“La prigione” di Georges Simenon: l’inquietudine di un uomo mai cresciuto
“Quanti mesi, quanti anni ci vogliono perché un bambino diventi un ragazzo, e un ragazzo un uomo? Quando si può affermare che la transizione è avvenuta? Non esiste, come per la fine degli studi, una proclamazione solenne, una cerimonia ufficiale, un diploma. Alain Poitaud, a trentadue anni, impiegò poche ore, forse pochi minuti, per cessare di essere l’uomo che era stato fino a quel momento e diventare un altro.”
È una delle solite giornate per Alain e mai avrebbe immaginato che ad attenderlo quella sera ci sarebbe stato un ispettore di polizia che gli avrebbe posto una serie di domande sulla moglie, non ancora rientrata a casa, e su quella pistola che lui possedeva legalmente e teneva sempre nel cassetto del comodino.
L’arma è misteriosamente sparita e la moglie pare sia in custodia presso il commissariato e solo recandosi anche lui sul posto scopre che Micetta, questo il nomignolo utilizzato da Alain, ha ucciso la sorella minore Adrienne. Perché lo ha fatto e perché la moglie non lo vuole incontrare?
Forse si è trattato di un delitto passionale? E se la colpa fosse dello stesso Alain?
“La prigione” di Georges Simenon, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1968, viene riproposto nel 2024 con una nuova traduzione di Simona Mambrini dall’Adelphi.
Un’atmosfera densa di fatti e percezioni è quella di uno dei gialli tra i più coinvolgenti di Simenon: Alain, l’uomo di turno, ama circondarsi di persone, i suoi ragazzi, e di donne, quelle che utilizza a suo piacimento quando ne sente la necessità, come un gioco che non ha mai fine.
“Era come sognare a occhi aperti. Aveva bisogno di darsi da fare, di sentire dei rumori, di vedere un viavai di esseri umani, di essere circondato. Circondato, ecco la parola. Aveva bisogno di essere al centro, di sentirsi il protagonista? Non era ancora disposto ad ammetterlo.”
Una sorta di gioco è quello che ha portato Alain e la moglie a sposarsi, senza quella convinzione reciproca che avrebbe potuto fare in modo che si trattasse di un matrimonio reale fatto di amore e responsabilità reciproche.
La moglie è in carcere e forse uno dei più bravi avvocati di Parigi potrà farla uscire in non troppo tempo ma chi dei due si sente realmente imprigionato?
Alain si risveglia in modo brusco da qualcosa di somigliante ad un’adolescenza durata troppo a lungo, ha aperto finalmente gli occhi per osservare cosa lui è diventato, trascinato da una vita borghese che nulla ha di sano e duraturo.
“Era come se le cose non lo riguardassero più, come se si fosse sbarazzato di qualsiasi responsabilità. Ma quali responsabilità, poi? Come può un uomo essere responsabile di un altro uomo, o di una donna, o anche di un bambino? Stronzate!”
Le paure si accumulano e si manifestano con tutta la loro forza senza che Alain possieda gli strumenti per combatterle.
“Non arrivava al punto di averne paura, ma le donne gli incutevano soggezione. Era stato così sin dall’infanzia, dalle sue prime letture. Tendeva a metterle su un piedistallo. Allora gli toglieva la gonna e le possedeva. Niente più piedistallo.”
Le vite dei due protagonisti de “La prigione” vengono scandagliate in profondità, la relazione tra lui e la cognata viene subito riportata in prima pagina, tutto potrebbe accadere e ciò che non avevamo immaginato accadrà certamente.
“La prigione” consta di centosettanta pagine di riflessioni esistenziali, meditazioni sul rapporto di coppia, su disaccordi tra figli e genitori e tanto altro, in un bel romanzo che si fa divorare e che rimane impresso anche una volta conclusa la lettura.
Written by Rebecca Mais