L’albero di Natale: il simbolo spiegato da Carl Gustav Jung
“Se Lei chiede alla gente per quale motivo prepari un albero di Natale, lo addobbi e vi accenda le luci, di rado riceverà una risposta. Questo non stupisce, perché succede spesso che prima si faccia una cosa e solo in seguito si rifletta sul proprio agire.” ‒ Carl Gustav Jung
Succede assai spesso ‒ così come sostiene Carl Gustav Jung ‒ che le nostre azioni siano regolate dagli usi della società e che non ci si chieda il perché di queste tradizioni millenarie e/o secolari.
Così l’albero di Natale cela, dietro quel suo apparire di luci e stelle, una rappresentazione del processo di individuazione usato anche in alchimia con l’albero filosofico.
Nel dicembre 1957 Carl Gustav Jung espresse alcune riflessioni sul tema dell’albero di Natale dopo aver ricevuto una richiesta di intervista dal giornalista e fotografo svizzero Georg Gester (1928 – 2019).
Aniela Jaffé riporta questa testimonianza nel libro “In dialogo con Carl Gustav Jung” (Bollati Boringhieri, 2023) inserendo le parti più salienti delle risposte all’intervista per il settimanale svizzero Weltwoche nel Natale del 1957. Si consiglia l’acquisto del libro (in cartaceo).
“Il processo di individuazione e l’albero di Natale”[1]
“Se Lei chiede alla gente per quale motivo prepari un albero di Natale, lo addobbi e vi accenda le luci, di rado riceverà una risposta. Questo non stupisce, perché succede spesso che prima si faccia una cosa e solo in seguito si rifletta sul proprio agire.
L’albero è un simbolo. Per comprenderne il senso, si deve capire che cosa ciò significhi: un albero. L’albero è un essere vivente, una pianta. Cresce là dove ha affondato le sue radici nel terreno.
Non può muoversi, ma rimane fisso for better or worst (nel bene e nel male). Deve vivere nelle condizioni già trovate, deve trarre nutrimento da quel terreno su cui cresce e che a disposizione. Non può scappar via e cercarsi condizioni migliori da qualche altra parte; è esposto a ogni tipo di intemperie, e la sua vita non è sempre facile.
Non intendo questo in senso edificante, ma cerco di spiegare che l’albero è un simbolo e che esprime un fatto psicologico. In quanto simbolo esso allude alla situazione dell’essere umano, che deve vivere con i mezzi assegnatigli e che deve svilupparsi entro i limiti che gli sono stati fissati. Se si accetta nelle sue limitazioni, allora può realizzare se stesso con la personalità che è insita in lui, allo stesso modo in cui una quercia nasce da una ghianda, e un ciliegio da una ciliegia.
L’essere umano è però qualcosa di più e di ancora diverso da una pianta. Ma solo quando si accetta senza sfuggire o evadere, può sbocciare in lui qualcosa di nuovo. In quanto essere che riflette, egli inizia a presagire che la limitatezza costituisce solo un lato della sua natura, e che lui stesso poggia, in quanto essere limitato, su un campo illimitato. A quel punto il presagio di un elemento trascendente sovrapersonale può emergere nell’uomo come una luce.
Le stelle e le luci con cui addobbiamo l’albero rimandano a questa illuminazione e allo sfondo cosmico illimitato della vita di ognuno; sono immagini simboliche di una nuova luce interiore che rischiara i giorni più oscuri dell’anno.
Esistono anche raffigurazioni alchimistiche di un albero ‒ che gli alchimisti chiamavano «albero filosofico», arbor philosophorum ‒ a cui sono appesi i grandi luminari «sole e luna»; il loro figlio sta nel mezzo, tra loro, come un Gesù bambino.
L’opera degli alchimisti è una rappresentazione del processo di individuazione, che si sviluppa lentamente come un albero. Ma anche gli antichi maestri erano raramente consapevoli del significato del loro agire e delle loro fantasie.
Per questo esso cercarono continuamente di ridefinirne il senso con innumerevoli nome e immagini ‒ anche con l’immagine dell’albero, senza in fondo riuscire a comprendere l’analogia insita nella loro opera.
Oggi noi siamo parimenti inconsapevoli del significato dell’albero di Natale che prepariamo e addobbiamo nel periodo del solstizio d’inverno e del quale nessuno sa davvero che cosa significhi.
C’è però in noi qualcosa di inconscio, che anticipa il pensiero. Si evidenzia qui ciò che io intendo con il «Sé». Esso ci costringe a certe azioni e riti significativi. È all’opera una funzione psichica che anticipa la coscienza, prima ancora che abbiamo pensato e riflettuto. E questo è per noi difficile da accettare.”
“O beata solitudo, o sola beatitudo.”[2]
“In patientia vestra habetis animam vestram.”[3]
Note
[1] Aniela Jaffé, In dialogo con Carl Gustav Jung, Bollati Boringhieri, 2023, pp. 166-167.
[2] Iscrizione su una panca del parco del castello di Arlesheim del XVIII secolo (in Svizzera).
[3] “Nella vostra pazienza possedete l’anima vostra”: motto di sant’Ambrogio.
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