“Trittico per dame” di Michele Meschi: il poeta è colui che sente?
Leggo nella fascetta della prima di copertina che “Trittico per dame ha la ‘strutturazione ‘encomiastica’ di un elogio, di un omaggio che il Poeta dedica a tre incarnazioni femminili, diverse per età e qualità…”: unite unicamente per la loro esistenza di mitiche donne.
Nella fascetta della terza di copertina de Trittico per dame leggo che Michele Meschi, oltre che quelle di poeta, svolge le sue mansioni di “Medico” a “Fidenza” – gran bella cittadina, davvero.
Leggo ancora, a pagina 4 che: “Questo libro è stato presentato venerdì 2 febbraio 2024, alle ore 17, nella Sala del Planisfero della Biblioteca Panizzi (Via Farini, Reggio Emilia), con la proclamazione dei vincitori del quarto Premio nazionale di poesia ‘Luciano Serra’ e la loro premiazione…”.
Il primo esergo appartiene a Michelangelo Buonarroti, e alla sua “O notte, o dolce tempo, benché nero…” – che pare avvertire il lettore che il tempo può azzerarsi, cessare, tendendo alla nullità, per cui è assai meglio saper gioire di quel che ci tormenta o ci delizia, ma che ci fa sentire vivi. Detto delle mie parti: meglio aver avuto che aver d’avere.
Al poeta nulla desta dei mistici sentimenti quanto l’essere femminile che lo fronteggia, quale può essere colei che, diversa dal nostro sé, tende però verso di noi, o da noi s’allontana, gemendo e facendoci gemere. È il nostro contrario, oppure il solidale, a seconda dei casi. Seguendo l’opinione che Denis de Rougemonti espresse in L’amore e l’occidente, è dalla sua improvvisa assenza che trae origine la passione che si prova per l’Altro, o per l’Altra.
“Ho scelto la rovina fra le frange” – che dà l’idea dell’annullarsi della speranza, fra le frange, nell’annullarsi di quel che pare già abituale e ormai vana ripetizione.
“Si squarcia il velo” – e il cielo in cui si confida, pregno di ogni illusione, che cessa all’improvviso.
“S’infiammano i sensi erti alla conquista.” – a cui ci si prepara conteggiano per bene tutte le dodici sillabe.
“ti ninnavano alla scuola calde ore.” – in una sorta di miracolosa attrazione.
“esistenza privata dell’errore” – che non ammette più alcuna alternativa.
Canta Umberto Saba, a pagina 21: “è l’erta solitaria, l’erta chiusa” – dove ogni ente è sé stesso e nulla più.
“Gran Dio che varia” – che promette sempre delle rinnovate esistenze.
“C’era un uomo, qui dove io sono” – il tempo ogni volta passa e i cocci rimangono suoi. Chiamala, se vuoi, Cosmica Entropia, che svolge una funzione d’inclìto ossimoro.
Entropia è un rivolgimento diretto verso il centro, che annulla ogni rapporto. Kósmos è ordine.
“la terra, il sole che si forma in rogo” – che promette una singolare eternità.
“il poco di pace estorto alla vita” – undici sillabe che si contendono il destino tra unità e diversità.
“si allineano ai pilastri dell’universo” – alla ricerca dello spazio-tempo perduto.
Attilio Bertolucci implora, a pagina 33 de Trittico per dame: “Lasciami sanguinare sulla strada” – concedimi di diffondere Altrove la mia anima.
“il carcere lí prossimo, la morte” – la dispersione delle mie colpe. Quella i chiusa è inauditamente einaudiana…
“da una morte diaccia eppur consueta, voliamo” – disperdendoci non importa dove, né quando.
“di nuovo la pena sgorga dalle fonti,” – diffondendo in ogni dove la propria fresca innocenza.
“coperto di sole. Il sospiro di sollievo” – tiepidamente ammucciato nel suo quieto esistere.
“scrivimi tutto con la biro nera.” – e nessuno potrà mai decifrare il tuo vano dire.
Qui cessa il Trittico, a cui fa seguito Le tracce mnesiche delle case.
Avverte, a pagina 47, Charles Simić di non voler saper nulla di quel che proviene al di fuori di lui.
La prima poesia è ingarbugliata e non concede appigli: va letta, subita. Ma non mai ignorata.
Alla prima via, il poeta confessa: “Piuttosto chiederei di attraversarti”.
La seconda via propone “la sezione aurea o una finestra al mare.”
Nella terza “le pareti sanguinano con niente” e “Anche le finestre sono fameliche,/ il tappeto marcisce a vista ed è oscuro” – un kaos che non promette nulla di buono.
Nella quarta “C’è un lato oscuro delle cose, è dato” – dove pare a lui, disperso, chissà perché.
Nella quinta si è “transustanziati in una triste eucarestia” – che non consente più la speranza.
Nella sesta scorrono “gli eventi, il grano battuto dai venti” – la dispersione che ci illude ridendo.
Nella settima “nulla c’è che non viva, né che muoia.” – e ogni ente pare tacere, ironico.
Nell’ottava sorge una nuova consapevolezza: “Pure stamani pare intagliata nel burro,” – e fa venire l’acquolina in bocca.
Nella nona sorge uno sproposito: “Vorrei per te nessuna immolazione,” – che nulla serve a nulla, men che meno un sacrificio.
Poi si torna a Casa a Cesenatico, dove “Piovono ombre in quest’angolo nero/ ed io non so chi sono.” – avendo finalmente smarrito ogni valore in una di quelle erme vie.
Smarrire non è però perdere. È indurre a una rinnovata ricerca.
Le poesie di Michele Meschi sono un alternarsi di attrazione e di ripulsa. Egli pare non sapere quanto e se concedersi al lettore, e forse neppure a sé stesso. Nulla pare importargli se non esprimere la diffidenza, il sogno, la malinconia che lo piglia a ogni ora.
Egli è ormai privato di fede. Egli insegue atterrito la speranza. Poi si ferma. Raccoglie ogni suo pensiero. Decide che farsene della sua angoscia.
Tira innanzi, come capitò a quell’eroe.
Ma essa gli rimane incollata, come se gli fosse affezionata.
Sapendo poetare l’unico spasso che gli è consentito è di trasmetterla a chi intende condividerla.
Assai chiarificatrice è la nota finale Michele Meschi poeta: ieri e oggi di Paolo Briganti, che mi convince di nu rittu anticu, di quelli che nu fallisciunu mai, come direbbero a Pixuntum (da me or ora coniatu): per capire sul serio un parmigiano occorre essere nati a nord-ovest di Reggio Emilia e, al contempo, a sud-est di Piacenza. Grazie a tale intermediazione culturale ho compreso un po’ di più le due sillogi di Meschi.
Ma ormai è fatta, ho già scritto la mé reasiòun da tésta quêdra arşâna…
Parte integrante del volumetto è la poesia Mi preparo a esser vecchio di Luciano Serra, presentato dall’arşân Giorgio Vioni.
Essa parla di immagini che si sono ripresentate alla memoria del poeta, fra cui l’ultima tanto m’emoziona perché l’assorbii quand’ero infante: “Otello Sarzi: la sua barba imbianca,/ ha una maschera antica.” – forse coeva dei suoi incasinati burattini.
Mi pare sia stato ieri quando, millenni fa, quella vicenda da lui rappresentata mi fece tanto ridere.
La poesia di Luciano Serra va letta, meditata, e analizzata, per passare il tempo, non per capirla.
Cos’è il tempo, infatti?
Fra tutti i giochi illusori e perciò veritieri, continua a parermi il migliore quello descritto dal fisico britannico Julian Barbour, secondo cui il tempo pare esistere, ma non è. Semmai vi sono quelle cannuccedde (se sei di Pixuntum), mollette (se sei d’Amalfi), ciapett (se sei di Reggio come me, e forse anche di Parma, come Meschi), infiniti ammennicoli che servono a sostenere le sue immagini, che sono illusorie, ma Qualcuno o Qualcosa pur ha steso quel filo davanti ai nostri fallaci occhi. Che però non riescono a coglierli tutti insieme… chiamali, se vuoi, stati quantici. Oppure sogni.
Chiamali come ti pare. Tanto non cambia Nulla. E brillano ugualmente.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Michele Meschi, Trittico per dame, Consulta Libri e Progetti, 2024