“Piaceri notturni” poesia di Cesare Pavese: ogni odore è un ricordo

Pubblicata nel 1936, la raccolta “Lavorare stanca di Cesare Pavese è suddivisa in sei sezioni (Antenati, Dopo, Città in campagna, Maternità, Legna verde, Paternità) ed un Appendice denominato “Il mestiere del poeta” (del 1934) nella quale l’autore racconta della composizione della silloge, nel 1940 è stata inserita in chiusura la riflessione “A proposito di certe poesie non ancora scritte”.

“Piaceri notturni”

Cesare Pavese - poesie - Piaceri notturni
Cesare Pavese – poesie – Piaceri notturni

Anche noi ci fermiamo a sentire la notte
nell’istante che il vento è più nudo: le vie
sono fredde di vento, ogni odore è caduto;
le narici si levano verso le luci oscillanti.

Abbiam tutti una casa che attende nel buio
che torniamo: una donna ci attende nel buio
stesa al sonno: la camera è calda di odori.
Non sa nulla del vento la donna che dorme
e respira; il tepore del corpo di lei
è lo stesso del sangue che mormora in noi.

Questo vento ci lava, che giunge dal fondo
delle vie spalancate nel buio; le luci
oscillanti e le nostre narici contratte
si dibattono nude. Ogni odore è un ricordo.
Da lontano nel buio sbucò questo vento
che s’abbatte in città: giù per prati e colline,
dove pure c’è un’erba che il sole ha scaldato
e una terra annerita di umori. Il ricordo
nostro è un aspro sentore, la poca dolcezza
della terra sventrata che esala all’inverno
il respiro del fondo. Si è spento ogni odore
lungo il buio, e in città non ci giunge che il vento.

Torneremo stanotte alla donna che dorme,
con le dita gelate a cercare il suo corpo,
e un calore ci scuoterà il sangue, un calore di terra
annerita di umori: un respiro di vita.
Anche lei si è scaldata nel sole e ora scopre
nella sua nudità la sua vita più dolce,
che nel giorno scompare, e ha sapore di terra.

 

Pubblicata nel 1936, la raccolta “Lavorare stanca” di Cesare Pavese è suddivisa in sei sezioni (Antenati, Dopo, Città in campagna, Maternità, Legna verde, Paternità) ed un Appendice denominato “Il mestiere del poeta” (del 1934) nella quale Pavese racconta della composizione della raccolta e la riflessione “A proposito di certe poesie non ancora scritte” (successivo alla pubblicazione ed inserita nel 1940).

[…] io stesso mi sono fermato pensiero davanti ai veri o presunti canzonieri costruiti (Les Fleurs du Mal o Leaves of Grass), dirò di più, anch’io sono giunto a invidiarli per quella loro vantata qualità; ma al buono, al tentativo cioè di comprenderli e giustificarmeli, ho dovuto riconoscere che di poesia in poesia non c’è passaggio fantastico e nemmeno, in fondo, concettuale.” ‒ tratto da “Il mestiere del poeta”

“Va da sé che questa partecipazione è sempre mutevole e rinnovabile e quindi il suo effetto fantastico incarnabile in infinite situazioni. Ma la debolezza della definizione risulta da quella discrezione così necessaria e così poco concludente agli effetti del giudizio sull’opera. Bisognerà dunque affermare la precarietà e superficialità di ogni giudizio estetico? Si sarebbe tentati.” ‒ tratto da “Il mestiere del poeta”

 “Piaceri notturni” è la seconda lirica della sezione Maternità nella quale è la donna ad essere protagonista.

“Ma intanto smaniavo sotto l’assillo creativo, e faticosamente inciampando in modo vario sempre nella stessa difficoltà, mettevo insieme altre narrazioni d’immagini. Ormai mi compiacevo anche in rischi virtuosistici. In Piaceri notturni, per esempio, volli costruire un rapporto, a contrasto, di notazioni tutte sensoriali, e senza cadere nel sensuale.” ‒ tratto da “Il mestiere del poeta”

Dalla biografia di Cesare Pavese sappiamo che s’infatuò di svariate donne nel corso della sua vita ma che non riuscì ad instaurare un rapporto solido e soddisfacente. Così come si evince dall’ultima lettera all’amata Pierina (pseudonimo per Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati) scritta prima del suicidio avvenuto il 27 agosto 1950 in una camera d’albergo a Torino: “[…] Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo? E ricordarti che, per via del lavoro che ho fatto, ho avuto i nervi sempre tesi e la fantasia pronta e precisa, e il gusto delle confidenze altrui? E che sono al mondo da quarantadue anni? Non si può bruciare la candela dalle due parti – nel mio caso l’ho bruciata tutta da una parte sola e la cenere sono i libri che ho scritto.”

Cesare Pavese
Cesare Pavese

Cesare Pavese immagina l’amore, immagina l’istante in cui il vento accarezza la pelle di una donna, immagina di essere quel vento che dolcemente entra da una finestra e si posa sulla magnificenza femminea, nuda, ancora stesa sul letto. Pavese ha plasmato negli anni una idolatria nei confronti della donna, trasmutando l’umano in divinità. Con le parole ‒ con i suoi versi ‒ ha scolpito la pietra per farne una statua da collocare in un tempio dedicato alla ballerina di Torino, a Tina Pizzardo, a Fernanda Pivano, a Bianca Garufi, a Constance Dowling, a Romilda Bollati ed a chissà quanti altri volti che hanno potuto interessare il poeta.

Pavese pare quasi immerso nel verso finale de “A una passante” del parigino Charles Baudelaire:oh tu che avrei amata, oh tu che lo sapevi!” in un continuo vortice di negazione dell’amore.

“Tiresia: Tutti preghiamo qualche dio, ma quel che accade non ha nome. Il ragazzo annegato un mattino d’estate, cosa da degli dèi? Che gli giova pregare? C’è un grosso serpe in ogni giorno della vita, e si appiatta e ci guarda. Ti sei mai chiesto, Edipo, perché gli infelici invecchiando si accecano?

Edipo: Prego gli dèi che non mi accada.” ‒ “Dialoghi con Leucò ‒ I ciechi

 

“Non appena il dolore diventa abbastanza grande, va avanti da solo.” – Hermann Hesse

“Che cosa accade se questo pensiero viene realmente pensato?” Martin Heidegger

 

Se quel che si cerca si trova, si è certi di cercare ciò che rende felici?

 

Written by Alessia Mocci

 

Info

Leggi “Dialoghi con Leucò – I ciechi”

Leggi la poesia “A una passante”

Leggi la poesia “Estate” dedicata a Fernanda Pivano

 

Bibliografia

Cesare Pavese, Poesie ‒ Lavorare stanca ‒ Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi, prefazione di Massimo Mila, 1974

 

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