutta l’opera) del “baratro fra l’essere e il dover essere” che “rimane un problema”.
Il problema.
Mi auguro che voi due vi conosciate, e io vorrei allora essere insieme a voi. Me la offrite voi due inclìti umani umani una pizza margherita? Ne fanno di ottime nella mia via Adua.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Edgar Morin, Ancora un momento, Raffaelo Cortina Editore, 2024