“Scritti scelti male” di Rocco Tanica: un’opera irregolarmente razionale

Un pensiero mi sta dando da fare ora che ho deciso come reagire a quest’opera letteraria (“Scritti scelti male”), così inusuale, così assodata, cioè resa soda dal suo autore Rocco Tanica. Sarò sufficientemente logico, sincero, consequienziale, coerente a me stesso?

Scritti scelti male - Rocco Tanica
Scritti scelti male – Rocco Tanica

Essendo un ex-agerato fan di autori ironici (diciamo così), ma è meglio dire paradossali, come Ennio Flaiano, Achille Campanile, Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Stefano Benni e Daniele Benati (più parenti del Rabelais che del Tassoni, mi sa), dopo aver letto circa metà di Scritti scelti male di Rocco Tanica, mi sento in grado di affermare che raramente ho letto un’opera più irregolarmente razionale di essa. Inoltre (importante): dalla serie di autori citati, a cui ora vado aggiungendo Rocco, si evince che in giro vi sono più autori seri che seriosi. Una conferma di tale teoria scientifica me la può dare soltanto il mio prof preferito: Gino Ruozzi.

Cos’è di fatto un non-sense, se non un’inversione a U di un’auto allorché t’accorgi che, ai lati della strada, ci sono due temibili fossi e che, di fronte a te, c’è che un muro che già è stato leso da innumerevoli incidenti?

Dopo di cui ringrazi Chi Vuoi Tu che il problema è occorso quando ancora c’era un po’ di luce che ti ha permesso di bloccare in tempo il mezzo prima di schiantarti. Infine non ti rimane che esaminare una duplice eventualità: fare l’inversione, oppure, se la strada è stretta, procedere prudentemente in retromarcia.

Un autore come Rocco Tanica non ha dubbi di quale può essere la sua scelta. Io pure.

La scrittura è un continuo mutar di traiettoria, come accade alla particella che, una volta emessa, valicate contemporaneamente mille e una fenditura, finisce per piombare su uno schermo, s’ignora dove, se non quando è giunta a destinazione: chiamala, se vuoi, indeterminazione quantistica. A sentire Niels Bohr, soltanto in quell’attimo essa esisterà, ché prima altro non era che un’anonima onda. Anche subito dopo, si pensa.

Se leggi un romanzo naturalista all’Émile Zola, che fai?, credi a tutte le fole che l’autore va narrando? Non hai nemmeno la più pallida di idea di quanti guard-rail hanno leso i suoi paraurti (e viceversa). L’arte, nel suo girovagare, è un continuo sbattere prima da una parte e poi dall’altra.

Mi sento affine all’autore della presente silloge, il cui etimo pare indicare un quid di divergente che si è infine legato insieme, ma chissà se non ha pure un celato riferimento al lógos, come il termine religio, che vuol dire sia quel che ti lega e quel che tu decidi di scegliere. Perché questo il fine dell’uomo: farsi avvinghiare, tentando al contempo di fuggire Altrove, ove vige una diversa specie di logica… Oppure fuggire via per la tangente.

Forse (fatalmente)… ho perso il filo (come non capitò, si dice, a Teseo), ah… All’autore della presente opera Scritti scelti male dico: sei sempre così logico che Kurt Godel, a leggerti, dapprima s’alzerebbe in piedi ad applaudirti, e poi cascherebbe a terra, svenuto per l’emozione. Bertrand Russel, dal canto suo, astrologherebbe intorno alla questione di quale potrebbe essere l’insieme (o la classe) in cui iscrivere ‘sta tua funzione (il)logica. Certo che quel Bertrand aveva poco da fare la sera, prima di andare ad assopirsi.

Caro Rocco, nella tua fin troppo sapida Introduzione alla nuova edizione, informi il tuo lettore che l’opera Scritti scelti male è stata già pubblicata vari anni fa e che questa è una riedizione opportunamente modificata (una specie di OGM), secondo i criteri che indichi, un po’ pedantemente, nell’elenco che vai depositando a pagina 12. Non vedo l’ora che tu pubblichi la terza (e poi la quarta, la quinta, etc etc) variante, magari rovesciata come accade (e questa la capisco solo io e Onorio, il mio amico getunêr) solitamente (nonché incertamente) all’IPM 7603, che come il gatto è sia dritto che rovescio fino a che non lo rigiri)… ennesima versione che non so se di nuovo leggerò, ma è evidente che sarà essenziale per la tua bibliografia su zia Wiki. Lo stesso capitò ad Alessandro Manzoni col suo Fermo e Lucia, poi Gli sposi promessi e, infine, I promessi sposi; nonché a Stephen King con il suo The stand, tanto per citare i primi due nomi di autori seriali che mi son venuti in mente. Ma stai attento, caro, di non incorrere nell’errore in cui incorse Torquato Tasso, la cui Gerusalemme liberata fu, dicono coloro che sanno di lettera, fu stravolta e resa ancora più illeggibile quando si trasformò nella sua politically correct variant: la Gerusalemme conquistata. E il rischio è sempre quello, si cerca di piacere a tutti e si finisce per farsi commiserare dai più.

Un autore ti suggerisco, ma certamente lo conosci. Si tratta di Gianni Rodari, o del suo “sosia”, che forse non tutti sanno che, in taluni casi, non sempre però, chiedeva il parere preventivo, nonché autorevole, alla cara moglie Maria Teresa Ferretti, prima di proporre agli editori le sue fantastiche opere. Dopo di cui, egli spontaneamente decideva (sempre in stretta collaborazione con la stessa) se pubblicare o meno il libro. Non ho alcuna prova di tutto ciò, ma c’è forse qualcuno che risulta in grado di testimoniare il contrario? La letteratura, anche la reazionologia, è per lo più infalsificabile. Spiego: io non faccio recensioni, né critiche, bensì creo reazioni.

In casi eclatanti, come forse per quel noto attore amoroso di cui condividi il nome di battesimo, noi mariti siamo tanti due di coppe in rifiuto quando briscola è bastoni, magari sotto forma di matterello, come nel caso di quel baffuto di Pedrito el Drito, così tenuto sotto tiro da quella brunetta consorte di nome Paquita. Della moglie del suo autore Antonio Terenghi non so dir nulla. Manco se è mai esistita. Sì, lo fu, mi informa sempre la cara zia Wiki, a cui mi rivolgo talora per ottenere qualche informazione, essendo una specie di so-tutto-io, ma che per fortuna vive per conto suo. Né gradirei ospitarla a casa mia, se non ogni tanto, di rado però, per un caffè e un paio di stantii wafer.

Alcune tue storie, non tutte, mi ridestano antichi ricordi, alcuni amarognoli, altri stucchevoli, nessuno allegro più di tanto, né triste, però. M’accorgo ora che ti sei rivolto a un ristretto campo di eventuali lettori: “La scelta migliore, mi sono detto a un tratto, è una dedica a vivi e morti, senza entrare nel dettaglio.” – e chi deve ancora nascere? Oppure coloro (e non sono pochi) che stanno ancora rinchiusi in qualche scuola materna? Quelli non t’interessano? Essi sono i prossimi e venturi, per cui ti suggerisco, per la prossima uscita dell’opera, di rivolgere un messaggio e, visto che ci sei, un augurio pure a loro.

Dopo, Conseguenza di una mia dabbenaggine e Loonely Tunes sono racconti fortemente correlati, entangled dicono i maniaci della quantistica. Ripensando a quello che è successo nel Texas, viene da chiedersi se, in quello stato meridionale, convenga più essere vittime o assassini. Propenderei per la terza ipotesi, anche se talvolta (e pure in questo caso) tertium non datur.

Un analogo discorso vale per la scelta d’essere vivo o deceduto. Il primo si tramuterà, al como della sua perfectio, prima o poi, nel secondo, che presto deperirà per i fatti suoi. Una semplice, pur problematica richiesta: a uno spettro gliela vuoi o no concedere una piccola chance?

Durante l’amena lettura di Alieni in viale Abruzzi, mi viene da darti un consiglio: quando ti rivolgi ai marziani (ma soprattutto ai venusiani, per non dire dei saturnini), fregatene di eventuali refusi, ché anche loro quando ciarlano in arşân dal sâs (reggiano del centro) fanno degli strafalcioni che te li raccomando, ma controlla piuttosto il tono. Il timbro no, quello non lo puoi adattare.

In Chi si rivede in giro torna a affacciarsi alla mia memoria la problematica che mi attanaglia da alcuni decenni: non sono fisionomista. Quante volte è accaduto che ricordavo come se fosse un’unica persona due individui separati e distinti o che, incontrando qualcuno, mi è capitato di dirgli: Lo sai chi ho visto ieri? Paolo! E lui: Infatti ci siamo visti! Ma non ti ricordi?!

In Valligiani di lacrime tu usi l’espressione:postuma morta” – la quale mi pare un funereo ossimoro. Solo di un vivo si può dire di lui che qualcosa gli sarà pubblicato post-mortem. Il caso più eclatante è quello di Guido Morselli che scrisse da postumo Dissipatio H.G. – mentre era più di là che di qua, mentre ancora andava raccogliendo le sue ultime memorie. Da cui si deduce un’antica verità: l’autore più strabiliante è quello che deve ancora esibirsi davanti al suo pubblico.

In Bauli leggo:C’era un uomo povero ma scaltro.” – ti garantisco che alla gente povera, che nulla possiede, la natura ha concesso una sola, certamente ipotetica (ennesimo ossimoro), quasi improbabile, ricchezza: la furbizia. Non ho mai avuto modo d’incontrare un tipo disgraziatamente randagio che si ritenesse più stolto di me.

Germogli:L’allievo accettò la punizione ma replicò: ‘Non capisco, maestro…” – col maestro che ebbi a far tempo dalla seconda elementare, c’era poco da capire: quando ti batteva con un righello il pugno chiuso a pigna si doveva dire Grazie! Lo faceva per il nostro bene! E adesso spiegami perché ancora sto covando nel mio cuore (e sulle punte delle dita) il suo dolce ricordo!

Eredità:un uomo aveva quattrocento figli…” – e forse altrettante mogli, nonché suocere. Come lo compatisco! Se si mostrava un po’ nervosetto, una ragione c’era! Più d’una, I guess!

Paura: “… non può raggiungervi se il vostro spirito è saldo ma flessibile.” – un altro mezzo sarebbe entrare all’interno di lei, evitando di far casino per non svegliarla.

In La principessa e il mugnaio, leggo l’ennesimo pur dubbio ossimoro (ma quanti, fra me e te, ne dissimuliamo dappertutto!): “fortunato moroso” – che non paga mai il suo debito? Boh?! Reazionare è sempre travisare, anzi, travasare, qualcosa che può cadere sul pavimento (e far scivolare il lettore).

Quella nobildonna si congiunse con quel che rimase di Galimberti, rimanendo purtroppo, ben presto, vedova. I figli che poi nacquero, purché d’inclìta nascita, con quel santo nome (Galimberti!) furono battezzati, tutti – “anche le bambine” – anche se per loro avrei scelto un diverso nome che, poi, da grandi, sarebbe stato loro utile, tipo Nella Passera. Ne conobbi una, con quel saporito nome, un po’ umida e aulente a volte, ma solo allorché vagiva dalla commozione.

Leggendo La meravigliosa storia di Scatos, cane medio, mi viene in mente Reader, il cane di una mia amica che era dotato d’una intelligenza superiore alla media, per essere un cane, intendo. Lei gli affidava il compito quotidiano di recarsi dal giornalaio a comprare Il Resto del Carlino (era un carlino, anche lui). Lei l’avrebbe letto con calma dopo pranzo, quando Reader tornava a casa, dopo essere stato l’intera mattina al parco, appollaiato su una panchina, a leggerlo con santa calmina. Ovvio che alcune pagine di quel giornale emiliano risultavano sempre un po’ mordicchiate.

In Gigi Marconi parli di “una coppia di nudisti originari della Mesopotamia e privi di ombelico.” – al che porgo a te e a eventuali altri commensali, un quesito: quanti ce ne sono stati di umani privi di ombelico? Meno di uno, uno o piu di uno? Posso dirti una cosa? Sia tu (che del resto ti definisci un “bastian contrario”, e io non meno, né più di te), che quel rissoso, irascibile carissimo Gigi Marconi siete due caratteriali!

Bressaglia: scrivere un racconto è un contare con oculatezza i propri passi lungo un sentiero che alla fine si biforca (questa l’ho già sentita da qualche parte). L’importante è che il tuo cammino ti faccia alla fine uscire da te stesso. Almeno per quell’ora concessa di (fittizia) libertà.

Non abbastanza per tutto: “Ma senti, adesso ce la meritiamo o no, una sigaretta in santa pace?” – certo, ma fumane due tu, perché io ho altri gusti in mente. Sappi però che il tuo è un sogno che va sempre in fumo!

Rocco Tanica citazioni
Rocco Tanica citazioni

Nota dell’autore: la punteggiatura: la qual cosa mi ricorda quella ragazza che m’era tanto cara finché era di altrui competenza, per cui non chiedeva altro che di salutarmi, d’abbracciarmi e di sbaciucchiarmi con ipocrita affetto. Un giorno mi prese però alla sprovvista, e fu quando mi chiese se avessi voluto mettere, finalmente, un punto alla questione… Io dapprima ne (e)misi tre, di sospensione, dicendo: Eh… e poi aggiunsi: … al massimo un punto e virgola…! – beh, non ci crederai ma quella smorfiosetta la smise poi d’importunarmi!

Troviamoci a metà strada, la tua prima, sospesina, poesia, mi fa pensare che i due p(i)oli sud e nord, sono detti così soltanto perché fungono da fulcro (fu-fu!) per quei terribili giramenti di… equatori e tropici… che se non ci fossero occorrerebbe inventarli. Servono soltanto per conferire un sempre nuovo e circolare non-sense alla nostra piatta vita!

Comunismo: quel che l’ha fregato è che qualcuno ha spostato la m e la n, aggiungendovi, a mo’ di concia, una s!

Fascismo: qui non si sa cosa spostare e io getterei via tutto.

Ti ho dato – 1: solo un tuo lettore può capire: io comincerei da “seicento euro” e poi scenderei di parecchio, fino a giungere a un caffè sospeso.

Ti ho dato – 2: alla fine quel che conta è che chi ha dato deve aver anche preso. Un quesito da due soldi (non certo da “tremila”): in un onesto rapporto fra due umani, chi l’ha allocato dentro dei due?

Poesie ignote; la prima è: Mettiti nei miei pianni: così mi chiedi. Non posso mica, caro, avendo l’orticaria: da una settimana vado girando nudo per casa, coi termosifoni spenti, tanto ormai, tutto l’anno, non è che un’incessante mezza stagione.

Amarsi: l’amore è una stringente comunicazione che, allorché cessa, diventa, per magico e pleonastico incanto, incomunicabilità.

Amandosi: l’amore è un gioco di pronomi nominali.

Mattino: ha l’alba in bocca, dopo che quella ha finito per scalzare l’aurora.

Sera: il tramonto è soltanto un’alba invecchiata male.

Pomeriggio: se uno non è “Né carne né pesce” – può essere sedano e carota, ma è solo un ex-empio.

Notte: si dovrebbe dire etton, essendo essa l’opposto dell’onroig. Domanda a gratis: perché si dice le tre di notte e le quattro di mattina, quando (non) ci si vede un ostrega?

Stazione spaziale internazionale: inizi con “Peto” e finisci con “Chi ti ha fatto?/ Io un sospetto ce l’ho.” – e c’è chi dice che chi la fa l’aspetti. Mamma diceva anche: chi scoreggia è sano!

Aspettative mal riposte: un mio amico, tale Luigi M. soleva dire, all’improvviso, senza un vero motivo, e con una certa autorità: Quantunque…!

E tu credi scritto grosso: et ego credo quia nescio.

Quando ci siamo conosciuti: ci siamo pensati, analogamente, ma chi è costui? Eravamo già sintonizzati nella medesima, altalenante, inquieta e sospettosa lunghezza d’onda.

Il momento: quel che pensa quella persona di cui cianci lo sappiamo più noi che lei. Così c’illudiamo.

Niente calca: il personaggio “AH” chiede al collega “BL”: “Che ora abbiamo fatto?” – ma lo sai che ore sono, caro il mio commediante? Io no, perché è l’ora che ha fatto me. Per cui ora vado a letto. Come amerei possedere un orologio che andasse un po’ indietro! Per cui uno si chiede: Sono le sette? Sì, ma fra un’ora saranno le sei, fra due le cinque, e questo sarà il trand fino alla mezzanotte di ieri.

Cose troppo diverse: la tragedia è che siamo così tanto diversi che finiamo per assomigliarci. Allora è davvero finita. Non sempre amalgamarsi è un’attendibile promessa di salvezza.

Notizie: il parlare fra noi ominidi è un fraintendere l’altrui pensiero, che ci vuoi fa’. Eravamo a Orvieto, città preziosa oltre ogni verosimiglianza, tanto che, quando uno parte (diretto al nord o al sud, poco cambia), ha sempre il dubbio d’aver sognato. La mia compagna era una fresca maturata (ossimoro?) di un liceo classico, dove aveva faticato un po’ nella lingua di Omero. Però ogni anno ce la fece a superare l’esame di riparazionea settembre, acquisendo una certa conoscenza di quella spinosa lingua. Ci passò accanto una coppietta e lui urlò un ellenico oi!… La mia compagna, che si chiamava Genoveffa, domandò a quello sconosciuto (ella, come fa ben capire il suo nome, non ha vergogna di nulla): Lei è greco? No!… rispose quello. Ma ha detto oi!… insisté Genoveffa. Eh… sa…, le replicò quello, Mi son fatto male a un dito!

Gli articoli rifiutati da Vogue Italia La visita di benedetto XIV a Napoli: una volta mi recai con Genoveffa “a Capodimonte”, quando ormai stava cominciando a stufarmi, perché il museo ospitava una mostra di Caravaggio. C’era troppa fila e io non me la sentivo di sentire per tutto il tempo il dolce e vano suono delle sue lamentele. La portai perciò a visitare le limitrofe catacombe, ov’ella, appena entrata, inciampò, non avendo scorto una buchetta. Chiedi alla guida il permesso di seppellirla, ma lui non intese concedermelo. Eppure l’avrei fatto per l’eterno rispetto che avrò sempre di lei.

In Gli articoli rifiutati da Rolling Stone – 1 Thom Yorke, ove scrivi qualcosa su del “brandy scadente” – che è il primo da bersi, prima che scada del tutto. Mi permetto di aggiungere un particolare. Il cantante che più rimpiango degli anni ‘70 è Giorgio Laneve. Quando fioccava di brutto, mamma mi spediva su in soffitta: dove, dopo aver sollevavo il lucernario, attingevo quella gratuita magia. Dopo di cui ci sorbivamo una granita con del limone e un po’ di marsala.

Gli articoli rifiutati da Rolling Stone – 2 Janis Joplin: infelice battuta che però non riesco a trattenere: quell’artista (o la sua sosia) è davvero stupefacente!

Gli articoli rifiutati da Rolling Stone – 3 Mark David Chapman – che scopro ora essere un grande esperto di cucito. E mi vien da dire un’insipida sciocchezza: l’unico punto a croce buono è quello morto.

Gli articoli rifiutati da Rolling Stone – 4 Huey Lewis:and the news, lo ricordo bene, era simpatico. Il suo era un daily updated rock!

Gli articoli rifiutati dalla rivista del Touring Club Italiano – 1 Venezia città di lepri – che se non scappano come lepri non sono loro, semmai dei coniglietti di peluche. Un consiglio per il viaggiatore. Se ti trovi sul Ponte di Rialto, evita di chiedere al primo passante, al secondo o anche ad altri, quale sia la strada da percorrere per arrivare in Piazza San Marco, ché la risposta sarà sempre la stessa: Segua la folla!

Gli articoli rifiutati dalla rivista del Touring Club Italiano – 2 Genova città capoluogo – una volta che mi trovavo da quelle parti, chiesi a una graziosa che strada fosse da seguire per raggiungere i carrugi. Me la indicò, e fu davvero molto gentile e alla mano. E non spesi neanche tanto.

La posta dei vip: a proposito di quegli eversivi, un giorno qualcuno m’indicò un vecchio malvissuto di alessandresca memoria, dicendomi che era stato a suo tempo affiliato a quella non troppo allegra e infausta brigata. La sua giubba, a forza di sbagliati candeggi, era ormai diventata fucsia.

Una cosa ammiro in loro: pur essendo in quiescenza, sono ancora tutti ricchi dei loro pur folli ideali.

E ne avrei altre mille e una da dire, ma le sottaccio una a una, con puntiglioso scrupolo.

Ora, però, mi sta sorgendo un dubbio (che dirlo a te mi pare decisamente paradossale): Non è che con la mia reazione abbia un po’ ex-agerato?

In effetti ormai le stesse golene sono in gran parte sommerse.

Un’ultima aggiunta cripto-editoriale: sì, è vero, sono un po’ più bassino di te, e un po’ pelosetto… Però c’ho i muscoli io!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Rocco Tanica, Scritti scelti male, La nave di Teseo, 2023

 

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