“Il mio omicidio” di Katie Williams: la clonazione delle vittime
Recensione del thriller “Il mio omicidio”
Lou è una terapeuta del contatto. Accoglie i suoi clienti nella Stanza, ideata dalla società per cui lavora a modello di una escape room simile presente in un gioco, Iron Feather.
La Stanza è un luogo di compensazione delle afflizioni della vita, dove la gente si reca per trovare serenità e conforto, fosse solo quello di rimanere mezz’ora mano nella mano con la terapeuta di turno, circondata da un ambiente confortevole, caminetto fiori e tutto il resto.
“Il mio lavoro era questo: abbracciare persone. Abbracciarle e basta. Chi fa questo lavoro deve imparare a leggere le persone, a intuire quando allentare l’abbraccio, quando stringere forte, quando lasciare del tutto la presa.” (pag. 48)
Lou è felicemente sposata con Silas e ha una figlia di nome Nova.
Ma Lou è anche altro: un clone della precedente Lou, assassinata alcuni mesi prima da un serial killer di nome Edward Early, arrestato per l’omicidio di altre quattro donne. La catena di omicidi ha destato enorme scalpore, e vista l’eccezionalità del caso, la Commissione per la clonazione ha deciso di riportare in vita le cinque vittime, restituendo loro un futuro che era stato brutalmente spezzato.
“La verità era che la Commissione non avrebbe clonato noi cinque, se non fosse stato per i servizi del telegiornale, la caccia all’uomo, gli omicidi in serie, se non fosse stato per le attrici e le pop star che avevano invocato il nostro ritorno, per le donne che con il rossetto si erano segnate linee sulla gola.” (pag.83)
Le cinque donne – Lou, Fern, Angela, Jasmine e Lacey ‒ riprendono la vita di prima (solo la memoria dei giorni immediatamente precedenti l’omicidio è compromessa dal processo di clonazione), si conoscono, si sostengono, condividono le loro esperienze, addirittura utilizzano Early Evening, un gaming che ricrea la situazione degli omicidi; le cinque ci giocano utilizzando il loro avatar.
“Ogni sera, dopocena, prima di andare a letto, vado nel posto dove sono morta, intendo quello del gioco. Mi piazzo sotto il semaforo e aspetto che lui mi trovi. La maggior parte delle volte mi uccide, sì. Ma per due volte sono stata io a uccidere lui. E così riesco ad addormentarmi.” (pag 99)
Ma quando Lou decide di incontrare il suo assassino al Centro di ottenebramento – forse per cristallizzare l’orrore e dargli un senso, perché se non lo rielabori è il passato che torna a morderti ‒ dove Edward Early verrà messo in stasi, e per un decennio sognerà gesti di amore e gentilezza, e poi si sveglierà in un mondo futuro dove potrà ricambiarli, accade qualcosa di inaspettato che la costringerà a porsi una serie di domande sui giorni immediatamente precedenti al suo omicidio, e sulla sincerità delle persone che la circondano.
L’inglese Katie Williams ci offre una variante del thriller classico che sembra provenire da qualche parte del futuro, ma non un futuro lontano, piuttosto un tempo che ci precede di poco, di cui intravediamo la coda svoltare l’angolo dei prossimi anni ma che ci appare comunque ancora pienamente intellegibile.
In questo tempo le strade hanno schermi su cui trovare informazioni e l’interazione con gli ologrammi è la normalità; le videopareti consentono di osservare il sonno dei bambini, e la funzione RV della televisione permette, tramite guanti e visori, di trasformarsi nell’avatar di se stessi e immergersi nei programmi; gli schermi degli smartphone sono superati (però si leggono ancora i tarocchi e abbondano ruberie comunali) e ci si connette controllando tutto dal bordo di apposite lenti; fioriscono campagne politiche contro la catatonia e il malessere da RV.
Insomma: c’è del metodo in questa distopia.
Ma nell’apparente leggerezza della trama c’è un ordito che pesa: una riflessione sincera sulla gravidanza e sulla depressione post partum, per esempio.
“Avevo adorato essere incinta. Avevo adorato passare le mani sulla pancia, una sfera, un baccello, un globo striato… Ero il riflesso in un bicchiere di latte; ero il liquido che tremolava sull’orlo del bicchiere, pronto a traboccare. E poi traboccai. Nove nacque, e io venni risucchiata in alto mare. Giorni dopo, fui risputata a riva, un detrito, un pezzo di relitto… Non significava che non amassi Nova, al di là di cosa sentissi o non sentissi. Ci sono modi diversi di amare qualcuno. Ci sono modi.” (pag 162)
E anche: “Ripensai ai mesi successivi alla nascita di Nova, alla disperazione attanagliata alla depressione, al bisogno di correre parallelo all’incapacità di muovermi. Era come se un incantesimo avesse tramutato il mio corpo in pietra lasciando però immacolata la paura, così da cristallizzarmi in una statua pervasa dal panico.” (pag. 217)
Ma anche sulla libertà o meno delle scelte delle donne; sul disagio di portare sulle spalle un fardello di aspettative date da convenzioni e modi di pensare che sembrano viaggiare a velocità ridotta rispetto all’avanzare impetuoso della tecnologia applicata alla vita.
Grazie anche a una scrittura accattivante e ironica, mai banale, e al ritmo serrato, “Il mio omicidio” tiene il lettore attaccato alla pagina con la scorrevolezza di un page turner intelligente e raffinato. Fino al sorprendente finale: un finale che non ci si aspetta.
È sempre più difficile imbattersi in thriller originali, intrecci che non siano solo architetture progettuali studiate a tavolino; essere sorpresi da una visione d’autore audace e al tempo stesso rispettosa di quella che Samuel Taylor Coleridge chiama “la volontaria sospensione dell’incredulità”.
Katie Williams c’è riuscita.
Written by Maurizio Fierro
Bibliografia
Katie Williams, Il mio omicidio, Bollati Boringhieri, 2023