“La leggenda del santo bevitore” di Joseph Roth: l’ultimo, disperato goccio di vita

Leggo nell’introduzione di Giorgio Manacorda “I grandi romanzi” per il racconto “La leggenda del santo bevitore”, intitolata Come il taglio di un quadro di Fontana, due verità innegabili: “Roth è un narratore puro.” – e “Al centro della narrativa di Joseph Roth non c’è una costruzione mitica del passato, ma un vuoto.” – dal che deduco che, ma non solo per Joseph Roth, la scrittura è l’eroico conato di riempire quello che Manacorda definisce “una faglia, e quella faglia è esattamente ciò che egli prova a raccontare”, come se fossero “due lati del nulla”.

La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth
La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth

Il primo miracolo avvenneuna sera di primavera dell’anno 1934” – quando avviene uno scambio energetico fra un “anziano signore ben vestito” e un “uomo malandato”, di nome Andreas.

Il primo “prese duecento franchi dal portafoglio, li porse all’uomo che barcollava e disse: ‘La ringrazio’” – e quando chi dà miracolosamente riceve si chiama Amore.

Al ricevente rimane un debito da saldare, possibilmente: “… se la sua coscienza non le permetterà di rimanere in debito di questa ridicola somma, vada a Ste Marie des Batignolles e, quando il sacerdote avrà finito di dire messa, consegni il denaro nelle sue mani. Infatti, se c’è qualcuno a cui lei è debitore, è la piccola santa Thérèse. Ma non si dimentichi: Ste Marie des Batignollese.”

L’uomo male in arnese promette di adempiere all’impegno e qui il racconto potrebbe dirsi concluso.

Come s’è detto, Joseph Roth è un narratore puro, un po’ come lo è William Somerset Maugham, a cui penso mentre leggo quest’austriaco, che oggi sarebbe ucraino: che Khaos! É gente nata per narrare e che non si riesce a non ascoltare. Le loro storie sembrano sempre conciliarsi con la tua.

Quel disgraziato “toccò di nuovo le banconote nella tasca interna sinistra e si sentì completamente ripulito, addirittura un altro.”: un essere vergine, ab omni contagione purus. Gli pareva d’essere diverso dai “poveracci del suo stesso stampo”, che non avevano ricevuto quell’insperata grazia.

Incontra poi un uomo grasso e affabile che gli offre un lavoro da facchino. Lui, accettando, gli “fece vedere le mani. ‘Sono sporche, callose, ma oneste mani da lavoratore’.”

Il suo prossimo e momentaneo reintegro nella classe dei quasi e caduchi abbienti, culmina con un folle progetto: “anche lui avrebbe comprato un portafoglio.” – che distingue il borghese dal ladro.

La storia scorre da un sempre rinnovato cespite, agguantato per non si sa quale miracolosa fortuna e un conseguente e insensato sperpero delle risorse economiche (bevendo del buon vino), secondo il tipo di democrazia imposta dal dio denaro, altrimenti detto lo sterco di Satana.

“… dopo aver rivisto i documenti, ricordò di chiamarsi Kartak: Andreas Kartak. E fu come un riscoprire se stesso dopo tanti anni.”i più portentosi miracoli sono quelli che ti definiscono per quello che eri, che sei e che sempre sarai.

Inoltre, “non c’è nulla a cui gli uomini si abituino più facilmente dei miracoli, quando accadono una, due, tre volte.” – essendo una giusta aspettativa: “La prese, era una banconota da mille franchi.”

Il nostro eroe, così amante del “vino bianco” e del “Pernod”, incontra un paio di donne, a cui dice che ha appuntamento con quella “Thérèse”, ma a loro interessa soprattutto sfruttarne le risorse, riducendolo ogni volta alla figura di nullatenente, che tanto gli si confà.

Incontra anche un paio di amici, uno dei quali (un ex compagno di banco di nome Kaniak, ora calciatore arricchito) gli dà dei soldi, mentre l’altro (un altro squattrinato che si chiama Woitech) li fa fruttare, in alcolica solidarietà, in qualche taverna.

Poi Andreas “si diresse verso Ste Marie des Batignolles”, con la certezza che quel giorno sarebbe finalmente riuscito a restituire “i duecento franchi alla piccola Thérèse.”

“Andreas prese in fretta il portafoglio, riuscì a malapena a mantenere la calma necessaria per sollevare il cappello e andò difilato nel bistrot dall’altra parte della piazza.” – e giù Pernod senza imporsi limiti, entrambi gli amiconi: sia Andreas che Woitech.

Joseph Roth
Joseph Roth

“… i preti se ne intendono di morte e gente che muore, come nonostante tutto credevano anche i miscredenti camerieri, e la bambina di nome Thérèse non può fare a meno di andare con loro.”

Andreas non fece in tempo a capire se fosse ancora debitore di quei soldi ricevuti per magia. Né, pare, che dov’egli ora aleggia, la cosa riveste alcuna importanza. Là i soldi sono oggetti sconosciuti, di cui ogni tanto si favoleggia. E l’uomo di questo ha bisogno, di favole.

Da questo lungo racconto, nel 1988 Ermanno Olmi trasse un film, con Sir Antony Quayle nel ruolo del distinto signore. Devo vederlo.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Joseph Roth, La leggenda del santo bevitore, Newton Compton editori, 2012

 

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