“Oltre la superficie” di Nunzio Galantino: il Verbo si è fatto carne?

Come ben spiega Nunzio Galatino autore del saggio Oltre la superficie… eh… un momento… non ricordo dove… essendo io un tipo entropico… e cosa… sia… ehm… non ricordo che intendesse dire.

Oltre la superficie di Nunzio Galantino
Oltre la superficie di Nunzio Galantino

Mi sa che dovrò rileggere Oltre la superficie, uffa! Il fatto è che ‘sto nunziante Nunzio ne ha dette troppe! Davvero! Mi sto ricordando… parlava di recensioni… Ma non rammento… non rimembro in che punto esatto!

A prescindere da questa mia momentanea deficienza, Io, la quale è una strana parolina, e basta aggiungere un Od e diventa Odio, oppure una D e diventa Dio, io non recensisco mai un libro, in quanto ego non censeo, io non stimo, non do un valore, semmai unisco fra loro dei diversi valori, in modo da compenetrarli coi miei e con le letture che ho fatto o che sto facendo al contempo. Trattasi di un labirinto insomma, da cui esco solo quando è ora di andare a nanna. Proseguo poi, in quell’altra mia vita, dormendo, ronfando pure, a volte.

Non critico: non krinô, non giudico, non separo ciò che è giusto da quel che non lo è, semmai lo unisco come riesco. Io reagisco: agisco dopo aver letto. La mia religione è un più che schietto e pio borgesianesimo. Dopo di cui, ogni volta, ringrazio l’autore. Rendo (come posso) la grazia che ho ricevuto, se posso anche con l’annesso non dovuto (ma pur dato con cuore) interesse. Se v’è interesse reciproco, lì c’è l’umanità che collabora, che non si scambia rovinosi missili e aulenti bombardamenti vari. Bensì un sacro rispetto.

Io ringrazio Nunzio Galatino che riesco a non odiare perché mi pare tanto più colto di me. Si pensi che non lo invidio nemmeno, come non mi fa manco gola la sua tonaca, essendo egli un ministro (da minus) di Dio, un servo. Io sono il ministro della mia famiglia, dei miei figli soprattutto, e ne sono felice. Lui probabilmente è soddisfatto del suo servizio. Ognuno ha il vincolo che si merita.

Il nunziante Nunzio in una stessa pagina, talvolta in un uno stesso capoverso, unisce i nomi di autori diversissimi: per esempio quelli di “G. Rossini” e di “E. Bennato”; e parla di “Cristo” e di “Pasolini”, come se fossero confratelli tra loro, con Nunzio stesso e col suo lettore; anche se, e non vuol essere una critica ma una precisazione, non mette né Gesù né Cristo né il Messia nell’Indice dei nomi. E non può farlo, mica può mettere all’indice il figlio di Dio… Questo per dire che, nel suo vocabolario (che nella mia scuola arşâna, reggiana, era detta vaccabolario), ancora manca l’inclìto termine piolata (in arşân è piolêda), che indica una sciocchezza che è, si fa per dire, almeno nelle intenzioni, sapida.

Un ultimo granellino da togliersi dalla scarpa: a pagina 260, ho rinvenuto (quasi inciampandoci contro) l’unico refuso del saggio: è alla terza riga. Era ora!

Non potendo togliere nulla al nunziante Nunzio, gli aggiungo qualcosa io (il quid che ci mancava: piolêda!), saltando a piè pari, oppure con un piede alzato e l’altro no, come nel Gioco della Settimana che, come m’informa Julio Cortázar, colà dove abita si chiama Rayuela, il Gioco del Mondo; salto, dicevo, alcuni punti che avevo segnato in quanto splendidi, perché per conoscerli basta leggere il saggio (e di altrettanto belli se ne trovano a ogni sillaba sospinta); come per esempio, quel che tu, nunziante Nunzio, dici a proposito della “semplicità” a pagina 12 e del “Nascere…” ‒ che (e questo occorre a pagina 15) “… per ognuno, è scampare il naufragio del non esistere, è venire alla luce.” – qui, nunziante Nunzio, stavi forse pensando a Giuseppe Ungaretti.

E anche per quanto riguarda l’“innocente” – che è “colui che non nuoce” – a pagina 24; del “buonsenso” a pagina 51; della “diversità” a pagina 53; e, venti pagine dopo, dell’“ideale” (e della salvifica difesa dalla “rassegnata ragionevolezza”); e qui desidero parlarti del tuo collega Padre Aldo Bergamaschi, colui che mi convinse a diventare un ignorante di Dio (anche se il suo scopo era, immagino, di farmi tendere verso Qualcun Altro). Aldo disse alla sua fedele Assemblea che il Cristianesimo era scaduto al rango di religione, dopo di cui il Vescovo gli tolse la messa in pubblico, non subito però, capitò un paio di domeniche prima dell’arrivo nella nostra tricolore città, dove una volta predominava il rosso, di quel papa polacco, che non ho ancora capito se m’era simpatico o no. È stato l’unico che ho visto predicare dalla sua finestra, quando era già malato, poverello. Anche tu, a pagina 74, deprechi (de-prechi, preghi allontanandoti) gli effetti nocivi dell’ideologia, cioè dell’ideale che va a p… che de-genera in malo modo.

La premessa in corsivo al Capitolo 3 – Preziosità da custodire mi fa reagire. Intanto: l’amo, questa tua premessa, come amo tutte le premesse che fai a ogni capitolo-tema, come amo ogni voce. La tua scrittura è amorevole, parendo quella di un fratello maggiore, mai pedante, sempre pedagogica, e ricca di rimandi che, a forza di rimbalzare qui e là, uno rimane un po’ stordito, ma alla fine sta meglio, come quando si sbevacchia un bicchiere di lambrusco in più che, questa te la devi segnare, va più alle gambe che alla testa, e uno se ne accorge quando si alza per andare in bagno: ché al lambrósch al via via con na pisêda: sappi, nunziante Nunzio, che a Rèş noi coltiviamo rape, piselli, fave, carote, zucche, poponi e pronomi clitici.

Ti chiedo: quando tu parli di argomentiChe aprono nuove prospettive al cuore” – il quale organo “permette di ‘sentire la carne” – pensi anche a quelli dei cattivi maestri, tipo quel Toni Negri deceduto pochi giorni fa? E che ne dici del più terribile di tutti, il disgraziato Divin Marchese De Sade, a cui non ho mai del tutto perdonato alcuna delle sue 120 giornate di Sodoma?

Quando discorri de “Il visionario, con la sua immaginazione…” che “tende ad andar oltre alle apparenze…” – pensi anche ad Arthur Rimbaud, l’epoux infernal? Lo citi a pagina 160, quando parli di eternità: che per lui è “il mare mischiato con il sole.”

Ti rammento ora il mio mantra preferito, un verso di John Keats: “A thing of beauty is a joy for ever.” E preciso (per l’eventuale certo tuo prossimo lettore), che gli autori/personaggi (non sono anche loro personaggi in cerca d’autore, che in questo caso sei tu?) che più citi sono: Socrate, Platone, Aristotele, D. Bonhoeffer, Cicerone, un tale che di nome papale fa Francesco I, e purtroppo il meno citato, manco con la minuscola, è pioli: sto pazzianno, juccanno, l ē na mèşa piolêda… Poi mi viene da dirti che, in arşân, piolo non sidice piöl, ma piról, che vuol dire anche ugola: da cui pirulîn, che è il grillino dei bimbetti. Piôla è la pialla, piolêda è la piallata, mentre piōla, è l’osteria di campagna. Che bella cosa è la lingua e il miracolo bello è che ce n’è un’incasinatissima Babele!

Fra i libri che ho più amato ci sono: La lingua salvata di Elias Canetti, Lingua di falce di Gavino Ledda e La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea di Umberto Eco. E qualche altro migliaio.

Mio nunziante Nunzio, scrivi, a pagina 119:Il linguaggio contribuisce a modellare il nostro mondo e le nostre relazioni.” – forse anche quello dell’IA (o AI a seconda da dove lo si legge) e chisto è ‘o problema! Prevarrà la logica dell’uomo o quella delle sue amate e armate invenzioni; o tutte e due insieme, appassionatamente? O si distruggeranno a vicenda? Ma che bello ‘sto immondo mondo!

A pagina 123 parli delle “fiere dell’ovvietà e le indecorose arene” – non solo quelle televisive; per cui ora t’insegno (ma di certo la sai) l’espressione amalfitana: face a parata – cioé fa finta di essere diverso da sé, nell’esibirsi: in un dimenare il deretano a un ritmo convenzionalmente sincopato.

Dico quel che penso del buon Francesco: nonostante sia un pontefice, poco pontifica, ma si limita a dire la sua. È simpatico (quasi troppo) ed è intelligentemente scientifico, falsificabile, nel senso che uno può anche rispondergli a tono, oppure contraddirlo, ché lui accetta, lo sento, il confronto. È un papa popperiano. Non so se sia infallibile, forse nemmeno lui lo sa. Vito Mancuso in Io e Dio, disse che i due papi che lo precedettero si contraddicono fra loro su un dogma religioso. Di più non so.

Altro nome della resurrezione è speranza…” – leggo nella premessa in corsivo al Capitolo 5 – Una spiritualità che nutre. Ti ringrazio davvero di avermi fatto risorgere, io, che solo talvolta faccio la carità e che, quando ebbi15 anni, persi per strada la Fede. Ho cercato anche presso l’Ufficio Oggetti Smarriti, ma ancora nessuno me l’ha fatta ritornare, nemmeno Aldo, quel teologo francescano che tanto stimo e amo.

“La conversione…”leggo a pagina 146“… è un processo…”tipo quello di Kafka, intuisco. Confido nella prescrizione dei termini, puntando alla mia “kabōd”, e non al “kléos – kûdos” – e l’apparentemente ardua ma in fondo semplice spiegazione è rinvenibile a pagina 153.

“… la parola miraculum”scrivi a pagina 154 – “è piuttosto una iperbole con la quale si indica tutto ciò che – riferito all’uomo, a un evento o a una realtà – trascende le comuni possibilità di capire, di esistere o di agire.”ahio! Chissà che ne pensi di quel che (forse) esiste (o forse no) al di sotto dello spazio di Planck, dove non è facoltà umana teorizzare scientificamente alcunché, in quanto è tutto avvolto nell’infalsificabilità (in senso popperiano: ergo si tratta di un argomento religioso)?

Mi piace, perché è detto da te, questo:chi crede che vi è Q/qualcuno, Q/qualcosa – D/dio?”Colui che io chiamavo Dione, quando ero un ragazzetto, e a cui demandavo i misteri miei: tipo: dove cavolo si trovava Atlantide? dove caspita ho rintanato quel soldatino, s’è forse disperso nel Gran Canyon? Ricordati di ricordarmelo quando muoio, Dione, gli dicevo!

“… il peccato è offesa alla dignità della persona…” – pensa che in arşân, pèca è il gradino, pchêr è posare il piede sul pavimento; péca è la picca. Pchêr è il macellaio, il beccaio, ed è anche beccare.

Apprezzo il civico coraggio che dimostri a pagina 163, quando scrivi “esigita” – avvertendoti che io non l’avrei avuto, né avrei detto esatta, ma piuttosto una più prudente fortemente pretesa.

Quando citi un libro che ho letto: “romanzo di I. McEwan, che ha poi ispirato il film Espiazione…” – (che non ho visto) ti sento come un mio stretto con-sanguineo. Potenza della Fede!

La disamina che fai del termine “ricompensa” mi fa sottolineare un sacco di righe, ma non mi va di trascriverle ora, magari ne parleremo a voce, come tutte le altre di questo capitolo 5: ora mi devo dare una calmata che mi sta venendo una mezza sindrome di Stendhal. A dopo, dai.

I tuoi articoli/saggetti sono sia linguistici, glottologici, semantici etc, sia filosofici e psicologici. Se tu fossi il mio psicanalista penso che ormai dovrei vendere la casa in cui abito per pagarti la parcella (piolêda). Prova ora a rileggere la sesta riga del paragrafo che inizia pagina 191, se c’hai il coraggio.

Sappi che ho già utilizzato la frase che riporti di C. Lévi-Strauss a proposito di una mia reazione a una mostra di Marc Chagall che ho visitato recentemente a Mestre.

Emozionante è la versione alternativa di – tanto per cambiare – “papa Francesco” sulla parola “angolo”. Per me è anche un luogo dove si calcia un pallone!

Mi sai emozionare, caro ragazzo, guaglio’ (etimo incerto, forse di origine onomatopeica; oppure derivato dal latino ganeo, crapulone) ad Amalfi, zurieddu (forse dal greco zôon, animale) a Pisciotta, putîn (dal latino putus, fanciullo) a Rèş.

Qui ti provoco: scrivi a pagina 219 che “Il Verbo si è fatto carne.” – anche quello emesso da Arthur Rimbaud? – io dico di sì: anche lui era un pauvre chrétien, con l’affreux rire de l’idiot.

Poiché, a pagina 228, parli di Oltre il pensare comune: il paradosso – ti dono una mezza metafora: è come usare un’asta per saltare al di là della doxa comune. È un gesto pericoloso, perché puoi finire per sbattere la capa contro la sbarra e poi cadere male per terra, ma solo quell’atto virtuoso ti dà la chance di proseguire Altrove il tuo cammino. Non ignori, immagino, quanti siano i paradossi assurdi della fisica odierna: Z questions li chiama Roger Penrose, recente premio Nobel.

Mi fa accapponare la pelle quanto dici, alla fine de Lo scomodo sguardo sul clandestino – perché, caro il mio nunziante Nunzio, té a t ē brót ma s-cèt, sei brutto ma schietto; ricordati però che a Pisciotta vale il detto che chi rice a verità vol’esse accisu!

Un unico commento a proposito del Capitolo 8 – Pesi da portare con leggerezza: l’uomo ha bisogno sia di libertà che di gioghi, di sanscriti jugà, da cui è joga. Chi ha figli, genitori, fratelli, amanti, amici lo sa: è una catena ormai, un bel dì cantava, e sta anche oggi cantando e per sempre canterà, Lucio Dalla.

L’uomo è un lupo per lupi? Forse, ma è talvolta una tigre… E non come quella di Eliot, che è capace di azzannare amando, salvandoti il c…, il collo! L’uomo è un essere che esiste in mezzo alla confusione e che si confonde da per sé, come si dice a Rèş. Che brutta/bella bestia è!

A pagina 251 e seguenti parli di quel che capita di utilizzare Contro le avversità. Anch’io non penso che il male faccia bene; e che è folle “nutrirsi di ottimismo cieco e senza sfumature, fonte inevitabile di autoinganno e terreno di coltura per sterili sensi di colpa o sentimenti di inadeguatezza.” – anche se poi tu inviti “a trasformare gli ostacoli in potenzialità e le avversità in opportunità.” – ma solo nel senso che reca alla consapevolezza.

Ti dono ora uno slogan che inventò Arnold Schwarzenegger: No pain no gain: è il pur doloroso stress (da latino strictus), col conseguente acido lattico che si forma nell’esercizio, che fa crescere il muscolo. Ma tu hai idea di quali dosi di acido lattico mi si sono formate nel cervello, leggendoti? E di quanti miliardi di neuroni hanno vicendevolmente scambiato le loro alla fine quasi stremate sinapsi? Anche questa è una piolêda. Capisco che intendevi dire del male subito involontariamente, non quello del fachiro o del culturista yogin. Ti chiedo, però se sai immaginare quanti e quali libri avrebbe scritto Primo Levi se non fosse stato internato colà? E quanti e quali avrebbe prodotto la penna di Aleksandr Isaevič Solženicyn se la vita gli avesse negato il suo Arcipelago Gulag?

Una notizia curiosa: ho deciso di utilizzare la tua spiegazione sulla “Malinconia”, che colgo a pagina 255, nella mia reazione a Melancholia I e II di Jon Fosse.

A pagina 258, m’insegni cos’è l’Abbandonarsi al declino, e subito penso all’Entropia del Kósmos, che sarà l’ultimo effetto del II principio della termodinamica: un andare oltre, dove tutto rimarrà immobile per l’eternità, a -273 gradi sotto zero. Non è, come dice l’etimologia, un cambiamento che avviene dentro: poiché allora non vi sarà più un dentro e un fuori, né vi sarà più alcun quid energetico che possa condurre a mutamenti, né che possa concepire, partorire, alcunché. Boh!

Chissà qual è l’etimo di Boh! Onomatopeica? Chissà che ne pensava Alberto Moravia? Mi toccherà leggere il suo omonimo romanzo. Grazie, eh!

“Oblio”: è quel che cancella per sempre? Gli preferisco il lambrusco: che quando poi ti sceti ti restano addosso i tuoi problemi ma anche la voglia di affrontarli.

“Quando il gemito non esprime rassegnazione, esso dà voce alla nostra creaturalità, limitata ma non sottomessa.” – pur vivace anche se sottomessa. Si geme nascendo, soffrendo da vivi, godendo in vari modi (anche nel mangiar i cappelletti con brodo di manzo e di cappone, il quale gemette quando subì la sua evirazione), nonché crepando. Il mondo è tutto un gemito, se ci pensi.

Stop, finalmente!

No: c’è da leggere la bella Postfazione di Luigi Verdi ad Oltre la superficie: “… ho immaginato Galantino sulla prua ideale di quest’arca.” – e qui ora estrapolo un mio personal and logorroic (talkative) ready-made, essendo fresco reduce anche dalla mostra di Duchamp sita al Guggenheim di Venezia.

Ne Il cappello scemo di Haim Baharier è scritto che “davar significa cosa ma anche parola, parole-cose, non un mero parlare, ma degli oggetti che parlano.”

Le parole sono particelle composte a loro volta da sillabe, lettere, e sono dotate di accento, che è lo spin delle stesse, il loro particolare modo di girare. E vivono anche di vita propria. Partono e arrivano dove il destino le ha portate, come capita all’elettrone e al protone. Il poeta le ascolta e a volte le subisce. Oppure è lui a ordinarle e a metterle in fila. Non sempre però. Tra Arthur Rimbaud e Paul Valery io so chi scegliere per andare Altrove. Questo è il compito della poesia, condurti Colà. E quello del lettore: scegliere il suo sempre provvisorio Messia. Amen, mi aggiungo ora.

Nunzio Galantino citazioni
Nunzio Galantino citazioni

E poi scrive ancora Luigi:Salvare le parole, oggi, è l’unico modo per ritrovare un contatto vero con la realtà, per comprenderla, per riassaporarla, per toccarla.” Infine egli individua per bene il dono, se non catartico, almeno salutare, del presente saggio Oltre la superficie: “La realtà pressa di più, incombe, ma la vita vuol respirare, e quelle pagine servono questo.”

Per tutto ciò e per tant’altro, grazie ancora, caro il mio Prof Nunzio Galantino! A te e a tutti coloro che m’hanno insegnato qualcosa. Per esempio ad Alessia Mocci, che è casualmente (ennesima piolêda) direttrice di questa Oubliette Magazine, che m’informò un giorno che étymon, in greco, equivale a vero: in senso umano, ovvio, non Divino, ma è tutto quello che possiamo ricercare nei nostri libri (e ora anche in rete). Spesso sospendo la lettura per cercare (su zio Google o su zia Wiki) l’origine e il significato di alcune desuete parole.

Ringrazio anche Salvatore Patriarca che, in Elogio della banalità, m’ha insegnato tante cose. Non solo quello che già sapevo: che l’etimo di banale deriva dal francone ban, cioè bando. Non solo quello che già sapevo: che l’etimo di banale deriva dal francone ban, cioè bando. In quest’unico senso Oltre la superficie di Nunzio Galantino è un’opera banalissima.

A tutti quelli che m’hanno detto la loro, anche con gli sguardi, anche con la loro gestualità, io estendo i miei più sentiti ringraziamenti. Senza di voi oggi sarei più ignorante, anche se meno consapevole di esserlo, di quello è che è al di sotto della mia superficie, da super – ficies, cioè fàcies, cioè la (mia bella) faccia… vero, Prof?

Ho la netta sensazione d’aver ex-agerato, come spesso mi capita in ‘ste reazioni. Se ogni tanto ci casco è perché il mio caro amico Gino Ruozzi sogna tanto gli argini, le golene e le storie a esse connesse. Anche Gino è un umano ex-agerato, anche se per lo più finge d’essere un tipo tranquillo.

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Nunzio Galantino, Oltre la superficie, Il Sole 24 ore, 2023

 

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