“Il serpente” di Luigi Malerba: un quieto buco grigio?

L’autore de Il serpente è Luigi Malerba, pseudonimo di Luigi Bonardi, un pramşân bagulòun, che così a Reggio Emilia chiamiamo i parmigiani contafrottole.

Il serpente di Luigi Malerba
Il serpente di Luigi Malerba

Loro ci chiamano tésti quêdri, ma questo per colpa di un infausto verso scritto da Alessandro Tassoni, autore del poema La secchia rapita ai bolognesi, detti pure felsinei, soooccc…!, dai suoi modenesi, che sarebbero i cosiddetti nusòun, coloro che hanno la testa rotonda, alla quale pare tengano particolarmente, perché è dura come una noce, così ameno ho letto in Fantastiche creature di Luciano Pantaleoni. Tutto ciò non c’entra nulla ma col mordaceo romanzo di Luigi Malerba ma, dopo tale lettura, sento che tutto m’è permesso, anche una piolata di troppo. Secondo un detto sentito ad Amalfi (SA), a cui intendo soltanto accennare, in un’antagonistica città abbonda un’erba giudicata malamente, che non difetta però in alcun angolo d’Italia: l’ortica. La prosa di Luigi Malerba è decisamente (e volutamente) urticante.

Ci tengo a precisare che il giorno di Sant’Andrea, quando ci sarà la cosiddetta corsa di Sant’Andrea, nella limitrofa Atrani pregano perché piova.

Ora, contraddicendo la mia iniziale intenzione, inizio a narrare quell’allegorica storiella. Si narra che un viandante, di non si sa quale appartenenza etnica-etica-estetica (per cui specifico che e – e, a – a sono spesso a diretto contatto (senza alcuna eufonetica) nel testo del romanzo di cui al titolo dell’articolo; e ogni tanto le virgole risultano de-cedute evaporate morte), quel tale, dicevo, giunge a Pagani (SA), distante non più di una trentina di chilometri dalla più antica e inclìta delle repubbliche marinare. Assetato (e pure affamato), egli bussa alla prima casetta che incontra. Laggiù, si sa, l’ospitalità è sacra e greca, e ogni ospite è un amato figliol prodigo, ma in quella casa si vive giornalmente l’eccezione. Per cui, gli scaraventano addosso un pezzo di canterano, e quello se le dà a gambe terrorizzato. Mentre così scappa, scorge un rivo che, maleodorante oltre che strozzato, va gorgogliando, il cui infetto liquido riesce a placargli, pur orridamente, la sete. E presto quel disgraziato emigrante è colto da un attacco di dissenteria, per cui si scosta dal sentiero e va a scaricare il suo inquinante concime in un limitrofo praticello. Essendo buio, egli non s’accorge che l’erba con cui si deterge è un’infida ortica. E perciò subito inizia a grattarsi, a grattarsi, a grattarsi, gemendo, e a gemere grattandosi, grattandosi, grattandosi. Da qui il detto: Pevani: mala acqua, mala gente e pure l’erba è malamente.

Normalmente amo (giungendo talvolta, come in Dissipatio H.G. a adorare) la forma di io narrante, ma in questo caso veramente faccio fatica a sopportare quest’uomo che tanto dice di sé e tanto nega degli altri, e che non capisce quasi mai granché poiché crede di capire quasi sempre troppo. Non sto parlando di Luigi Malerba, ma dell’infame (non sarò mai certo però che lo sia) protagonista de Il serpente.

“È incredibile come ci sia sempre un ragazzo più povero e pieno di croste del ragazzo più povero e pieno di croste che si conosca. E la scala continua a scendere, non si sa nemmeno dove finisce.” – il mondo è talmente zeppo di contraddizioni che un carattere bipolare può tornare buono per una sua fredda e compulsiva disamina.

“‘Nell’Inferno almeno fa caldo,’ diceva mia madre…” – e non aveva tutti i torti: significa che in quell’Imo non c’è poi così tanta entropia, ché quella prevede “l’aria gelida” – che ora tanto sta dando da fare a quell’io.

“Ritornavo a camminare per le strade, i tram andavano sempre avanti e indietro, così pure le automobili, la gente.”tutti intenti a rincorrere i loro guai e a tentare di rinvenire la soluzione al secondo principio della termodinamica.

A ogni inizio di capitolo appare una nuvoletta a forma di pagina di parole scritte in corsivo: la prima così termina: “E non chiedere aiuto all’Architetto perché l’Architetto ha molto da fare.” – forse, nel caso in parola si tratta di un Demiurgo. Egli teme le censure dell’Ingegnere-Responsabiledeilavori.

Ho provato a andare al caffè…” – vai pure, tra. – “… ma ho parlato soltanto con il cameriere, mi dia un caffè e poi mi dia un altro caffè.” – occhio, guagliò, che a Amalfi dicono: non meno di 3 e non più di 33!

Tu stai vivendo un matrimonio non del tutto infelice, un po’ scarno di argomenti in comune: “Con mia moglie abbiamo parlato pochissimo prima di sposarci. Poi ci siamo sposati e adesso non parliamo quasi mai.”

Un’acuta osservazione, la tua:Mia moglie è un temperamento polemico.” – la mia non ricordo, sono ancora sotto choc. A volte sento di non essermi mai coniugato. Sarebbe forse il contrario se fossi rimasto putto e vergine?

Un sereno proposito viene urlato due volte: “Io ti ammazzo, vecchia…” – variando un po’ nella forma, la volta seguente: “Vecchia. Io ti ammazzerò…”.

Non s’era forse capito per cui è giusto sottolineare un fatto sotteso: “Però odiavo mia moglie.”

Molti spietati uxoricidi non ambiscono che a uno stato, che di per sé sarebbe legittimo: il celibato.

In certi universi Dylan Dog è un gran rubacuori che non ha mai aspirato a matrimoniarsi. In altri è una specie di sciupafemmine, che è testé evaso da un connubio problematico. Se anche cercassimo di cambiare la maggior parte della nostra biografia, un minimo di caratteristica personale e individuale la manterremmo: il nostro gheriglio-anima, la nostra maschera irrinunciabile.

Ora il tuo io trova nella musica una più percorribile via crucis: canta senza nemmeno socchiudere la bocca, in quanto ha scoperto (trattasi di puro genio) che “il canto è come la parola, il canto mentale è come il pensiero.” Ed è una bella strategia: “Perché cantare in modo mediocre, perché zoppicare quando potevo correre e volare? Leggerezza fluidità sentimento…” – ed è come ridurre le virgole. Alla fine ci si ritrova un po’ meno poveri.

In quell’armoniosa Arcadia, dici, “conobbi una ragazza” – che si chiamerà, per esigenze di copione, Miriam. Ma nessuno, men che meno il tuo io, conosce il suo vero nome.

“Farsi intendere senza parlare, con il silenzio, attraverso la magia delle cose, è un’arte.” – che dura un nulla di fatto nonché di detto: “Si può far parlare un castello, una strada, un muro, una pianta. Anche un sasso si può far parlare. Miriam camminava al mio fianco e non diceva niente, non c’era bisogno di dire nulla.” lo stesso Buster Keaton ne sarebbe stato, al suo solito, cupamente felice.

“Certe cose sono nate da…” – e qui l’io enumera tutta una serie di fenomeni entropici, fra cui il più esilarante è “un uragano (come Enea e Didone)” e mi sa che urge leggere l’Eneide, ché mica l’ho capita; “Qui era il caso di uno smarrimento sacro, come ho già detto.”

Talvolta il tuo io si rincuora da per sé, come quando dice: “Racconto tutto per precisione, perché mi piace essere preciso.”

Un difetto del tuo io: oscilla in modo preoccupante nella sua onestà intellettuale (troppa e troppo poca a senso alternato). Per esempio, quando dice: “… ma io non so niente, ho mentito quando ho detto che sono stato in guerra.”

Ma è un vero eroe, alla Enrico Toti: “Se attacchi, anche la sconfitta ha un suo onore, ma se stai fermo non succede niente e il niente è la cosa peggiore che possa succedere.” – per far comprendere il concetto, che, in effetti, è esoterico, occorre ricordare che, notoriamente, il vuoto pullula di petanti particelle che hanno il carisma d’essere virtuali.

“Era svaporato via perfino il Papa da poco tempo e non si parlava altro…”R.I.P. Di fatto, però, la morte è la più pervasiva fra le naturali scoregge.

“Quando sono in forma io faccio molte variazioni…” – io in forma nacqui e in tal guisa un bel dì perirò.

“Miriam aveva un talento naturale per l’armonia però era scarsa nei tempi, mancava di misura…” – le particelle non sono mai misurabili con assoluta certezza, semmai con indeterminata accuratezza. Ma occorrono servirsi degli strumenti idonei. Almeno uno lo devi tenere, zurieddu!.

“… i frigoriferi eccetera possono durare molti anni prima di finire nel Grande Mondezzaio Universale…”il tempo è un’illusione che prima o poi raggiunge la sua scadenza.

“In genere la gente fa le cose e poi ci pensa sopra. Io no, è difficile che faccia una cosa senza averla pensata prima.”tu la pensi, la fai, e poi la ripensi ogni volta, rifacendola sempre per la prima e unica volta. Vai al mare, prenoti due sdraie, in una ci piazzi sopra il tuo sedere; e l’altra rimane stabilmente vacua. Se uno te la chiede, gli dici, con tono scocciato: “È occupata…”.

“Io odio tutti gli uomini a eccezione di una donna.”l’ami al punto d’ammazzarla. Chissà mai che le succederà… Sempre che colei sia realmente nata e non rappresenti una tua pur vitale illusione! Torchi la tua vittima, che di fatto è più serena di te. E dici: “Quando incomincio io sono peggio della Santa Inquisizione.” – ripetendo il concetto tre volte. Temi di avere le corna, per cui: “Se queste sono corna, disse Miriam, allora hai le corna.” – tale ammissione le dà diritto a uno sconto della pena. Vedremo…

Una cosa hai in comune con Yukio Mishima: non sai nuotare. Il mio consiglio è di buttarti dove non c’è piede, dopo di cui forse supererai il tuo problema esistenziale.

“Le dissi molte volte questa banalità e altre banalità del genere…” – le tue non sono banalità come quelle che raccomanda Salvatore Patriarca nel suo Elogio della banalità. – ma cavoletti di Bruxelles.

Una cosa va salvata nel tuo libro (il resto è da Premio Nobel): provi “repulsione” per Baldasseroni, ma è un tuo amico, l’unico che hai, ergo: quasi lo ami (ance se dici che quasi l’odi). Puoi farne meno? No! – “Perché? Perché Baldasseroni è un amico.” – riesci persino a perdonarlo dell’infame sospetto che hai che se la intenda di nascosto con Miriam. E qui non riesco a capire chi sia maggiormente da perdonare fra voi due.

Anche a pagina 90 e 91 citi “l’Architetto”. Anche a pagina 117. Iscritto all’apposita Inarcassa, m’auguro. E ora, “Un serpente si è insinuato nel mio corpo, cammina, morde, ora qui ora là. Mi fermo a ascoltare il dolore, non riesco a localizzarlo, piove, ripiove, smette di piovere” – la solita, umida vitaccia.

Dall’esergo di VII, riporto: “Per questo, anche se non è probabile che ci siano serpenti in città, tieni l’orecchio tesi e senti qualcosa strisciare…” – digli: vade retro io da me!

“… per sentirsi tranquilli, ogni tanto bisogna farsi radiografare.” – dopo di cui s’acquisisce la certezza di non essere moribondo.

I numeri, anche se pensati a lungo, non diventano mai pensieri.– cose non sono neanche, allora non esistono? Forse.

Poi fai un sogno, importantissimo per la tua storia che ormai è, oniricamente, la mia. Perciò la sottaccio. È sempre là, per chi la cerca, a partire da pagina 116.

Un’eccezione al mio salvifico silenzio: dico che non sei più a Roma, ma sul “Lungoparma” – ma lo sai che, dalle vostre bagolone parti, le banconote da cinquantamila lire sono grandi come lenzuola? Questo in provincia. In città fra quei Benedetti e Umidi Sassi, son grandi come la coperta di un letto matrimoniale. Colà, l’INPS è denominata con l’acronimo IDPS, in quanto è Ducale. L’unica cosa che valga la pena di salvare è forse il “pastificio Barilla”: parola d’arşân tésta quêdra!

A pagina 127, la svolta è epocale: “… io mi dicevo non è successo niente, l’unica cosa che è successa è la giornata che è passata via senza che succeda niente.”

La fregatura sottesa è la solita: “… il niente può essere frenetico e forse questo è il niente peggiore che ci sia.” – sempre a causa di quelle matte aeree fugaci virtualità quantistiche.

“Adesso erano tutti morti i cavalli che avevo visto quando ero ragazzo. Anche molti dei conducenti dovevano essere morti.” – e lo sai perché amo tanto gli epicurei abitanti di Salsomaggiore? No, non c’entra Miss Italia. Anzi, sì, c’entra. Perché ogni due frasi e mezza dicono Fîga! Con la i estesa e spalancata: è una consueta interiezione per loro, come per i felsinei è socc… ehm, sorbole!. Ma a te, parlare della Solita, no? Non ti va davvero mai?

“È bello mescolarsi alla gente quando si sente di non avere niente da spartire con lei.” – giusto: le folle sono folle, e noi siamo folli.

“Ma le idee di Platone sono niente al confronto perché mancano del furore erotica.”Fîga!

“I mezzi di comunicazione sono infiniti e la parola è il mezzo meno perfetto. Il silenzio è perfetto.” – essendo morto, mentre io pensavo che fosse aureo.

C’erano i cavalli, i rinoceronti, ma anche i serpenti e i pipistrelli.” – mancavano soltanto i cheyenne e gli arapaho.

Non ho detto ancora che sei uno scalcagnato venditore di francobolli. E sai perché? Perché è la tua vita e non la mia. Per cui non me ne frega granché.

Tralascio il tuo vano e inquietante discorso su “Pelagia o Pelasgia” – a chi interessa sapere di più legga il romanzo a partire da pagina 144.

A chi eventualmente importa l’aspetto tipografico, do un’informazione: Bompiani negli anni 70 esigeva la i chiusa per “lí” e la u chiusa per “giú”? Ma è guarita poi, nel congiungersi a dei Giunti.

Il tuo io (ma a chi mi sto ogni volta rivolgendo, a Luigi Malerba?) è un tipo religioso, come no: “Bestemmio in silenzio, invento nuove bestemmie. In certi casi io posso essere diabolico.” – per cui ho deciso, che per salvarmi da te, la mia prossima lettura (già messa in programma da un paio di settimane è I miei pensieri di Teresa di Lisieux).

“… di finocchi di sedani di pere e in giro un odore di pesce di verdura di campagna…” – le virgole sono l’oppio degli accademici da sei/otto milioni di lire al mese.

“Ma che cos’è questa smania di ordine? mi dicevo. Stai forse facendo un inventario? Questo che stai facendo assomiglia piú a un testamento che a un inventario.”!

“Miriam aveva le mascelle sporgenti come quelli che hanno masticato pane duro per molte generazioni, i romani hanno la mascella sporgente…” – anche noi teste quadre. Infatti il simbolo di Reggio è SPQR. Poi quei romanisti c’hanno scopiazzato.

“Ecco era morta.” – il soggetto sotteso è Miriam.

“Non era Miriam quella, era un po’ di sostanza naturale, un po’ di carne, un po’ di ossa.”

“La confusione nasceva dal fatto che una volta ammazzavo e una volta ero ammazzato, una volta Miriam e una volta Baldasseroni, una volta mi trovanti davanti a Miriam con la rivoltella e una volta di fronte a Baldasseroni. Una carneficina, un macello e…”e a te Hugh Everett III, col suo IMM, a te ti fa un baffo, che dico, un pelo pubico!

“E perché Miriam adesso si mescolava alla folla e correva anche lei insieme agli altri?” – chiedilo a Hugh Number Three, se, per eventualità quantica, ti capita sotto tiro.

“Vedevo Miriam dappertutto, riflessa nel vetro della vetrina, nella fiammella di un fiammifero, fra le pagine di un…” – e io per non vederla più (u aperta), cambio subito pagina. Ma lei ti perseguita, ti parla, chiedendoti un sacco di cose e tu sei costretto a dirle: “Non ti sento, Miriam, devi parlare più forte.”

Pietosa come mai lo fu da viva: “Fai presto, diceva Miriam, io qui mi annoio da morire, è proprio un mortorio questo posto.” – e poi ti viene il sospetto che sia momentaneamente allocata in Purgatorio che, notoriamente, è un luogo a rischio evacuazione.

“Per il momento stai tranquilla al tuo posto, dicevo, vedrai che arriverò presto.” – io no, ancora ho 10.007 impegni!

Sei un vero fisicaccio, caro, quando poni una questione degna di un Carlo Rovelli: “Quello che non capisco, dicevo, è perché cadete giú nei burroni. Allora vuol dire che anche lí c’è la forza di gravità che vi tira verso il basso.” – che si tratta di un quieto buco grigio? A quiet grey hole?

Che sia dannata quella Miriam, che non vuole rispondere alle tue sessuologiche domande!

Luigi Malerba citazioni
Luigi Malerba citazioni

Finalmente ti sei deciso di andare dal “Commissario” – ma poi cominci a parlare di Piazza Grande a quello sprovveduto laziale! Cosa vuoi che ne sappia lui?!

Fatto sta che, ormai stremato, ti chiede di stilare tu il verbale e mi pare di aver capito che ora prende un permesso per gravi motivi di famiglia e che se ne starà a casa per un paio di settimane.

Ennesima tua ilarità: “Forse un giorno si rivolgeranno anche loro verso il basso, le cantine le fogne le catacombe, le profondità della terra.” – mica le ho capite, le due virgole…

“Piú profondo sarò il buco e piú tranquillo sarò io, mi dico.”

“Ma l’uomo vestito dice ancora di no. Insisto. Risolviamo questa faccenda una volta per tutte, dico. L’uomo vestito dice ancora di no.” – vuol dire che non è ancora a tua ora.

“Non posso abbandonare i resti di Miriam in preda ai cani e agli avvoltoi, la sua voce mi insegue dappertutto, mi chiama. È una persecuzione.”tu sei il suo Orfeo, lei, poverella, è Euridice.

Sappi però che ho grandemente apprezzato la tua esauriente sinossi circa l’antropofagia all over the world: è degna di una Margaret Mead e di un Claude Lévi-Strauss!

“Quando avrò il buio e il silenzio resterò immobile come una mummia, se è lecito il paragone – sì, lo è.” ‒ stavolta l’ho urlato a bassissima voce.

“Ogni mossa ogni voce ogni rumore…” – m’hai un po’ rotto. Arriva al dunque…

“Vorrei stare al buio, nel silenz…” – e allora stai zitto!

“Non avere nessun desiderio, nessuno che…” – ora però ti tolgo il microfono…

“… con gli occhi chiusi.” – l’ho indovinato leggendoti le labbra.

Mai letto un libro tanto genialmente allegro. Che così termina:Vorrei restare fermo, immobile, in posizione orizzontale, con gli occhi chiusi, senza tirare il fiato, senza sentire il fiato, senza sentire voci e campanelli, senza parlare. Al buio. Non avere nessun desiderio, nessuno che parla e nessuno che ascolta, così, al buio, con gli occhi chiusi.”

Per concludere… l’entropia è più gelidamente perfetta di mia zia!

E lo scrittore è un Uroboro che, mentre inghiotte la sua fine, si chiede ogni volta perché?

Non è la fede che gli difetta, bensì la minima certezza di averne una.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Luigi Malerba, Il serpente, Bompiani, 1973

 

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