“L’uomo che amava i libri” di George Pelecanos: analisi della mentalità criminale
Leggo in L’uomo che amava i libri di George Pelecanos che un tale, di nome Stephen King, così ha definito l’autore: “Probabilmente il più grande scrittore americano di crime” – teoria scientifica, ergo falsificabile, ma chi se la sente di contraddire quell’inclìto genio? Chi potrebbe farlo? Ergo tum: non è un giallo, è un thriller. O forse no? O forse sì?
L’uomo che amava i libri ha poco a che fare coi romanzi di quella fintamente rosea Agatha Christie, di quel misteriosamente noir Cornell Woolrich e di… come si chiama l’autrice preferita di… Gian Mario Anselmi… ah… di… ? Non mi viene in mente… quell’autrice che scrive gialli che non sembrano per nulla tali! Ah… sì… di Patricia Highsmith!
Nulla ha a che vedere con questi… Vogliamo allora parlare di Giovanni Verga, il quale disse e scrisse che rubare ai ladri è cosa buona e giusta, anzi che, cristianamente, non è mai stato un reato?
Scrivere è vivere, vivere è scrivere. Anche se lo si fa balbettando, borbottando fra sé e sé, vivere è esprimersi. Vivere è anche amare.
“Cerchiamo dunque d’esser felici/ ché è la felicità che dà l’amor/ ché è l’amor che dà la felicità/ Cerchiamo sempre dunque d’amarci” – purtroppo non ricordo il nome di chi trovò, dispersi nella sabbia del suo spirito, ‘sti mirabili versi. L’Alzheimer a volte gioca dei brutti scherzi.
Leggendo il romanzo in parola mi son detto: se avessi pensato che fosse farina e crusca del sacco di Stephen King, mi sarei detto che era un King un po’ differente del solito, però, lo stile è quello…
L’uomo che amava i libri me l’ha donato ma figlia Anna perché sa che amo i libri, insieme all’omonimo L’uomo che amava i libri di Patrick Dewitt, che giace, ancora inerte, sul mio comodino, in tenera attesa di partorire la lettura. Sono contento perché, fino a pagina 35, non ho sottolineato alcunché. La mia reazione non sarà eccessiva, ma… ma non ci giurerei… mi conosco ormai…
“Entrarono in casa, attraversarono una cucina maleodorante e sbucarono in un soggiorno dove c’erano un televisore a schermo panoramico, un tavolino su cui erano appoggiati i comandi di una console per videogiochi e una pila di riviste porno, e un ampio divano di pelle con poltrone coordinate. Ovunque aleggiava un odore rancido di mozziconi di sigaretta e di marijuana.” – e non mi si dica che Stephen King non potrebbe essere in grado di così descrivere una tale accozzaglia d’oggetti d’uso comune, alcuni dei quali di tipo trasgressivo. In quel tempo non si faceva differenza tra erba permessa e vietata. Manco oggi, forse, da qualche mese. Panta Rhei vale anche per Maria.
A pagina 46 leggo che John Steinbeck: “… era uno scrittore populista. Ha scritto libri che potevano essere letti e apprezzati proprio dalla gente di cui scriveva.” – Verga penso di no, Pelecanos forse sì.
“Ti sentivi coinvolto, e sceglievi da che parte stare.” – Pelecanos sta parlando di Arriva Valdez di Elmore Leonard. Per cui, aggiunge: “L’uomo che secondo te potrebbe dargli una mano è un…” – Pelecanos dà del tu al lettore. Per cui, se e quando servirà, lo farò anch’io.
“Michael chiuse gli occhi.” – a pagina 48 – “Quando leggeva un libro, non era più dietro alle sbarre. Era libero.” – la stessa cosa capitava a me quando ero assunto Altrove. Marx non valeva più, nemmeno Marcuse esisteva. A casa, ero assolutamente dis-alienato. Assolutamente per modo di dire, ovvio. Al lavoro no. Il libro, non il lavoro, m’ha reso libero.
Liber deriva dalla radice (!) europea lap (sbucciare); e poi dal greco lòpos, corteccia, buccia.
La Prima Parte dura poco, meno di 50 paginette.
Dopo qualche mese di detenzione preventiva, Michael è ora uscito di galera, luogo magico in cui ha imparato come e perché un lettore diventa libero allorché legge un libro. Ed esce di galera senza pagare la cauzione, intendo dire Michael, non il lettore.
Michael “Era sempre stato portato per la matematica e superava gli esami senza studiare, ma i libri gli incutevano un certo timore. Era come una lingua straniera che doveva ancora imparare.
C’era voluta Anna per avvicinarlo alla lettura e fargli apprezzare la differenza che i libri potevano fare nella vita di una persona.” – nella peggiore delle ipotesi essi hanno un effetto rinfrescante e anestetico. A me un’altra Anna m’ha donato ‘sto strambo romanzo.
L’ambiguo Phil Ornazian, che è il Poirot della situazione (lo dico con lieve antifrasi), dice a chi fu vittima di violenza: “Ok. Ti chiedo un favore. Dammi l’amicizia su Facebook. Aiutami in questo. Dammi la possibilità di recuperare i gioielli di tua madre.” – la quale non era membro (o membra?) di alcun social.
Ora che Michael è libero e all’incirca incensurato, ha un grande desiderio: “Ho intenzione di farmi la mia biblioteca personale.” – anche la libraia del rione si chiama Anna. Con mia figlia sono tre.
Suo progetto di vita, ora che si sente normalizzato: “Doveva ricordarsi, andando al lavoro ogni giorno e tenendo un basso profilo, che era così che la maggior parte delle persone se la cavava.”
Intanto il Poirot Yankee sta “passando in rassegna pagine Facebook e usando il suo software di localizzazione.” – oh, mon Dieu! C’è Agatha che si sta rigirando nella sua alcova tombale! Con Cornell che ha appena staccato il cell. E Patricia che è ormai dispersa sulle coste algerine.
Poi, ‘sto investigatore sorprendente, spara una cavolata: “Lo sai che Theodore viene dal greco e vuol dire ‘dono di dio’?” – e la risposta dell’etèra Monique non si fa attendere: “Ma dai” – e quel divino regalo è un gran bel lenone, da quel che m’è parso di capire.
Poi si parla di “Drank” e di “Lean” – non sono pratico di’ ste cose. Voi?: “Pimp C ci è rimasto secco.” – mi dispiace. Era un rapper con tanto di baffi e pizzetto, leggo e vedo su aunt Wiki.
Come talvolta accade nella narrativa odierna ci sono varie storie (tre) che scorrono ognuna nel suo binario. Una è quella di “Michael Hudson”, che è testé uscito di prigione, ignorando il perché. Sa solo perché c’era entrato. Poi c’è la storia di “Anna” – quella dei libri – col suo bel maritino. Poi quella di due tipi, stavo per scrivere sgherri: “Ornazian e Thaddeus Ward”, che sarebbero l’equivalente di Sherlock Holmes e del dottor Watson, poco ciarlieri e non troppo solidali fra loro. E nessuno dei due si sente succube dell’altro. Talvolta chiacchierano anche, ma solo a fini operativi. Non si raccontano mai storielle allegoriche, né altro, solo quel che serve al loro mestieraccio. Che è? I due formano una minibanda tipo quella di Robin Hood: rubano a chi ha rubato i soldi altrui e poi, la refurtiva, la restituiscono al legittimo proprietario, esigendo il giusto compenso. Gentaglia. Bravissime persone. Lavorano sporco, forse, però servono alla comunità di persone oneste.
Dice Michael a Rick, marito di Anna (la prima, fatta eccezione per mia figlia): “Ho comprato un paio di quei libri di cui mi ha parlato…” – sottinteso Anna – “… in modo da poter cominciare una collezione tutta mia.” – è come collezionare gettoni telefonici ante 1959: occorre essere dei patiti-maniaci. Ho appena comprato tre libri di Roberto Pazzi, essendo quasi im-pazzito per la sua (estrema) La doppia Vista.
Interessante quanto dice Ornazian sull’etimo di “Monogamo”: “una scopata e via” – una sola, “Mónos” e “gamós”. Ignoro dove egli abbia letto che “gamó significa anche ‘scopare’…”.
Ornazian è un esperto di estorsioni e di violazioni di domicilio, nonché di violenza, mai gratuite, nel senso che le fa per mestiere, a mo’ di Robin Hood per le minchie sue. Così campa: è criminale coi criminali: una gran brava persona… insomma…
“Un giorno, rientrando dal lavoro, Michael Hudson vide una libreria a tre ripiani incompleta e autoportante sul marciapiede davanti a casa sua.” – con un gran pregio: era “Gratis”. È un bel fatto per lui, che sa ora dove ricoverare il suo nuovo armento di cellulosa. Una mia perplessità su quei “tasselli a botte.” – non mi piacciono: a volte non reggono due file di grevi tomi.
Dice Michael alla “timida Alisha”: “Hai qualcosa sulla faccia…” – dopo di cui “le diede un buffetto scherzoso sulla guancia. Lei se la sfregò, sentendo un lieve pizzicore, ma apprezzò l’attenzione.” – è la scena che più amo del tuo romanzo, George.
Michael ripensa ai suoi passati errori: interessante, ma andiamo avanti che non c’è tanto tempo.
“Ornazian si era pressoché scordato della Pasqua Ortodossa…” – capita a chi lavora troppo.
Dice Anna, facendomi quasi innamorare, sarà forse quel suo nome a me così abituale: “Non ho chissà quali ambizioni. Guadagnarmi da vivere e contribuire a migliorare un po’ la vita di qualcun altro, se ci riesco.” – e ci stai riuscendo da dea, vai tra.
Le dice Michael: “… le cose cattive continueranno a succedere, perché il mondo è fatto così. Ma una piccola gentilezza può diradare le tenebre.” – ci stai riuscendo anche tu, Michael, anche tu, George.
Intanto quei due investigatori mariuoli stanno così discorrendo: Ornazian dice “Ho dei figli anch’io”.
Ward: “Già, i tuoi ragazzi neri. Voi bianchi diventate subito dei moralisti…” – etc… La cosa bella di questo candido noir è che il lettore di rado pensa: questo è nero, questo non più di tanto, questo un po’, forse, questo no.
Ward ha una tattica per risolvere ogni tipo di situazione. Punta un’arma contro i ladri-derubati e dice loro: “Spogliatevi…” – del tutto, anche le mutande devono abbassare. È così che funziona.
Quei tre autori citati stanno ora avendo quel che a Reggio si dice uno şgrişòur, un brivido causato da un’eccitazione. Dopo di cui finisce la Seconda Parte di L’uomo che amava i libri. Della Terza ho poco da dire se non che uno dei due detective va a vedere e forse anche a cogliere l’erba dalla parte delle radici.
A pagina 223 tu mi ringrazi, George: “Come sempre, un urrà per i lettori. Vi sono grato.” – de nada, amigo!
Strano mestiere è quello degli story teller in genere. Hanno dei singulti, dei brividi, dopo di cui si sentono in dovere di tradurli in parole, in scene, racconti. Come tutte le traduzioni essi sono per metà tradimenti: to translate is a sort of betrayal. Oltre che dei sentieri che conducono ogni lettore dove pare a lui (al racconto e al lettore).
Leggo questo romanzo poco prima di un suo gemello separato alla nascita, a cui è miracolosamente restato correlato: L’uomo che amava i libri di Patrick DeWitt, anch’esso regalatomi dalla mia dolce consanguinea.
Il titolo originale del libro di DeWitt è The Librarianist.
Il titolo originale del libro di Pelecanos è The man who came updown.
Now the two particles are quantum entangled.
Amen e così sia (come talvolta va pregando Kit Carson).
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
George Pelecanos, L’uomo che amava i libri, SEM, 2023
Un pensiero su ““L’uomo che amava i libri” di George Pelecanos: analisi della mentalità criminale”