Contest gratuito di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sicilia”
“Prendete un problema di qualunque natura (politico, sociale, culturale, tecnico o altro) e datelo da risolvere a due italiani: uno milanese e l’altro siciliano. Dopo un giorno, il siciliano avrà dieci idee per risolvere questo problema, il milanese nemmeno una. Dopo due giorni, il siciliano avrà cento idee per risolvere questo problema, il milanese nessuna. Dopo tre giorni, il siciliano avrà mille idee per risolvere questo problema, e il milanese lo avrà già risolto.” ‒ Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Regolamento:
1. Il Contest letterario gratuito di poesia e racconto breve “Versi e Racconti di Sicilia” è promosso da Oubliette Magazine, dagli autori e dalle autrici dell’antologia, e dalla casa editrice Tomarchio Editore. La partecipazione al contest letterario è riservata ai maggiori di 16 anni.
La partecipazione al Contest è gratuita.
Tema libero.
2. Articolato in due sezioni:
A. Poesia (limite 100 versi)
B. Racconto breve (limite 1000 parole)
3. Per la sezione A si partecipa inserendo la propria poesia sotto forma di commento sotto questo stesso bando (a fine pagina) indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con poesie edite ed inedite.
Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via e-mail ma nel modo sopra indicato.
Importante: cliccare su Non sono un robot, è un sistema Captcha che ci protegge dallo spam. Per convalidare la partecipazione bisogna cliccare sulla casella.
Per la sezione B si partecipa inserendo il proprio racconto sotto forma di commento sotto questo stesso bando (a fine pagina) indicando nome, cognome, dichiarazione di accettazione del regolamento. Si può partecipare con racconti editi ed inediti.
Le opere senza nome, cognome, e dichiarazione di accettazione del regolamento NON saranno pubblicate perché squalificate. Inoltre NON si partecipa via e-mail ma nel modo sopra indicato.
Importante: cliccare su Non sono un robot, è un sistema Captcha che ci protegge dallo spam. Per convalidare la partecipazione bisogna cliccare sulla casella.
Ogni concorrente può partecipare ad entrambe le sezioni con una sola opera.
4. Premio:
N° 1 copia dell’antologia “Versi e Racconti di Sicilia” edita nel 2023 dalla casa editrice Tomarchio Editore. Autori ed autrici presenti nell’antologia: Giuseppa Sicura, Pina Fazio, Rosa Sturniolo, Rosario Tomarchio, Teresa Viola, Vincenza Santoro e Vito Ezio Leanza.
Saranno premiati i primi due classificati per entrambe le sezioni.
5. La scadenza per l’invio delle opere, come commento sotto questo stesso bando, è fissata per il 2 novembre 2023 a mezzanotte.
6. Il giudizio della giuria è insindacabile ed inappellabile. La giuria è composta da:
Alessia Mocci (Editor in chief)
Daniela Balestra (Scrittrice)
Carolina Colombi (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Stefano Pioli (Collaboratore Oubliette)
Pina Fazio (Poetessa)
Manuela Orrù (Scrittrice e Collaboratrice Oubliette)
Rosario Tomarchio (Poeta ed editore)

7. Il contest non si assume alcuna responsabilità su eventuali plagi, dati non veritieri, violazione della privacy.
8. Si esortano i concorrenti per un invio sollecito senza attendere gli ultimi giorni utili, onde facilitare le operazioni di coordinamento. La collaborazione in tal senso sarà sentitamente apprezzata.
9. La segreteria è a disposizione per ogni informazione e delucidazione per e-mail: oubliettemagazine@hotmail.it indicando nell’oggetto “Info Contest” (NON si partecipa via e-mail ma direttamente sotto il bando), in alternativa all’email si può comunicare attraverso la pagina fan di Facebook: https://www.facebook.com/OublietteMagazin
10. È possibile seguire l’andamento del Contest ricevendo via e-mail tutte le notifiche con le nuove partecipanti al Contest Letterario; troverete nella sezione dei commenti la possibilità di farlo facilmente mettendo la spunta in “Avvertimi via e-mail in caso di risposte al mio commento”.
11. La partecipazione al Contest implica l’accettazione incondizionata del presente regolamento e l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai soli fini istituzionali (Gdpr 679/2016). Il mancato rispetto delle norme sopra descritte comporta l’esclusione dal concorso.
Buona partecipazione!
Info
Leggi la Prefazione dell’antologia
PAROLE PERICOLOSE
“Oh, immagino che ne abbiate ricevute parecchie di queste lettere, al comando di polizia. Mitomani, per lo più. Ma a differenza dei più, voglio presentarmi, conmissario. Capirà alla fine perché. E quindi, eccomi: Luca Daelli, scrittore. No, scrittore è limitato. Macchina per scrivere, allora, come mi definisce la critica dotta con malcelata ironia? Non mi piace, ma mi descrive.
Comunque sia, quel pomeriggio ero appena uscito dalla metro in Piazza Duomo, quando sentii la sua voce.
Calda, armoniosa, avvolgente.
Mi ricordava qualcosa, ma cosa?
Mi voltai e all’inizio fu una delusione: una donna che poteva avere sui sessantacinque anni, alta e magra, coi capelli di un bianco luminoso tagliati corti intorno a un viso lungo, bocca dalle labbra sottili, senza rossetto, e un naso diritto e regolare sotto i grandi, rotondi occhiali scuri.
Poi mi accorsi della grazia con cui porgeva a non so chi un pacchetto incartato con cura, e poi di quel suo incedere sicuro ma non arrogante con cui si allontanava verso San Babila…
Sa, commissario? Non ho mai avuto problemi nello squartare oggetti e persone reali per creare coi loro pezzi i miei personaggi.
Eppure con quella donna, quella donna per niente speciale, non ci riuscivo.
Passavano i giorni ma nulla.
E finalmente una notte la sognai. Era lei, ma era anche mia mamma, la mia mamma biologica, voglio dire. Nel sogno udivo la sua voce calda, armoniosa e avvolgente, sentivo il calore delle sue labbra sottili senza rossetto sulla mia guancia di bambino di sette anni… Poi una donna in divisa mi strappò da lei, che vidi per l’ultima volta mentre varcava la soglia di casa, tra due poliziotti, mentre altri scattavano foto e facevano chissà che altro chinati sul corpo di mio padre e sul suo sangue.
Mi svegliai urlando, compresi.
Non si può uccidere la propria madre, anche se è una assassina, anche se – come dice il mio analista – si è anaffettivi.
Eppure dovevo farlo, dovevo in qualche modo farla fuori, prima che mi invadesse ancora di più la mente e con lei le mie storie, i miei personaggi, che volevo essere libero di creare come volevo, senza che alcunché mi condizionasse.
Ecco, creare.
Stava lì, signor commissario, la via d’uscita?
Voglio dire: se descrivere un personaggio di fantasia con la dovuta maestria gli dà vita, non può succedere l’opposto?
Cioè che una descrizione sciatta, senza nerbo, senza attenzione ai particolari può farti dimenticare una persona reale?
Ho (per ora) la sorte di dirigere una delle tante scuole di scrittura. Tra gli allievi ce n’è uno, con un certo talento immaginativo e abilità letteraria, ma assolutamente carente quando si tratta di descrivere luoghi e persone, a cui inviai una breve descrizione del momento in cui avevo incontrato quella donna, chiedendogli di farne un racconto.
Mi arrivò , lo lessi con avidità,
Niente.
Con furore lo modificai, rendendolo ancora più sciatto
Ancora niente.
Guardai l’orologio: erano le 2.14, era tardi ed ero uno stupido.
E anche il mattino dopo, niente.
Lei, quella donna (mia madre?), sempre lì, nella mia testa.
Scrollai il capo, risi tra me della mia balordaggine, feci il caffè e accesi la tv.
Al tg stava passando una notizia curiosa: in via Modestino era stata trovata, accartocciata contro il muro del palazzo al civico 8, una Smart quattro porte nera, che dalla targa risultava intestata a Fulvia Nascimbeni, di cui avevano parlato le cronache una ventina di anni prima per aver assassinato durante una lite il marito sotto gli occhi del figlio Luca di sette anni.
Lo strano era che all’interno della macchina non ci fosse nessuno…
Oh, commissario: so che le spiegazioni dell’accaduto ci sono, e tutte piuttosto banali, anche se incomplete: un avviamento accidentale, ipotesi avvalorata dal fatto che le chiavi fossero nel quadro e la prima inserita?
Ma allora perché la Nascimbeni non si faceva viva? O era stata la stessa donna ad organizzare il tutto? Ma perché?
Sta di fatto, commissario, che secondo l’ora segnata sull’orologio dell’auto, l’incidente era avvenuto alle 2.14 del mattino.
L’ora esatta in cui avevo finito di leggere i racconti.
Immagino, commissario, che lei sia abbastanza intelligente per capire cosa credo sia successo, perciò non mi dilungo oltre. Anche perché devo inviarle la mail che sto scrivendo. Non si stupisca, é l’unico modo che conosco per fermare un individuo estremamente pericoloso, me. ”
Guardo ancora la mail che il solerte brigadiere Sanfilippo ha appena stampato. Alzo gli occhi verso Annalisa, la mia vice.
“Che ne dici?”
“A me sembrano i deliri di un pazzo. Pretendere di aver ridotto al nulla una persona solo descrivendola male…mah. Dovremmo sentirlo, comunque”
Le sorrido.
“Già fatto”
“Cioè?”
“Ho mandato gli agenti Cancemi e Pisticci a consegnargli una convocazione , dovrebbero… Ah, eccoli. Fatto, Cancemi?”
“No, mi spiace signor commissario. Abbiamo bussato e suonato più volte ma nulla. Nessuno ha risposto”
FINE
(sezione b, accetto il regolamento)
P.S: sono il primo a inviare un racconto, vinco qualcosa?
Vinci il mio arprezzamento e la mia stima, caro Marco
Grazie!
Partecipo sez a
Accetto il regolamento
Dormiva la bimba
Cullata dai sogni la bimba
ignara dormiva,
al riparo
nel suo mondo fatato.
La bimba dormiva
la mamma,
muta si accasciava
con impressi negli occhi
l’orrore dell’ultimo istante.
L’amato è il suo assassino.
E la mano s’abbatteva violenta
senza pietà su quel corpo di madre,
senza pietà sul giovane corpo di donna.
Tanti sono i colpi per spegnere i sogni
Tanti sono i colpi
per strappare un fiore alla terra
Da mano assassina moriva
La bimba dormiva,
dormiva la bimba.
Ignara la bimba, dormiva.
La madre
all’ombra dei pini
in silenzio moriva.
Paola Pittalis
Libera sabbia
Mi appresto lungo il molo
a camminare nel mattino presto
quando è tiepido il sole ed è muta
la città. Ed ammiro
il mare con il suo sciabordare,
ed è libero di sognare spiagge
e gridanti gabbiani.
Nelle rughe della libera sabbia
dormon loro, forestieri immigrati
emarginati dalla
comunità che mai non li ha accettati.
Sul muro del molo, solingi anziani
vengono a cercar lontani ricordi
della giovane età,
oramai naufraghi di questa vita.
Poi ci sono io, con i miei pensieri
di oggi e di ieri, eremita
di vita che a fatica l’ho capita.
Ed ho capito che appartiene a tutti
il mare, perché è
la libertà di amare ciò che siamo.
Alessio Romanini-Accetto il Regolamento- sez A
LO STESSO MARE
Mi dissero: “Perché vai a guardare ogni dì il mare?
Ogni giorno, tu, vedi lo stesso mare!”
Loro non sapevano guardare. Loro non sapevano che il mare è
vivo ed ogni giorno esso cambia.
Le diafane acque si allungano e si ritirano dalla riva, tutti
i giorni.
E quotidianamente le onde sono apparentemente ferme se la brezza è debole, mentre quando l’alito di vento diventa veemente, le acque si increspano in onde mosse ed impetuose che si scagliano sopra scogli e la riva.
Loro, non riusciranno a vedere oltre la distanza del loro naso.
Come possono fare una simile affermazione?
Scendono dalle alte vette ogni dì i rivi, che poi si gettano nella foce salata del mare e rigenerano le trasparenti acque
di esso.
Ed ogni giorno, la diurna stella riscalda il “pelo dell’acqua”
per farla evaporare in tante minuscole goccioline, che andranno
a formare grevi nembi.
Ed essi, ricadranno a loro volta sotto forma di pioggia dentro
rivoli, dentro la zolla, dentro il mare…
Nettuno è vivo! E quotidianamente si trova a migrare in ogni
luogo e in terre lontane; terre che a volte sono ignote al
ciglio umano. È per questo semplice motivo che usualmente sento dentro l’animo mio il bisogno di rivedere il mare.
Esso favella. Racconta ciò che ha visto. Mi parla della vita!
Loro non sanno guardare. Non sono capaci di restare ad ascoltare. Amo il mare. Ed ogni dì mi reco da lui e affascinato resto ad ascoltare.
Alessio Romanini-Accetto il regolamento- sez B
Sezione B
Accetto il regolamento
Franco Carta
L’accento rosa
La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro.
Io non lo seppi allora, non lo seppi l’indomani, ma ero già cosa sua.
“Qual e il punto?”
“Che cosa?!”
“Il senso. Qual e il punto…?”
“Di…?”
“Questo dipinto, per esempio.” Disse indicando l’Accento in rosa di Kandinsky che avevano proprio davanti a loro.
“OH!!!” Disse, dopo aver improvvisamente capito la domanda del suo ragazzo. “Non lo so… In realtà, non ne ho idea.”
“Allora perché siamo qui?”
“Perché siamo venuti a visitare il museo…?” Suggerì ironicamente divertita.
“Insufficiente.”
“Sto scherzando… perché è carino.”
“Lo pensi davvero?”
“SÌ.”
“Mi spieghi.”
“Il blu sullo sfondo è profondo e concentrico. Cosmico. Vedi? (disse con tono professorale e per forza pedante). Trascina i nostri occhi. La tela non è altro che un rettangolo (una forma geometrica) e la materia di cui è composta – eterno mistero – ci attrae per il suo colore e ci conduce all’infinito dove quello che chiamiamo diamante (un’altra forma geometrica) esaurisce il giallo e euforico per abbinarsi ai toni blu quasi violacei dello sfondo. In mezzo a questo tutto che ci invita al mistero (dell’essere e delle sensazioni), nascono dei cerchi perfetti (ancora il geometrico…) e uno – uno solo (teatrale, diceva, l’indice che funge da numero uno davanti agli occhi di Arthur) – rosa ed euforico, ci ricorda che l’amore esiste e che può aggiungere un significato a…”
Posò l’indice sulle labbra di Helena, costringendola delicatamente a tacere.
“Baciami…?” Chiese. E poi le loro labbra si incontrarono amorevolmente in un bacio veloce, come richiedevano il luogo e la situazione. “Sposami?” chiese allora.
“Perché dovrei sposarti…? Sei uno sciocco insensibile…!” Disse ridendo divertita.
“Uno sciocco che avrebbe dipinto questa tela solo per dartela.”
“Vedi quel quadrato pieno di cerchi, proprio al centro dell’inquadratura…? Dove c’è un cerchio quasi interamente bianco…” Guardò lo schermo. “Ecco come sarebbe la nostra vita se ci sposassimo.” Ha continuato. “Viviamo lontani gli uni dagli altri. E il fatto è che non vivresti in campagna. Né mi trasferirei qui. Almeno non per ora. La nostra vita sarebbe un concerto di forme raffinate ma dissonanti… musica dura per le orecchie… come i suoni di un contrabbasso quando ci si aspetta l’armonia di un flauto”.
Teneva gli occhi sullo schermo. Ora più risolto. L’espressione seria. Vuotamente pensieroso. E poi quel giallo, che sembrava più scuro di prima, trovò posto dentro di lui. In lotta con la disforia blu. Provò una tristezza acuta e inspiegabile che lo spaventò in un modo sconosciuto. Si chiese (senza sapere di farlo) se la sua vita avesse un senso. E in quel momento non riuscì a trovarne nessuno. Lasciò che se stesso si perdesse nel blu scuro. È stato un tuffo nel nulla. Là, dove germogliavano infinite bolle di traboccamento contenuto. E quell’immagine, così insignificante per lui, si trasformò in una musica seria che governava sentimenti contraddittori. La forma del mondo lo spaventava ed era impossibile dominarlo. Sospeso nel silenzio profondo, fu sicuro, per qualche breve istante, che per lei sarebbe stato capace di tutto. Forse quella sensazione non sarebbe durata per sempre. Era solo un passeggero. Ma in quel momento (e ciò che conta è sempre il momento), lei era eterna. Sì. Sapeva di essere sotto l’effetto di quel rettangolo che lo precipitava nella gravità dell’infinito. E che fluttuava in mezzo a cerchi perfetti di sensazioni contraddittorie e talvolta appena distinguibili. Un luogo in cui il giallo, poco cauto e molto spericolato, gli ha chiesto di rielaborare il mondo. Fu allora che si inginocchiò e la sua mano destra chiese quella di Elena.
“Alzatevi…” disse vedendo gli sguardi dei presenti rivolti verso di loro. Fu un’umiliazione raggiante e civettuola. Pieno di gioia e tanta irriverenza. È solo che era piena di sentimenti sferici, pronti a esplodere nell’insieme cosmico e caotico del nulla.
“Dico sul serio…” La guardò con gli occhi neri e una faccia seria. “Non posso lasciare che gli spigoli rovinino il mistero di averti.”
L’affermazione, del tutto inaspettata, fu la più bella che potesse sentire. E il giallo, oscurato dai sentimenti impoveriti della vita quotidiana, si è acceso in Elena, come una nota lirica in un insieme confuso ed estraneo alla vita. E lei disse, piena di certezza:
“SÌ.”
Quando tutti applaudirono (non molti condividevano con loro quello spazio, ma sufficienti a costituire un pubblico piccolo e rumoroso), un bambino accompagnato da una donna più anziana chiese:
“Che succede, nonna?”
“Il giovane ha chiesto alla ragazza di sposarlo. E lei ha accettato”. Ha spiegato la signora. Il sorriso pieno di gioia illumina il viso rugoso.
“E perché si comportano…?”
Quel bambino non aveva mai visto una proposta di matrimonio. E ha confuso ciò che ha visto con una scena teatrale. Come quelli che vedevo qualche volta a scuola.
«Perché nel mondo degli adulti è così. Tutto è messo in scena. L’ambientazione è il mondo. Questo museo, per esempio. E noi siamo gli attori. Lo spazio vuoto è da dove tutto nasce”.
“Ahhh…. Altrimenti sarebbe tutto niente…?”
Ma la donna già apprezzava il bacio appassionato di quella coppia sconosciuta. E il bambino rimaneva perplesso e insensibile.
© Franco Carta
Sezione A
Accetto il regolamento Franco Carta
Ordito
Che cos’è
che attraversa il tempo
e continua a solcare la giornata
un filo invisibile cuce
cascate di suono e di significato
dall’immaginato al detto
a punto croce, tocco finale.
Tutto matassa niente filo
stavo cercando di scappare da lì
ieri sera sono inciampato
nel burattino di lana esposto.
Era un grumo di significato ignoto.
Di notte, sotto la cupola del silenzio,
un cuore esausto si rende conto
di ciò che muore ogni giorno
filo dopo filo intreccia
la maglia delle ore
ciò che attraversa il petto
scintilla scintilla scintilla
di notte una palla di parole
si stacca dagli aghi
ricrea la mappa
attraversa il tempo.
© Franco Carta
A vita è….
U scrusciu forti ntisi,
poi un capivu chiù nenti,
e vitti a latu i mia l’amici e li parenti.
Io ci riceva a Francescu;
“Araciu un ti gasari”,
ma iddu un mi sintiva;
“Amunì un ti scantari!”.
E ora ca p’un pilu un sugnu nto na cascia,
capisciu chi voli diri quannu na vita si sfascia.
Era u megghiu amicu miu,
a me patri u chiamava ziu,
un ci pozzu pinsari,
ca un lu pozzu chiù abbrazzari,
ficimu nzemmula l’asilu e i scoli elementari,
e ri surdati cuntavamu li jorna nte calendari,
si putissi ‘nnarreri turnari,
dda buttigghia ci facissi iccari,
ora capisciu ri ncapu a sta seggia chi roti,
cosa voli diri pinsaricci ru voti,
picchì a vita è na cosa rara e priziusa,
e un si ecca nta munnuzza comu na cosa fitusa.
Giovanni Spadafora
accetto il regolamento, sez. A
È troppo chiedere la traduzuone in italiano?
Bellissima!
Sezione A Accetto il regolamento. Luana Farina Martinelli
Alos
Lei era Alos
era talmente sé stessa!
Era sagace
era spiritosa
lei era
e poi smise di essere.
Lo stupro l’annientò.
Andando in giro muta
sentiva
non il proprio
ma il nome dei suoi
lodati stupratori
bravi ragazzi!
Decise di parlare
ma non servì
anzi l’annichilì
Alos era il suo nome
Non resse
Alla vergogna
All’ipocrisia
Alla gogna
Al disgusto
All’omertà
Al mostro
che nello stupro
le rimase dentro:
nel corpo violato
nel cuore stracciato
nella testa devastata
da paura
senza limite
senza fine.
Alos creò il suo teorema:
“non mi accontenterò mai
di nuotare in una pozza
a primavera
anche se limpida,
specchio che riflette,
un’apparenza”.
Lei amava il mare d’inverno.
Profondo e di sostanza
anche se nero
dove le vere emozioni
sono sconvolgenti.
Da lì aveva sempre ascoltato
ciò che non sentiva nella pozza
e che non le restituiva,
invece, come il suo mare,
lo sguardo che va oltre,
dove libera è la morte
con cui nuotare
e abbandonarsi a lei.
Lei era Alos
era talmente sé stessa!
Lei era sagace e spiritosa
Lei era viva
poi smise di esserlo.
Alos è Sola al contrario?
Sì Alos è sola al contrario
Angelo Napolitano
Accetto il regolamento, sez A
GUARDAMI AMORE
Guardami amore… e fammi una carezza…
Comincia dalla fronte e poi il viso;
indugia in mezzo ai riccioli ribelli,
solca la barba… scuotimi i capelli;
muovi le dita sopra le mie labbra.
Tornisci il collo… gioca sulle spalle…
mantieni il petto ch’ansima di gioia;
e il cuore, amore, il cuore… fagli bere
il miele che ti scorre dalle mani,
la lacrima che accende il tuo candore.
Guardami amore… e fammi una carezza…
Percorrimi dell’anima quei varchi
che hai saputo aprire dolcemente;
rintànati nei boschi e negli anfratti,
dissètati alle gaie fontanelle
che tu hai voluto fossero sorrisi;
gioca con le aiuole profumate;
il palmo della mano fai indugiare
lì dove le nazioni fanno festa,
e svelami l’ardore del tuo bacio.
Guardami amore… e fammi una carezza.
A TU PER TU
Ma noi diviso te
Più o meno
Cos’è?
La prova del nove io ce l’ho già
Cos’è lo moltiplico per te
Verrà fuori me?
È strano pensarti così
Tra un diviso un per e una più
Il risultato finale si sa
Lo scopriremo un poco più in là
Giovanni Ferrari, sezione A, accetto il regolamento
IL MALATO IMMAGINARIO
C’è chi è fortunato e gode di ottima salute, lo sanno tutti che l’importante è proprio la salute. Io non sono mai stato fortunato e così come da copione non godo di ottima salute. Cos’ho che non va non lo so bene ancora, mi sto comunque informando , sto approfondendo, sono alla ricerca della soluzione di tutti i miei mali.
So bene cosa state pensando, anche il mio medico di base ha ventilato la possibilità che tutti i miei problemi siano di natura psicologica o psicosomatica, ma noi sappiamo che i medici di base non sono così attendibili in quanto a pareri approfonditi. Come minimo servirebbe il parere di uno specialista, ma io tra tutti i problemi che ho che specialista scelgo?
Da piccolo mi hanno messo le scarpe ortopediche, poi l’apparecchio ai denti, poi la benda per stimolare un occhio pigro e poi la benda dall’altra parte perché una volta rinforzato l’occhio pigro si era impigrito quello forte. Poi è stato il momento dei ricostituenti perché non crescevo, ho preso potassio, magnesio, zinco vitamina C poi la B la E e la A. Mi hanno somministrato ferro, argento colloidale, carbone vegetale e poi un’altra cosa che non ricordo per eliminare i metalli pesanti.
Per chi abbia pensato che crescendo mi sia rinforzato e abbia superato le mie debolezze fisiche posso dire che non è stato così, alla prima frenata brusca durante le lezioni di guida mi hanno messo il collare per il rischio di un colpo di frusta. Ho scoperto consultando internet che potrei essere affetto da miopia astigmatismo e strabismo di Venere, contemporaneamente. Uno sfogo sulla pelle è comparso e subito ho avuto la certezza fosse lo sfogo di Sant Antonio. L’ennesima emicrania, la terza in vent’anni, ho scoperto che potrebbe essere un serio tumore al cervello. Il senso di oppressione sternale e la dispnea li scambio sempre per un infarto e anche dopo l’ennesimo elettrocardiogramma negativo, non sono ancora del tutto convinto che il mio cuore goda di buona salute. Lo sanno tutti che la prima causa di decessi improvvisi siano proprio i problemi cardiovascolari.
Ci vuole ottimismo nella vita, bisogna vedere il bicchiere mezzo pieno, io peró guardo solo se vi siano delle crepe nel suo vetro trasparente.
E gli anni sono passati tra una malattia cronica e l’altra, tra un’assenza per malattia e un permesso per le visite mediche, ma si sa, con la mia salute non avrei potuto essere più produttivo.
Ho invidiato gli altri fin da piccolo, i miei compagni capaci di andare a correre e giocare fuori all’aperto, sudando, senza asciugarsi i capelli dopo la doccia e rimanendo imperterriti e sani perfino nelle peggiori correnti d’aria.
Ho ingurgitato pasticche di ogni tipo, principi attivi tra i più disparati per prevenire e per curare tutte le mie patologie.
Non tutti sono fortunati e godono di buona salute, lo dicevo alla mia badante prima che morisse la settimana scorsa, ma che ci volete fare, ormai a novantotto anni non mi preoccupa più nulla.
Ho vissuto malato per tanto tempo, al massimo potrebbe capitarmi di morire sano.
Giovanni Ferrari, sezione B, accetto il regolamento
Eh, come medico conosco il tipo! Però una volta mi sono vedicato, a uno ho detto: “Lei soffre di una rara forma di ipertensione inversa, ha 80 di massima e 120 di minima”
PAROLA
Uomo
d’integrità scolpito
tra il vento trasportato
nell’aria alleggerito
nel grande petto
alloggiato.
Nel tempo sporadicamente incontrato
disperatamente cercato
il tuo insegnamento
evaporato.
Nel monumento
della vita
riaffiora il ricordo del sentimento
scivolato tra le dita
acquisito a stento
ancora ruvido tra il sedimento.
Tralasciato tra i passi
del movimento
rivivendo
gocce di rugiada appena nate
tra il colore del firmamento.
– accetto il regolamento, partecipo alla sezione A
IL MONDO DELLA FATA MORGANA
Alberto Arecchi
Vengo dal mondo della Fata Morgana,
che talvolta compare sullo Stretto
ai naviganti
e ai miei concittadini.
Il mio mare è come una corrente
che sale e che scende
per quattro volte al giorno
sopra il gorgo profondo di Cariddi,
ove cantano antiche sirene.
Sull’orizzonte del mare
compaiono torri e città di fantasmi.
Lo spirito della primavera
aleggia tra i rami dei peschi
e mille fatine brillanti
svolazzano intorno ai fiori.
Hanno ali multicolori,
risplendono come le stelle
nella notte d’incanto
tra il frinire dei grilli.
Nel vento e nel sole,
fiori di limone sugli alberi,
agavi in fiore e fichi d’India,
le rose del giardino di mia madre,
i banchi di costardelle,
gli altri pesci dello Stretto,
gli uccelli, le rane nei ruscelli,
come tanti anni fa…
– accetto il regolamento, partecipo alla sezione A
GRIFONE
Alberto Arecchi
La festa di Sant’Antonio, a metà giugno, si svolgeva nel mio quartiere. Mi ricordo la strada invasa dai banchi e dai fornelli dei venditori di ‘calia e simenza’, nei posti occupati abitualmente dai carri e dai cavalli destinati ai trasporti di merci. Sullo sfondo, nel cielo del sud, s’innalzava il pennacchio di fumo del Mongibello.
Giunse il caldo agosto. L’aria d’estate lambiva la pelle con aliti caldi di brezza marina. In piazza, c’erano le due statue di cartapesta, enormi, dei giganti Mata e Grifone, lei con la pelle bianca e l’aria tronfia, una corona turrita sulla chioma, montata su un cavallo bianco, e lui moro, riccio e barbuto, con una corazza argentata, su un cavallo nero. Statue alte otto metri, che torreggiavano sulla mia statura di bambino e si stagliavano contro il cielo azzurro. Ero ammirato dalla vista di quei simulacri colossali, che si diceva rappresentassero i mitici fondatori della mia città. Già allora m’ispirava simpatia quel Grifone, con la barba nera riccioluta e il cavallo nero come pece, molto più di quella Mata cicciottella, dalla carnagione stinta e insignificante, che pure la consuetudine mostrava come vittoriosa.
Sul palco, davanti al Monumento ai Caduti, si svolgevano canti e balletti popolari. Volevo diventare uno di quei ballerini. Ho ricordato negli anni quelle musiche e quelle danze, li ho sognati in molti periodi della mia vita come ricordi di un’infanzia felice. L’indomani, Ferragosto, la città intera si riversò nei viali e nelle piazze, per la festa della Madonna Assunta e la processione della Vara. La gran macchina scenica di legno, trascinata da centinaia di fedeli a piedi nudi, vestiti di bianco, si mosse a traversare la città. Cori d’angeli che salivano verso il cielo, con la forma d’un cono di gelato capovolto. In cima, all’altezza d’un palazzo di cinque piani, la statua del Redentore sembra sorreggere la Vergine per un piede, in una posa da balletto classico, e in realtà vorrebbe sospingerla verso il cielo. Se mi ricordo bene, allora, nella parte bassa, oltre alle statue e alle decorazioni scolpite, c’erano anche girotondi di bambini in carne e ossa, con vestiti bianchi e coroncine di fiori nei capelli. Il pubblico si accalcava con gran fervore, tra grida ed esortazioni ai tiratori, i bambini sulle spalle dei genitori, per vedere al di sopra della folla. Soprattutto nel punto della ‘girata’, dove le file dei tiratori compievano sforzi di destrezza per far compiere uno stretto angolo all’enorme macchina scenica. Dopo la girata, la processione proseguiva, ma la festa popolare sciamava verso il Corso per diventare passeggiata, alla ricerca d’un gelato o d’una granita.
La mia fantasia era colpita dall’idea di raggiungere la punta dell’isola, quella Punta Faro che finiva acuta là dove si congiungevano le onde di due mari. Pensavo di vedere le acque vorticose, come nel racconto fantastico di Scilla e Cariddi. Volevo andare a bagnare la punta del piede proprio là, sull’ultima estremità dell’isola triangolare. Era come stare sulla prua d’una nave che solcasse le onde. Pensavo alle colonne sottomarine che reggevano l’isola e all’eroico pescatore Colapesce, che un giorno s’era tuffato per rimediare alla loro fragilità. Cercavo di scrutare nelle trasparenze dell’acqua cristallina, mi pareva di scorgere i pescispada che giocavano con le costardelle, sirene dai capelli incrostati d’alghe, relitti e tesori.
Credevo, allora, che la mia vita sarebbe proseguita così, linearmente, e invece… Solo pochi mesi, e non sarei mai più ritornato ad abitare nel mio luogo natale. Partii per il nord, con la mia famiglia, nell’inverno seguente. Arrivai in una piccola città provinciale, a metà gennaio, con i marciapiedi trasformati in trincee, tra alti parapetti di neve compressa. Mi trasferii dal porto della Fata Morgana alle nebbie della Pianura Padana, dove è raro vedere una collina o una montagna.
Dopo gli studi, ho trascorso molti anni in Africa, in varie parti, impegnato in progetti di cooperazione internazionale, da un lato e dall’altro del gran deserto, in terre che s’inaridivano, tra gente assetata, che viveva ai limiti della resistenza.
I ricordi infantili sono rimasti in un angolo della memoria, riemergendo solo di tanto in tanto, in maniera inconscia, nei sogni della notte. In nessun altro posto mi sono mai più sentito veramente ‘a casa mia’. Altrimenti, forse, il mio viaggio si sarebbe fermato in uno qualsiasi dei luoghi del mondo nei quali ho vissuto.
Vivere in Africa è stato come essere una di quelle onde che lambiscono i lidi degli oceani: fra tante altre, un giorno o l’altro, ne incontri di nuovo qualcuna. Così è stato per le mie amicizie. La boscaglia, la savana, il deserto sono come mari, le piste li attraversano come rotte e i porti, dove chi ritorna è riconosciuto per i suoi ricordi.
Quando sono ritornato, mi sono reso conto che la società moderna, grande, aperta, internazionalista, aperta verso il mondo della solidarietà, era in realtà un piccolo paese, nel quale ogni piccola sfumatura di lingua o di sorriso era riconosciuta. Ormai il mio modo d’esprimermi era irreversibilmente diverso, il mio sorriso era diverso: guardavo le persone negli occhi e non le valutavo dallo splendore della punta delle loro scarpe.
Gli amici di tutte le mie diverse vite si sono dispersi, ciascuno annegato nel proprio mondo quotidiano. Chissà dove sono, in questo momento…
Una speranza segreta mi dice che laggiù, oltre l’Equatore, qualcuno mi aspetta sempre, nella penombra, dietro il grigliato d’una persiana, nel profumo intenso dei fumi d’incenso e dei fiori di gelsomino. Sarò accolto con un cenno del capo e un gesto affettuoso della mano, come se fossi uscito mezz’ora prima per andare a prendere il pane, o la frutta al mercato. Come qualcuno della famiglia, del quale si conosce l’andatura, il profumo, la sagoma delle spalle quando s’allontana e il rumore dei passi quando ritorna.
Quante volte ho sognato, nelle notti profonde, quelle danze in costume al suono dei tamburelli, il gigante Grifone dalla nera barba riccioluta, la strada che si snodava tra i due laghi litoranei e il blu del gran vortice profondo, il richiamo delle sirene…
– accetto il regolamento, partecipo alla sezione B
(sezione A, accetto il regolamento)
SE IO FOSSI POETA
Se io fossi poeta
stanotte non dormire
la luna ammirerei
le stelle conterei.
Se io fossi poeta
coglierei un fiore
in un attimo d`amore
ti donerei il cuore.
Se io fossi poeta
sarei piu vivace
con il mitra che tace
parlerei di pace.
Se io fossi poeta
scriverei che la vita
si gioca su tre dita
e nessuno la capita.
Se io fossi poeta
scriverei un sonetto
senza alcun difetto
per un mondo non perfetto.
Se io fossi poeta
scriverei come Ungaretti
Cesare Pavese
Vito l`Alcamese.
Se io fossi poeta
cosa che non sono
con un grande suono
vi chiderei perdono.
lascerei questa pianneta
di illustri analfabeta
di gente sempre inquieta
Se io fossi poeta.
ALCUNE COSE CHE VORREI
Vorrei mangiare qualcosa
Assieme a lei, all’imbrunire;
Poi dirsi ciao, così, senza dolore.
Bere un sorso di imprevisto,
Leggere una sua poesia
Premiata ad un concorso.
– accetto il regolamento, sez A
Mi guardai
tra i granelli di sabbia
e la distesa di un mare azzurro e luminoso
mentre gli occhi
vennero rapiti
dalla dichiarazione degli Angeli.
In questo canto di etereo silenzio,
ho scoperto
la forma di dialogo piu’ aulico:
la loro gloria, l’invisibile amore
oltre il piu’ ispido dolore.
In ques
In ques?
ps: grazie a chi ha messo al posto giusto la mia poesia, buona notte e buona domenica m!
LA PARATA DEI I PINGUINI
Quest’estate abbiamo pensato di trascorrere le vacanze al mare, quindici giorni di febbraio a Phillip Island, 120 Km dalla città di Melbourne, la città per eccellenza, nominata per sei volte consecutive: ‘Melbourne la città più vivibile al mondo,’ un bellissimo viaggio da mozzare il fiato per i meravigliosi paesaggi verdissimi da ammirare dal finestrino, l’Australia è tutta bellissima!
Un mare calmo e un cielo azzurrissimo e 30 gradi giusti per abbronzarci, senza bruciarci coi 40 gradi e su di lì.
La sera di San Valentino, l’abbiamo trascorsa insieme ai pinguini, non è vero che i pinguini vivono in zone molto fredde come in Antartide, quelli australiani sono di una specie diversa e si divertono la sera a fare la loro parata. Una parata adorabile che richiama tanta gente da ogni parte per assistere a questo stupendo evento. Escono dall’oceano e vanno in un lungo e largo sentiero di sabbia a gruppi di due o venti, si dirigono coi loro passi ondulati verso le loro tane. È bello vedere anche qualche coppia che arriva in ritardo.
Passeggiano eleganti e indisturbati tra la sabbia con il loro vestito nero dietro e bianco sul davanti, escono dall’acqua per raggiungere i loro nidi coi loro piccoli tra le piccole colline in un lato del mare, tutte sistemate a scala e forate dai loro nidi.
Una processione incantevole, che si guarda con tanto stupore e meraviglia per le grandi emozioni che trasmette nel cuore degli ammiratori.
Ma si sa che qui l’estate è a puntate, due – tre giorni caldo, ma poi una settimana di fresco, anche a 16 gradi, ma ciò che è successo quest’anno è incredibile, la temperatura è scesa così giù da cadere la neve in piena estate, incredibile ma vero, tutte le piccole montagne dei dintorni erano tutte ammantate di bianco, un avvenimento del genere ha creato incredulità ovunque, si moriva di freddo e avevamo tutti vestiti leggeri e qualche giacca, ma ci volevano i cappotti ed anche il riscaldamento, cosa che l’albergo non ha voluto darci.
Avere la neve qui è difficile nell’inverno, si vede solo nelle montagne, basti pensare che, Monte Kosciuszko 2.228 m. è la montagna più alta d’Australia, per sciare la creano artificiale nelle montagne, con macchine speciali, perché sempre poca, nelle città non si vede mai, qualche volta un fiocco qua e là.
Roba da matti, faceva freddo, 5 gradi e i pinguini si divertivano nel loro dolce oceano infinito, tra le onde bianche e ghiacciate. Il loro andare flessuoso e tutti insieme è qualcosa che affascina, attira migliaia di persone che stanno lì sulla sabbia, o sulle rocce, illuminate dalla luna e dalle stelle, per godersi questo meraviglioso spettacolo tutto l’anno, le piccole colline che si estendono da un lato dell’oceano, sono tutte bucate dai nidi dei pinguini, che lì vanno a depositare le uova.
Tanti piccoli pinguini, affacciati dai nidi, aspettano le loro mamme che gli portano il cibo, i loro fischiettii sono musica dolcissima, che insieme alle onde creano un delizioso concerto, e quel concerto dà gioia a tanta emozione a tutto il pubblico che, sempre in attesa sta lì estasiato da tanta bellezza.
Sicuramente, la Parata dei Penguini è un fenomeno naturale che tutti dovrebbero vedere, ma ci vuole anche tanta pazienza e preparazione per sopportare la grande folla, che s’ammassa e cigola ininterrottamente e allegramente.
L’indomani siamo andati a Sanremo, una splendida spiaggia poco prima di Phillip Island, ma aimè, scoppia una grandinata mai vista prima, ogni palla era quasi quanto una mela, ci ha rotto i vetri della macchina con tanti buchi, tutt’intorno la gente scappava dalla riva bastonati dalla grandine in festa, una grandine che ha provocato parecchi danni, anche negli hotell, rompendo vetri e ammaccando tavoli, sedie e tanta gente dolorante.
Abbiamo avuto tre giorni di freddo invernale, ma poi piano piano siamo arrivati ai 36 gradi e il mare ci ha accolto per darci la frescura che il nostro corpo anelava.
Dopo quindici giorni è venuta l’ora di partire, siamo partiti di sera per ammirare i paesaggi con le loro splendide luci che brillano dappertutto, il mare è un incanto con le scintillanti luci delle barche e delle navi e dei porti. Ma qualcosa d’incredibile ha attirato la nostra attenzione guardando le stelle, abbiamo parcheggiato la macchina per ammirare in cielo una luna stupendamente grande e luccicante al massimo, un miracolo quest’anno con una luna da sorprendere tutti quanti, infatti tante macchine erano ferme per godere di questo magnifico fenomeno, una palla straordinaria e grandiosa, con luce rossa che splendeva specchiandosi sull’oceano e illuminando ovunque.
I giornali e la tv, avevano parlato di questo miracolo ed è stato veramente stupefacente poterlo ammirare.
Arrivati in città, abbiamo pensato di fermarci alla Federation Square, una piazza stupenda nel cuore di Melbourne, colma di gente, che si godeva un film all’aperto, come è di consueto sia di giorno che di sera, ci siamo seduti tranquilli nei sedili per guardare la luna maestosa e il film, che con grande sorpresa era il film dei pinguini girato ultimamente, che avevamo visto al cinema e in tv, ma vederlo con il cuore colmo dei pinguini veri è stato fantastico!
Siamo arrivati a casa all’una di notte, felici e contenti e senza sonno, abbiamo bevuto coca cola e mangiato pasticcini e cannoli che avevamo portato da Phillip Island, comprati in un bar italiano!
Piano piano si è fatto giorno, con il sole che splendeva e niente sonno, eravamo così eccitati per le grandi novità che abbiamo visto quest’anno, da non avere per niente voglia di dormire, raggianti di gioia e di allegria, ce ne siamo andati in giardino, sul retro della nostra casa a goderci il profumo delle rose, delle mimose, dei ciclamini, dei gigli, ecc. e della frutta che aspettava noi per essere raccolta dagli alberi e mangiata con grande appetito, pensando alla luna, grandiosa e luminosa e ai dolcissimi pinguini, che ci hanno fatto felici!
— accetto il regolamento, partecipo alla sez. b —
I TUOI OCCHI IL MIO PARADISO
Un raggio di sole per te,
per illuminare il tuo volto,
il tuo sorriso, i tuoi occhi
il mio paradiso.
Nei tuoi occhi
radiosi e sorridenti
c’è magia, gioia e poesia.
C’è la brezza del mare
che rinfresca giornate assolate
dal sole settembrino.
Il tuo sguardo mi rapisce,
mi attraversa l’anima
e la incendia le scintilla
dei tuoi occhi.
Rievocando dolci memorie
uno struggimento fatale
che irradia amore.
Sognare te che sei parte di me.
Tu sei il mio cielo,
la mia alba,
la mia notte infinita
che dipingo col bagliore
del tuo lume.
accetto il regolamento, sez. A
INSUFFICIENTI E MORTALI SIAMO
Mi verrebbe da mettere on line ogni desiderio,
per farla finita con l’immaginazione, i rimpiazzi,
le angosce allo scoprirsi mortali, insufficienti,
inesatti per la conta, per ogni bisogno di tenerezza.
E così ciascun gesto: slacciarsi le scarpe, portare
il cane a pisciare, accettare pieghe mal stirate
di camicie scolorite, dare cibo al pesciolino rosso,
ostinarsi per un vecchio film di Totò che passa in TV,
non si riconosce più, nemmeno rabbia soddisfa.
Per strada non si accenderanno i lampioni stasera,
ci saranno ladri in agguato, prostitute senza illuminazione,
strade e ponti comunque da attraversare per mete
da reinventare, amori da pensare, guanti da indossare
per non lasciare impronte sul libro che si abbandonerà
per te che mai passerai di qua, ignara perfino esistano
certi sguardi rubati da una fessura, le dita che girano
la chiave in toppe di case che hanno solo la facciata.
“Accetto il regolamento del contest-sezione A-poesia”
ROSA DEI VENTI
Rosa dei venti ,
compagna del mio navigare,
quando minacciosa impreco
contro la crudele realtà ,
e quando il cielo benevolo
dà voce ai sentimenti,
sempre mi guidi,
spinta che proviene da fuori,
faro nella notte.
Vento di Levante,
Sole che si affaccia all’orizzonte
e una luce scintillante
saluta una nuova vita,
“aurora, delle muse amica”.
Vivace vento di Ponente,
candida stella della sera,
mite curvi verso Ovest,
ti fai chiamare Espero.
Vento del Mezzogiorno,
energia spirituale
che mi prende tra le braccia,
dono inafferrabile che
spazzi via le nubi intorno .
Soffio di Tramontana,
il cielo è rosa,
vento che porti l’inverno;
Stella polare,
sorta all’orizzonte,
su cui lo sguardo posare.
Accetto il regolamento Sez. A
Nessun inchiostro
*
La notte
ritrae il mare sui mattini
in un messaggio vuoto
come il volto d’amina nascosto
nel perdersi del giorno
Nessun inchiostro versato
ha la voce di un rimpianto
e nessun vento
invocherà più ti amo.
Nel meridiano il capo
è l’ombra al mio diletto, il guardo
che al cielo ha capovolto la deriva
la mano
non scrive più stagioni
alla mia sponda
e l’urlo al mio silenzio,
dal tuo silenzio
lo portano i gabbiani.
*
Nunzio Buono – Accetto il Regolamento- sez A
Mi scusi: amina (alifatica? aromatica?) o anima?
MENTRE . Stesa sul letto,
Immobile,
Lascio che il silenzio attraversi il mio corpo
Da capo a piedi.
Filtra la luce tra le palpebre chiuse
Mentre brividi d immenso
Accarezzano la pelle.
Scivolano nella mente
Gocce di sogni lunari
Mentre il sole senza tempo
Si nasconde nella notte dove volano,
Tormentate,
Le giovani falene non ancora tramutate in fate.
Morse velenose
Attanagliano lo stomaco
Mentre ingoia i bocconi amari
Lanciati dalle bocche rimpinzate dal nonnulla.
Stringono le mani le lenzuola odorose di bucato
Mentre vomito i miei sogni
Nel sussurro Dell oblio.
– accetto il regolamento, sez. A
POMERIGGIO
Passa di continuo il tosaerba.
Su e giù, su e giù
come il pendolo prima di mezzanotte.
Sulla cartina degli oceani
onde progressive generate da due mosche.
Porcellane che ridono in TV:
la solita superficie senza fondo
che si gratta senza prurito.
Fare implodere i trampolini
dopo il lancio:
cambi di retoriche in favore del nulla.
Di pomeriggio si balla anche da soli,
peccato per l’aria spolverata.
Troppe ore passate
da quando s’è levato il sole
per un capriccio del gallo.
NICOLA MATTEUCCI- SEZIONE A
ACCETTO IL REGOLAMENTO
Non so se mi è piaciuta, non so se l’ho capita. Però continuo a leggerla!
Sezione A
Accetto il regolamento
Salvatore Andreozzi
Ci investono raggi di luna –
sole che riflette sulla superficie
bianca – e in qualche modo siamo
nell’universo tanto lontano da noi,
quello di cui parliamo spesso, che
sogniamo venirci incontro (di fatto
viene): ecco, quando poi ci bacia
veemente, quando lascia tra le stelle
nere il suo cortese agire,
allora capiamo veramente – peso
sconsiderato del saggio – la sua
(nobilissima) intenzione di vita.
Siamo la prova esistente, noi –
io e te, tu ed io -, di un Dio sapiente,
tenerissimo, materno, direi,
che ci ama come si ama la pace,
come qui si brama la gioia e
la luce dopo il buio, il sereno
dopo la tempesta; e s’appresta
a farcelo presente facendosi Lui
stesso presenza, luce e gioia,
pace eterna che non conosce fine.
Il solo Fine è amare e
così chiede di fare. Senza chiedere,
Lui ci ama e ci bacia. Grande
è il suo amore, tanto grande che a
confronto l’universo è nulla,
petalo leggero che si affida al
vento in cui la voce si muove.
“Come io faccio attraverso la luce,
amate anche voi: è nel buio
che i vostri fratelli necessitano
della guida vostra. Tendete la
la mano e amate”. Così facemmo
e nuova vita fu.
Sez. A
Autunni decadenti
Sui tuoi passi incerti
hai costruito un mondo
fatto di spasmi e di conchiglie perse.
Ti sei inoltrato su montagne brulle,
mangiando pane di farine grezze
bagnato d’olio di uliveti arcani.
Adesso sogni di orizzonti estesi,
di quando l’uomo si nutriva d’aria,
cercava amore sopra prati verdi,
mirando lune in notti fredde e intense.
Ora ti fermi e vivi di ricordi
pensando ai tempi dell’innocenza,
dell’abbandono e della timidezza,
di quando ancora tenevi fra le mani
le foglie secche degli autunni ambrati.
Senza speranza e senza più ragioni
Ti ergi a Dio anche se sei uomo
ma la natura che hai deturpato
ti lascia solo, triste e abbandonato!
Accetto il regolamento
Chi è stato?
Il corpo era disteso davanti al lavandino. La cucina era così piccola che il Commissario aveva fatto spostare tavoli e sedie – dopo le foto di rito – per permettere alla Scientifica di muoversi, altrimenti tutti non ci sarebbero stati lì dentro.
La donna aveva una ferita da taglio sulla schiena. Il coltello ai suoi piedi, dalla lama lunga e seghettata, era sporco di sangue e briciole. Era infatti uno di quei coltelli per affettare il pane. Pane che si trovava ancora sul tagliere sopra il lavandino.
«Sarà stata sorpresa alle spalle mentre preparava la colazione. Il marito dov’è?» chiese il Commissario, rivolto all’agente Franchi, giunto per primo sulla scena.
«È salito in camera da letto appena siamo arrivati. Ha detto che non voleva ostacolare le indagini. Ha chiamato lui in centrale: quando è sceso per fare colazione, l’ha trovata così. Dice che non ha toccato niente e che comunque è a disposizione per qualsiasi domanda.»
«Bene, allora andiamo da lui.»
Sul primo scalino li sorprese l’inconfondibile rumore di uno sparo.
Il Commissario affrontò di corsa le scale, ma la sua forma fisica non era delle migliori, così si ritrovò senza fiato di fronte a quella che immaginò fosse la camera da letto. Franchi fu subito alle sue spalle e, estraendo la pistola, lo precedette e aprì lentamente la porta.
L’uomo disteso sul letto indossava un pigiama di lino blu scuro, ma la macchia di sangue che si stava allargando sul suo petto era ben visibile.
«Respira ancora – disse l’agente – chiamo un’ambulanza!»
«No – sussurrò l’uomo – non c’è più tempo. Non ho ucciso io mia moglie, è stato lui. Poi si è liberato anche di me…»
Continuò a respirare a fatica per qualche minuto, ma quando arrivò l’ambulanza era già morto.
«Commissario, ha detto “lui”, ma “lui” chi? Qui è tutto sigillato. Anche la finestra. E poi siamo al primo piano. Dal basso non può essere entrato nessuno, c’eravamo noi, lo avremmo visto. Non può che aver fatto tutto da solo.»
«Peccato però non ci sia pistola o altra arma da fuoco qui dentro» sospirò il Commissario, «mentre parlava indicava qualcosa sul comodino. Oltre alla sveglia e agli occhiali c’è un foglio di giornale ingiallito. Leggi un po’!»
Franchi si avvicinò: «E’ del 1947 e in prima pagina c’è la foto del presunto extraterrestre dell’Area 51, quello dell’incidente di Roswell. Commissario, quest’uomo era pazzo! Conservava un giornale di settantacinque anni fa e credeva ai marziani.»
«Eppure non si è suicidato.»
Il Commissario si era raccomandato che per il momento non uscisse alcun riferimento agli ufo e a quell’articolo di giornale, ma di restare sul vago, accennando al classico omicidio – suicidio. Ma si sa, i giornalisti – quelli bravi – non mollano e certi agenti (non Franchi!) hanno la lingua lunga, quando si inumidiscono le dita per contare i soldi delle mazzette.
Così i titoli sui giornali dei giorni successivi non usavano giri di parole: “E’ un ufo l’assassino della villetta?” – “E.T. è tornato per uccidere?”
Il Commissario era tempestato di telefonate di pazzi avvistatori di oggetti volanti non identificati e di pseudo investigatori convinti di poter rintracciare l’assassino.
«Qui ci mancano soltanto Mulder e Scully, poi hanno chiamato tutti!» strillò il Commissario, ormai esausto.
«Ha pensato invece che potrebbe trattarsi di un ectoplasma? – gli chiese un uomo in doppiopetto grigio, con gli occhiali blu e un ciuffo avvitato di capelli bianchi – Sa, quando ci si trova in pericolo, è difficile distinguere un extraterrestre da un fantasma. Sono entrambi sul verdino, un po’ raggrinziti e si muovono veloci.»
«Ma lei chi è? E chi l’ha fatta entrare? Siamo in una gabbia di matti, dico io!» esplose il Commissario.
«Tesoro, ma cosa urli? Ti sei di nuovo addormentato davanti alla tv?»
Daniela Giorgini – Sezione B – Accetto il regolamento
Signora Giorgini, è inutlle che cerchi di confondere le acque fingendo che sia tutto un sogno: è chiaro che il colpevole è Luca Daelli, lo scrittore protagonista del mio racconto (è il primo)
DENTRO IL FIORE DELLE STAGIONI
Alzare il calice di un fiore
è un gesto estremo
in cui profumo e odore
firmano un condensato di colore.
Un angolo in cui il sole
divora metri d’estate
mentre il generale inverno
annienta ogni avviso di speranza.
E il vento di primavera
avido artista nel nutrirsi di corpi e fiati
ricorda il pavido autunno
nel tracciare l’inevitabile declino costante.
Tutto tace nella mia luce
tutto scorre in quella danza
sotto il velo di un viso rubato
dentro il senso della riunione.
Ogni ramo scuote la stima
Ogni gemma apre il sipario
Ogni foglia si apre al mio vento
Mentre il tempo scivola lento.
Acqua, acqua, sempre acqua
nella corsa della vita
scoprendo la potenza del nerbo
liberando la forza del verbo
Sogno
Il magico incanto
del fiore delle mie stagioni,
ancora una volta, una volta ancora.
Maurizio Alberto Molinari
Accetto il regolamento – Sezione A
Una serata all’Ideal bar
Restiamo Maurilio ed io, silenziosi davanti ai bicchieri. Maurilio ha le borse sotto gli occhi rivolte verso il pavimento.
“La prossima settimana ho qualche giorno di ferie e vorrei cambiare aria”, gli dico.
“Anch’io dovrei scendere giù in Ascoli, è molto che non vado”.
“Ricordo quella volta che arrivai da te alle tre di notte e tua mamma mi fece dormire in salotto”.
“Come va con le aste?”
“Ormai urge un altro lavoro”.
“Da che parte andresti?”
“Cesidio mi ha chiesto se preferisco la costa azzurra o Parigi”.
“Perché non vai sui laghi?”
“Da solo?” Taccio. Ci andai con la Solarina.
“Un ultimo giro?”
“OK”.
“Che ne pensi di Datchenkova?”
“È bella. Credo che sia anche una brava violista”.
“Ci vediamo lunedì?”
“Si, tanto non credo che parto”.
“Che ti diceva Cesidio?”
“Che lavora con un big dell’Onu”.
“Ma non faceva lo chef?”
“No, ha parlato di banche e di società finanziarie”.
“Non è che volesse un prestito?”
“Mah! Più che altro potrei essere io…”
“Hai più visto la mora di Imola?”
“No, è tanto…”
“Era una bella figa, però”.
“Bè, sì”.
“Ti eri anche…”
“Magari sì”.
“Era anche un po’ puttana… meglio, o no?”
“Forse, probabilmente sì”.
“Si va? Denis ha già messo fuori il rusco”.
“Per il resto?”
“La solita, devo andare a Milano per un congresso”.
“Quando vai?”
“Fra quindici giorni, devo parlare della fecondazione artificiale”.
Ci avviamo sotto il portico.
“Com’è andato il Natale?” Gli chiedo.
“In famiglia, e tu?”
“La casa d’aste ha macinato molto. La settimana prossima non lavoro”.
“Ho sentito che avete una gran gnocca, come aiutante del capo”.
“Chi? L’Yvonne? Sì, è una bonazzona, ma credo che andrà via presto, non sopporta Loschi”.
“E tu?”
“Un po’ stronzo ci è”.
Ci salutiamo lì, al semaforo. La notte è fredda, mi accendo un toscanello per scaldarmi le dita.
Decido di andare a casa a piedi, ci sarà da attraversare mezza città. In San Vitale passo davanti alla farmacia, mi chiedo dove sarà la dottoressa. Certo è la più bella farmacista di Bologna.
Accetto il regolamento, sez. B
POLONAISE
ROCCO GIUSEPPE TASSONE
Attraversando la veneziana la rossa luce del tramonto, in una sera d’estate calabrese, illuminava a chiazze ardenti la camera da letto.
Il lenzuolo di seta sagomava un flessibile corpo che sinuosamente si muoveva al motivo della Polonaise di Chopin.
La fresca seta si rotolava stringendo il suo contenuto da farlo traboccare come la soffice spuma dal bicchiere.
Soffocato un sospiro a ritmo incostante accompagnava un dolce gemito d’amore.
E tra la penombra i merletti ed i pizzi restavano muti!
Polonaise era una giovane donna stimata ed amata. Anche la natura era stata fin troppo magnanima dando ad ogni curva la giusta piega ed ad ogni neo il suo pregio.
Gli occhi felini, velati da un incognito desiderio, spesso vagavano nel vuoto segnando con le labbra un enigmatico sorriso.
Sul lavoro era un simbolo: pronta a qualunque novità e situazione.
Molti uomini restavano affascinati ma Polonaise apparentemente lontana da ogni sentimento con un sorriso chetava gli istinti sprofondando dolcemente nella sua solitudine.
Il suo io, profondamente segnato da un’insaziabile nascosta passione, conviveva con una struggente storia d’amore.
In ufficio spesso si ritirava in bagno solleticata da un pungente fuoco che improvvisamente si impadroniva del corpo e di ogni ragione della povera donna e quando usciva era una vampata di rossore che piano piano sbiadiva mentre l’affannoso respiro ritornava alla normalità.
Poi la sera, rifiutando ogni svago con gli amici, correva a casa, qualcuno ansioso l’aspettava: la sua perversione.
Si tuffava nel suo morbido letto lasciando che il suo corpo, accarezzato dalla penombra al suono delle note polacche,scivolasse sulla seta e con essa perdersi in struggenti e narcisistiche visioni.
Solitudini interrotte da mille fuggitivi immagini di corpi avvinti e desideri timidamente nascosti alla luce ma focosi al silenzio ed all’atonia della seta.
E tra la penombra i merletti ed i pizi restavano muti ad ascoltare passionali respiri che si accavallavano a soffocate parole, al cigolio del letto e a pensieri di freschi ruscelli montani: magari spegnessero il fuoco che bruciava anima e corpo!
Poi quella sera il lenzuolo di seta, dopo aver rotolato in grande confusione, finì con l’irrigidirsi e un sonno profondo portò con se ogni segreto amore.
E tra la penombra i merletti ed i pizzi restavano muti mentre Polonaise libera dalla sua ossessione si volò nell’aria finalmente parca!
– sez. B, accetto il regolamento
Sezione B : “Anemone com Amur”
Una lieve brezza accarezzava la superficie dell’acqua, un soffio delicato in grado di generare un movimento lento, cadenzato, un moto armonico che si infrangeva sulla barriera corallina generando un’esplosione di bianchissime bollicine, trasportate via dalla risacca e accompagnate da un inconfondibile rumore, melodia di pace per chi dall’esterno si lasciava da essa catturare, meraviglia della vita per chi l’interno aveva la fortuna di abitare. Era così il reef, segnava il valico tra tre mondi, quello esterno oltre il pelo dell’acqua, quello dell’immenso e profondo oceano, con i suoi toni intensi e misteriosi e quello della barriera corallina dove il blu cobalto dell’oceano virava in verde smeraldo. Solo la notte era in grado di mescolare e confondere mondi e colori, una sorta di pausa che riaccendeva la meraviglia alle prime luci dell’alba, dando nuovo splendore ad ogni cosa, ed in particolare a quello che ai più era celato, al mondo sommerso. Succedeva ogni giorno, ad ogni sorgere del sole che impavido colpiva la superficie dell’acqua, penetrandola e scaldandola con i suoi raggi, tentacoli dorati che si diramavano come rete sul fondale in un tripudio di riflessi vibranti, capaci di esaltare sfumature e forme di ogni tipo.
Tutto prendeva così vita, tutto si accendeva di scintillanti colori, tutto esprimeva incanto e bellezza.Sul lato nord del reef, incastonata tre le rocce, tra un corallo rosso ramificato che mostrava la sua bellezza ancestrale e una colonia di ostriche giganti che nei momenti di tranquillità si aprivano al mondo lasciando intravedere riflessi multicolori della madreperla, vi era una bizzarra forma di vita, formata da una base larga e tozza su cui si muovevano centinaia di morbidi tentacoli di color bruno/arancione. Era un’anemone, un’essere invertebrato da cui tutti si tenevano alla larga poiché dotata di un veleno urticante che risultava pericoloso per la maggior parte delle forme di vita esistenti.
L’anemone aveva un’anima, non possedeva occhi, non poteva guardare come altri, ma sentiva, sentiva tutto ciò che aveva vita intorno a lei e proiettava il suo incredibile senso per dare forma ad ogni cosa. Era affascinata da tutto ciò che la circondava. Si proiettava oltre il reef dove percepiva la fredda e intensa acqua dell’oceano, percepiva la maestosità di certi cetacei di passaggio, percepiva i colori, la gioia dei branchi di pesci, dei delfini, l’orgoglio e la vanità de coralli, la ricchezza delle ostriche giganti, la danza delle meduse, l’abilità dei crostacei, la regalità delle mante che passavano eleganti tagliando l’acqua con le loro ali, percepiva quasi tutto e ne era innamorata… e poi percepiva se stessa, un essere informe, privo di bellezza, di colori, un essere inutile. Ogni giorno della sua vita lo passava così, chiedendosi perché non fosse bella come il resto degli abitanti del reef…Si sentiva brutta, ogni giorno più brutta, ogni giorno più inutile, una malattia che lentamente ma inesorabilmente la consumava dall’interno, una malattia che col tempo la portò a spegnersi, ad annullarsi, un modo per autoescludersi da un mondo in cui era certa di non avere un ruolo, in cui avrebbe percepito solo e sempre la gioia e l’amore delle altre forme di vita e mai la sua, perché non era e non sarebbe mai stata come loro, perché loro erano belle, erano utili, erano amate… Morì così l’anemone, sognando di essere migliore, sognando di essere diversa da che era stata.
Pochi giorni dopo la sua morte, la sua carcassa si staccò dall’insenatura scavata nella roccia che l’aveva accolta e custodita per molto tempo. Nessuno si accorse della sua assenza, ma tutti si accorsero di una visibile presenza in quell’incavo di roccia, una presenza colorata di bianco e di arancione, una presenza tremula nei cui occhi lucidi si percepivano disorientamento e paura. Era un pesce pagliaccio. Era colui che per anni aveva abitato l’anemone, troppo impegnata a proiettarsi oltre per percepirne la presenza. Il pesce pagliaccio aveva trovato casa nei suoi tentacoli urticanti, ne era immune a differenza di altri e in essi aveva trovato conforto e protezione. Non aveva mai guardato oltre la sua anemone, aveva vissuto ogni attimo per lei, fissando i suoi occhi in lei, accarezzandola, ripulendola dalle impurità che si depositavano sui suoi tentacoli, addormentandosi con lei e risvegliandosi con lei ogni giorno.
C’era un mondo bellissimo oltre loro, ma il pagliaccio non l’aveva mai neppure guardato, poiché nulla era più bello della sua anemone, l’amava profondamente, amava tutto di lei. Ciò che il mondo esterno poteva percepire come bizzarre storpiature o difetti, per il pagliaccio erano splendide particolarità. Amava ogni cosa ripetendo ogni giorno a se stesso di come non avesse mai visto nulla di più bello.
Ma la sua anemone aveva deciso di lasciarsi andare ed era scomparsa, svanita nel nulla, inghiottita dall’oceano freddo ed incurante del suo amore…
Si rannicchiò in quell’insenatura il pagliaccio e lì restò infreddolito e impaurito.C’era un mondo bellissimo intorno a sé, ma ad ogni sorgere del sole i suoi occhi lucidi e neri non vedevano altro se non il ricordo della sua anemone. La rivedeva in ogni cosa ed ogni cosa gli confermava una sola e triste verità: nulla era più bello ed importante della sua anemone, nulla, nemmeno la sua stessa vita.
In una notte di luna piena, mentre il reef si rivestiva di una livrea bianco/bluastra in grado di esaltare la danza dei trasparenti crostacei e delle bianche meduse, una piccola luce si staccò dall’insenatura posta nello scoglio, scivolando lenta, giù verso il nero fondale del reef: era il piccolo corpo esanime del pagliaccio, sulle cui sfumature pallide si rifletteva la luna, che dopo giorni di digiuno e attesa, con un’ultima danza inconsapevole, salutava la vita e volava via, via verso il suo amore, via verso ciò che desiderava più della sua stessa esistenza, ció che di più bello i suoi occhi avessero mai visto in vita, la sua bellissima ed insostituibile anemone.
” Accetto il regolamento del concorso”
SENZA FILO SPINATO
Dormi bambino sognare si può!
Nessuno potrà tarpare le ali
ad Oniro.
Culla pure le tue emozioni
dal bianco e nero al colore
e dormi
libero pensiero
senza filo spinato!
Cav Rocco Giuseppe Tassone, accetto il regolamento, sez. A
Sezione A : L’arcano di fronte alle stelle”
Si perdono i contorni
profili indefiniti
nel silenzio della notte.
Noi due…
metafore evanescenti
che scompaiono a poco a poco
fino ad unirsi nella dolcezza
di un abbraccio
Il mondo intorno non esiste
e tutto si veste di mistero
il mistero di labbra che si cercano
per diventare una cosa sola
il mistero di due ombre
senza tempo e forma
pura essenza di anime
che si librano verso le stelle.
Accetto il regolamento del concorso.
ACCETTO IL REGOLAMENTO, sez. A
MUSA AGRIGENTINA
Sinuosa veniva dai trinacri Templi:
guance di pompelmo rosa,
su di una pelle bianco perla;
spuma bruna d’onde marine
i suoi ricci d’onice
sconvolti dal Libeccio, insolente.
Mai seppi il di lei nome
e neanche lo volli,
ma vegliardo già nel cuore,
ancora mi sovviene
ciascuno dei mille fiori
che coloravano vivaci
la sua sottile veste,
leggiadra …
Questa è una terra sconsacrata – SEZ. B (Accetto il regolamento)
Erano due ore circa che giravamo in macchina
senza meta alcuna per le strade di Riviero.
Io e Augusto eravamo capaci di passare
intere nottate così,
a parlare del più e del meno e a goderci il paese
che possedeva davvero una bellezza infinita,
con i suoi sette castelli, le piazze e gli angoletti inesplorati.
Ogni volta potevi scoprire qualcosa di nuovo a Riviero,
in mezzo alle montagne e ai boschi.
Ci spingemmo appena fuori dal paese immersi nel buio.
Soltanto i fari dell’Audi di Augusto
squarciavano le tenebre.
“Ehi aspetta, cosa ci fa Luce
tutta sola su questa strada?”. Fu come una folgorazione.
“Sta facendo il suo lavoro ovvio. Tu che pensi Fabio?” rispose il mio amico.
Luce era una ragazza stupenda,
con dei bellissimi capelli biondi
un corpo da sogno e un viso altrettanto meraviglioso.
Era una prostituta.
Io e Augusto avevamo avuto una relazione con Luce,
durante diverse estati.
Una relazione vera intendo,
senza spendere un centesimo per avere
il dono di quel corpo stupendo.
Non cercammo mai di dissuaderla dal fare il suo mestiere,
visto che si trattava di una sua esplicita scelta.
Ricordo che il suo corpo aveva in sé l’essenza della fioritura
e la bellezza stessa dei fiori,
una bellezza sbocciata pienamente e non a metà,
una bellezza che poteva farti impazzire.
Non era italiana, veniva dall’Europa dell’est.
“Augusto non mi piace questa cosa,
è quasi sulla strada ed è piuttosto strano
che non abbia almeno acceso il fuoco.
Saranno secoli che non la vedo torna indietro per favore”,
“Fabio forse hai ragione. Andiamo a vedere”.
Accostammo con la macchina e lei si abbassò per parlarci
“Ehi ciao ragazzi è bello rivedervi!
Sapevo che sareste passati,
non vorrei creare disturbo ma me lo dareste un passaggio?”,
presi la parola “Non stai lavorando?”,
“Veramente no, ecco io stavo aspettando un’amica
ma ha dato forfait proprio all’ultimo”.
Quella spiegazione non mi convinse.
“E perché la stai aspettando qui tutta sola,
quasi sulla carreggiata dove possono perfino investirti?
E poi cos’è tutta questa riverenza?
Come puoi disturbarci te che sei il fiore dei nostri anni?”,
“‘Avanti sali” disse Augusto che poi aggiunse
“Perché non sei in un luogo più sicuro?”,
“Semplicemente non mi andava che qualcuno degli altri mi vedesse,
sono tornata da pochissimo
e le uniche persone che ho voglia di vedere siete voi due”.
“Dove devi andare?” le chiesi,
“Fra venti chilometri c’è un incrocio, li girate a destra
e poi sempre dritti”.
Né io né Augusto avevamo capito di quale incrocio si trattasse.
Forse perché quell’incrocio non c’era mai stato.
Eppure, dopo venti chilometri esatti
lo vedemmo proprio dove aveva detto Luce
e girammo a destra come ci aveva chiesto lei.
Non eravamo ubriachi ma non ricordavamo affatto
che ci fosse un incrocio lì.
Percorremmo altri venti chilometri
e poi dopo aver parlato e scherzato con noi per tutto il tragitto,
improvvisamente Luce si fece seria
e i suoi occhi divennero lucidi.
La strada asfaltata era finita.
Appena oltre scorreva il fiume con le sue acque gelide.
“Io scendo qui ragazzi, grazie per il passaggio”.
Augusto era visibilmente preoccupato.
“Ma sei nella desolazione più infinita, non c’è niente qui
a parte il fiume”,
“‘Mi verranno a prendere state tranquilli, vi fidate di me?”.
Non dicemmo una sola parola.
“Un’ultima cosa ragazzi. Non cercate mai più questa strada,
perché non la troverete.
E per quanto riguarda l’incrocio che non ricordavate che esistesse,
non lo vedrete mai più.
Potete solo tornare indietro e mi raccomando
fatelo al più presto o resterete per sempre qui
e questa è terra sconsacrata”,
“‘Luce ti prego torna con noi, questo posto non mi piace,
se qualcosa è andato storto possiamo risolverlo insieme.
Luce amore mio, Luce. Parlami per favore,
dimmi che non resterai qui…”.
Prima ancora di finire la frase
Augusto mi richiamò all’attenzione “Fabio, stai parlando da solo,
Luce è sparita…”,
mi voltai e sul sedile posteriore non c’era nessuno,
poi guardammo dritto di fronte a noi
e la vedemmo, per l’ultima volta,
di spalle con le braccia spalancate,
in piedi sulla sponda del fiume,
dove un istante dopo si lasciò cadere.
Sentii il cuore spezzarsi.
Scendemmo dalla macchina
e ci avvicinammo di corsa alla sponda.
Le acque del fiume scorrevano impetuose
due metri più in basso.
Caddero lacrime dai miei occhi che bagnarono il suolo.
Guardai a terra e vidi una candelina accesa
in un piccolo contenitore di latta e al suo fianco
una lettera chiusa,
tutta bianca.
L’aprimmo e dentro trovammo un foglio con scritto qualcosa:
Quello che avete visto è accaduto tanto tempo fa.
Il mio sacrificio fu volontario.
Nessuno pianse mai per me.
Nessuno, prima d’ora.
Il tuo pianto è l’acqua del mio battesimo.
Le tue lacrime scorrono nel mio cuore
più impetuose di questo fiume.
Adesso questa terra è consacrata.
ACCETTO IL REGOLAMENTO, sez. A
QUANDO LA PIOGGIA DILAGA
A nulla serve l’ombrello
quando la pioggia dilaga
quando il silenzio è una crosta
che sfalda a colpi di scroscio
se s’appropinqua la bocca
al tuo sospir che m’assorbe
come un risucchio dell’aria
nel rinserrar le finestre.
Abominio
Ho provato stamane a descrivere
con parole
l’assurda atrocità della guerra
ma invano.
Ed anche ora,
in questo sospeso istante
di serenità e di pace,
non vedo nulla
se non una drammatica assenza di luce
e un silenzio pesante, assordante.
Una madre piangendo, stringe a sé
del figlioletto, il corpo morto;
arti strappati, visi mutilati,
l’urlo senza voce di un animale
ferito al petto, frammenti di granate,
membra spezzate,
bocche spalancate,
un grattacielo su sé stesso rovinando cade,
il cielo cinereo che moribondo s’apre.
L’orrendo Minotauro impera
roteando occhi d’una mostruosità cieca.
Nessun colore
solo muto orrore,
tutto l’Universo d’abominio intriso
grida la sua disperazione.
Serena Pusceddu
Copyright – ottobre 2023
SERENA PUSCEDDU
SEZ. A
Accetto il regolamento.
Toni Mercuri, accetto il regolamento, sezione A
Anima mia
Ti adoro anima mia,
come i frammenti di un quadro sprigioni senso
dalla fuggevole intuizione d’insieme
Sono un uomo,
come tutti attendo solo di imprimere sulla terra
il segno del passaggio sfuggito
all’ammissione di esistenza
Il significato è polvere
azione minima in conformità con le pulsioni ischemiche
Un fiume, come l’Istro di Holderlin,
un fiume che muove verso la foce e verso
la sorgente
attimi si formano in gorghi di stasi contrasto e movimento
in cui si procede a futura curvatura di tempo
Il presente è abisso in acque di singhiozzo
il passato si leviga in bave di spazio
stringhe l’identità
Effrazioni d’interni in stanze di vocaboli
come voliere;
ordinare le questioni metafisiche:
annaffiare il limone
pagare le tasse
stropicciarsi in un colpo di tosse,
scovarti quel tanto
dentro il coccio di un vetro
E piove sangue.
Molto lontano, in un’ignota parte di un mondo sconosciuto
dove credi che nessuno meriti il tuo accorato pianto,
sotto ad un qualche cielo polveroso, nero fumo ed amaranto,
ci sarà un silenzio profondo e fra le macerie si chiederà aiuto.
Le strade saranno sofferte e polverose, piene di detriti ed affollate,
ci sarà povera gente che fuggirà, che cadrà e perirà sotto le granate.
Odore di morte e di bruciato, ore eterne di dolore e d’abbandono,
di popoli atterriti ed umiliati portati via e non si sa mai dove
e tutt’intorno è il grido di una e mille nazioni e di un sol uomo
ed intanto lacrime e sangue ovunque e piove e piove e piove.
Accetto il regolamento
Sezione “A”
E la nebbia s’insinua e si appiccica ai vestiti lasciando addosso quella sensazione di freddo e solitudine.
E’ un’atmosfera molto inglese che sale lenta come un fantasma, ombra e gelo sulle rose sfocate e lungo i vicoli solitari e stretti che portano al mare e sulla collina si intravvedono imbronciati castagni ed ulivi…tra le siepi e gli arbusti regna il mistero, fruscii e profumo di terra bagnata.
Distante lampeggia quel piccolo faro per dar luce ad un mare ormai in tempesta dove si inseguono instancabili e minacciose le onde e la furia del tempo.
Ho camminato a lungo quella notte, ho camminato per i campi incolti dietro casa, fra l’erba umida ed il vigneto in crescita con il gelo nelle ossa ed il cielo buio negli occhi.
Ho camminato fra ingannevoli ed agonizzanti luci di un vecchio lampione che emanava strani bagliori e che nulla sembrava riuscisse a rinvigorire.
Alla ricerca di un domani migliore, ho camminato nell’attesa di frantumare sogni e parole scrivendo in silenzio mezza poesia, solo mezza o forse meno, perché anche i pensieri fanno rumore.
Lucilla Vezzi
Accetto il regolamento, sez. B
18/10/2023
Sei tornata, finalmente! Sez B Accetto il regolamento
Un tonfo e le scarpe di vernice sbattono contro il muro. Sbottono la gonna, la lascio cadere, la raccolgo e la butto sul letto. Con un gesto rapido sfilo il top trasparente, calze a rete, tanga.
Mi guardo attorno: nessuno mi fissa.
Mi metto davanti allo specchio. Le ciglia finte: via. Il palmo della mano avanti e indietro sulla bocca; le macchie rosse sulla faccia. Sputo su un fazzoletto e sfrego le labbra, le guance, gli occhi.
Così mi dico, ancora, ancora…
Le dita sono artigli che s’infilano tra i capelli, li agguantano e tirano, tirano finché la parrucca si stacca. La butto sul pavimento e la calpesto come erba secca.
Alzo gli occhi: i riccioli scuri sono appiccicati alla testa. La faccia è pulita. Sussulto. Mi guardo e mi riguardo: “Hada!” urlo.
Non è possibile, è proprio lei la figura che ho davanti! E’ dimagrita e sulla pelle ci sono segni. Fisso lo specchio. Gli occhi sorridono, la bocca si muove.
“Sei tornata finalmente! E’ da tempo che t’aspettavo!”
Sorrido e lo sguardo percorre piano il corpo nudo: il mio corpo. Lo accarezzo come la mamma il bimbo.
D’ora in poi ne avrò cura, mi dico, lo giuro.
Nell’armadio vuoto afferro slip, reggiseno, jeans, maglietta, scarpe da ginnastica e li indosso. Ansiosa guardo lo specchio: Hada è ancora lì. Nimia invece non c’è più, è volata via come un uccello; di lei restano solo piume sparse nella stanza.
Le valigie sono pronte nel corridoio, le riapro nel timore di aver dimenticato qualcosa.
Le mani frugano nella borsa dei vestiti. Gli occhi passano in rassegna biancheria intima, maglie, camicette, jeans: sono per le mie sorelle.
Le scarpe, invece, per la mamma. Avrei voluto comprare di più, ma…i soldi.
Apro la borsa grigia; odora di saponette, di profumi, di trucchi. Li conto. Dovrebbero bastare per le ragazze! Le vedo corrermi incontro e circondarmi come galline affamate.
Nella borsa amaranto ci sono zucchero, caffè, riso, e caramelle per i bambini.
Ho dimenticato la cioccolata. Non importa, il caldo la scioglierebbe.
Il mio zaino, invece, è mezzo vuoto; poche cose alla rinfusa e sopra a tutte la maglietta di Rose. Fino all’ultimo ero certa che l’avrei lasciata nell’armadio; unica foglia di un albero spoglio. Poi, l’ho afferrata.
La storia di Rose è un filo col passato e una cicatrice sul mio corpo. Non posso dimenticare ciò che sono stata e una cicatrice non si cancella.
Il cuore corre come una Ferrari quando apro l’ultima borsa: quella di carta a quadretti bianchi e rosa.
L’indice della mano sfiorava la vetrina.
“Voglio quello!”
La signora sorrideva.
“Sei fortunata! E’ l’ultimo rimasto”
In un attimo l’orsetto era sul banco, un fiocco rosso al collo. Ho affondato le mani nel pelo morbido.
“A tuo figlio piacerà, vedrai”
La donna mi leggeva nel pensiero. L’ho guardata, gli occhi lucidi. Anche lei mi guardava.
“Ti capisco anch’io sono una madre”
Una madre? Avrei voluto dirle che si sbagliava che io ero solo…una puttana.
Giro e rigiro tra le mani il sacchetto a quadretti; di colpo vedo Afia che mi viene incontro e sento la sua voce.
“ Hada! Hada! Cosa mi hai portato? Che cos’è quello?”
E la mia che le spiega che quello è un animale, ma non vive in Africa perché il caldo non lo sopporta.
Chissà se un giorno Afia mi chiamerà mamma.
Mi alzo e vado in cucina: è vuota e silenziosa. Non ci sono più i battibecchi delle ragazze, i discorsi senza senso, le risate.
Mi affaccio alla finestra, il taxi è arrivato. Sposto le borse sul pianerottolo e guardo la casa dove, come un serpente, lascio la mia vecchia pelle.
Chiudo la porta. Mi carico i bagagli sulle spalle, scendo le scale. L’atrio è buio. Apro il portone e schizzo fuori come da un utero nero e cattivo.
I miei primi passi sono incerti, lenti, silenziosi…
Raga, quanto è bella
Vincenzo Patierno
Accetto regolamento – sez A
A settembre
Bacco bandisce
le sue feste, tra
banchetti e nuziali
degli uomini, ubriachi
dei fumi di un’estate,
sorda al tramonto.
Mutano i colori,
si migra dai tetti
e dalle spiagge, non son
più mute le città
e brille son le vigne.
Aspetto …
In solitudine nell’oscurità
Mi espongo a sguardi
Occhi che vedono oltre
Si perdono dietro a fiumi
D’Insulse parole
Immerso in questa atmosfera
Aspetto che tutto passi
Mentre l’orologio batte le ore infinite
Antonio Pittau
Accetto il regolamento, sez. A
“Alice senza giardino”
Sono una persona disarmata, nonostante l’età. Ho fatto la maestra, la moglie, la madre. Sono figlia di gente semplice, ma a modo mio mi sono acculturata. Ho una vita votata al sapere, ma non studio per ambizione o arroganza, solo per curiosità. Durante il mio umano tragitto, ho meritato come tutti felicità e miserie. Tra le miserie annovero lutti, delusioni e abbandoni. Tra le felicità ripongo due libri di poesie e un romanzo che ho scritto. Personalmente ho anche molte ambivalenze e contraddizioni, tra le quali quella di essere un po’ Alice e un po’ strega, essendo tra l’altro beneventana. Tuttavia in me prevale quasi sempre la sempliciotta Alice. Come mi sono formata? Su banchi di legno, al catechismo, ai dettami categorici degli adulti e dei genitori: “Questo si fa, questo no!” Senza spiegazioni. La storia l’ho appresa sui sussidiari, poi sui libri delle scuole “alte”. Su quelle pagine si capiva sempre che al mondo ci stanno i buoni ed i cattivi. Era facile distinguerli. Ora non più! È tutto così ambiguo, specie per persone che non hanno avuto il privilegio di studiare un po’. Dunque, oggi non ci sono più gli eroi di una volta. Lo stesso evento cambia a seconda del canale che lo trasmette. Ma la ferocia effettiva che viene dalle zone di guerra è uguale sempre. Venendo a conoscenza di certi massacri, ti chiedi se appartengono al passato, ai giorni nostri o accadranno in futuro. E i bambini contemporanei? Alcuni vanno all’asilo; altri, finiscono in brutti, scandalosi video per la violenza inaudita che subiscono. E le mamme e i padri? Diventano di gesso come manichini! Il dolore è un vero e proprio assassino del cuore. E’ un mondo quello in cui viviamo fatto di bluff e bugie, dove tra l’altro assistiamo alla violenza usata come arma strategica. E l’Alice che sono io, ad un certo punto, quando la misura è colma, come un automa si alza e spegne l’apparecchio trasmittente.
– accetto il regolamento, sez. B
Bene! Adesso aspetto che si palesino Thea e Rosita Matera!!
Notti di luna china Notte di luna Piena
E rispiru u sciavuru to E respiro il profumo tuo
in chista notti di luna china in questa notte di luna piena
mentri curri e vannia lu pinseru mentre corre e grida il pensiero
quannu lu iornu passa quando il giorno passa
Mi sentu li vrazza pisanti Mi sento le braccia pesanti
e la ma vuci ca prima cantava e la mia voce che prima cantava
ora si nascunni tra lu chiantu ora si nasconde tra il pianto
di vecchi e duci riordi di vecchi e dolci ricordi
Minnagghiri assai luntanu me ne devo andare molto lontano
senza lassari nenti a la sorti sena lasciare nulla alla sorte
ma sta notti di luna china ca cangia ma questa notte di luna piena
mi riporta sempri nni tia mi riporta sempre da te
sez.A – accetto il regolamento
L’UMILTA’ RENDE SAGGI
Una lumaca strisciava lenta sul verde tappeto erboso del boschetto e una lepre invece correva veloce tra gli alberi e i cespugli.
Quando arrivò vicino alla lumaca si fermò e la derise: tu vai così piano che nel tempo che tu percorra un metro io ho già fatto un chilometro. E così schizzò via correndo e ridendo della povera, lenta lumachina.
Dopo un’ora la lepre, girovagando per il bosco, torno vicino alla lumaca e gli disse: io in un’ora ho fatto il giro del boschetto e ho visto tanti alberi, radure, siepi e fiori. Tu che vai così piano cosa hai visto di bello?
La lumachina gli rispose: in un’ora io ho visto i piccoli particolari di ogni foglia e qualche cespuglio di more e di fiori e ho visto con calma le cose belle del bosco, come il cielo sereno che traspare tra le chiome verdi degli alberi. Tu hai visto tanti alberi e cespugli correndo e senza osservarli bene, mentre io ho guardato e ammirato bene i particolari di ogni piccolo fiore e di ogni foglia.
Ho visto più cose io che tu, nonostante la mia lentezza di andatura e ricordo meglio dite quello che ho visto.
Quindi tu non vantarti di aver girato tanto il bosco se non te ne ricordi quasi niente. Io invece posso dire di aver visto molto meno, ma di
conservarne buon ricordo e ogni cosa che ho osservato mi ha fatto capire la bellezza della natura che ci ospita in questo boschetto, mentre tu hai solo capito l’innata necessità delle corse sfrenate per allenarti a sfuggire ai predatori.
Io posso fare poco per difendermi, nonostante che mi porti dietro lamia casetta per ripararmi dai nemici, ma almeno non dirmi che tu correndo vedi più cose di me che avanzo pianissimo e ho il tempo di contare i petali di ogni fiore.
Tu vedi sempre tante cose ma solo per pochissimi secondi e quindi superficialmente e non te ne ricordi quasi nessuna, mentre io ho vedo sempre poche cose e le osservo bene e ne capisco ogni loro difetto e bellezza che invece sfugge a chi tanto corre e non riesce a capire e imparare.
Sezione B – Accetto il regolamento.
CANTO DI UN POVERO SCHIAVO
(ALABAMA 1850)
Quante volte, tante,
ho sperato in Dio
che mi togliesse
le pesanti catene,
con il duro lavoro
nei campi di cotone
con i miei fratelli,
mentre i padroni
vivono felici e sereni
nella loro bella villa.
La sera sul cortile
cantiamo le lodi
al nostro signore
Dio, Gesù Cristo
e li chiameranno
canti “spirituals”.
Aezione A, poesia – Accetto il regolamento.
OH SOLE MIO!
Guardo questo sole
Che mi avvolge col suo calore,
mi scuote dal mio torpore
e sento andar via un po’
del mio profondo dolore!
Mi sento un uccello senza le ali,
che non può più cinguettare,
sbatte dappertutto e si fa male,
sono sempre sfinita,
ho perso la gioia della vita!
Guardo estasiata questo sole,
ma non sento più il suo calore,
il freddo mi avvolge il cuore
e tremo dal terrore, tutto mi fa male,
non posso nemmeno respirare!
Oh sole mio,
dammi un po’ del tuo respiro,
getta su di me il tuo splendore,
fammi star bene col tuo calore!
Oh sole mio,
ti prego non mi dimenticare!
– accetto il regolamento, sez. A
Sezione A. accetto il regolamento
La speranza
la gente passa
guarda
vede solo una vecchia finestra
con la ruggine sulle grate
vetri impolverati
muri scrostati
La gente passa senza fermarsi
perché niente
può offrire una vecchia finestra
Tu passi
ti fermi
osservi…
non vedi una vecchia finestra
vedi quello che la gente non vede
Non ti soffermi sull’apparenza
non vedi
la polvere
la ruggine
i muri scrostati
Tu guardi
vedi nel freddo cemento
l’erba che cresce
fiorisce
abbraccia le grate
Tu riesci a vedere
l’essenza della vita
dando speranza
a chi si sente
una vecchia finestra arrugginita
Teresa Argiolas
È anche ciò che capita a chi scrive: la gioia di trovare chi va oltre le apparenze
FIGLIO DI QUELLA TERRA
…lento il mio andare
avvicinati stringi la mia mano
e guardami negli occhi
diceva mio padre
questo silenzio
batte come l’orologio
della piazza grande
raccolsi lo sguardo
verso i palazzi dei ricchi
come dei corvi
accovacciati sul davanzale
dei loro balconi
all’incrocio delle due strade
i contadini a raccolta
anime in pena
in attesa del lavoro
tutti legati ad un si ed un no
di signorotti di turno
per poter lavorare
per un tozzo di pane
l’attesa
tra gli sguardi
e silenzi di tutti
guardavo come in uno specchio
mio padre
il signorotto chiamò
i piccoli occhi di mio padre
si illuminarono
a seguire altri contadini furono chiamati
ed anche per questo giorno
il pane entrava nella mia casa
affinché noi ci si possa sfamare
nel silenzio di quella dignità
figlia di quella terra
s’incammina mio padre
nei campi seminati
i suoi occhi pieni di ogni fiore
ed io solo anche oggi a seguire
i passi di un cantastorie.
IL POETA DELLA PENNA VERDE Grazio Pellegrino
Sez. A Accetto il regolamento
Francesca Santucci
LA DAMA VELATA
Racconto liberamente ispirato a Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva
Mi preme avvisare chi legge che quanto vado narrando non è frutto di mente esaltata o creazione fantasiosa dell’ingegno, ma storia straordinaria capitatami in prima persona, a Torino, nel 1797, quando militavo nell’esercito napoleonico come tenente di artiglieria.
Ancora oggi, nonostante siano trascorsi tanti anni, non so trovare una spiegazione razionale a quell’accadimento eccezionale.
Era una sera di novembre, e me ne stavo tornando in caserma, dopo un periodo di libertà, costeggiando il fiume. Come capita spesso in questo periodo dell’anno, avvolgeva Torino una fitta nebbia che impediva di distinguere in lontananza cose e persone, perciò sussultai quando mi trovai di fronte all’improvviso una creatura quasi evanescente, che riconobbi essere una giovane donna, con il volto coperto da un leggero velo color perla, che impediva di scorgerne nell’esattezza i lineamenti ma ne lasciava intuire la straordinaria bellezza.
Promanava da lei un dolce intenso profumo di tuberosa, che mi causò un momento di stordimento, dal quale riemersi per rispondere al suo preciso invito quando, con voce gentile, mi chiese di accompagnarla per un tratto di strada. Compresi subito dal suo accento che doveva essere forestiera, forse si era smarrita proprio perché non era della città, tuttavia non feci domande e, senza esitare, acconsentii.
Come rapito da una strana fascinazione, cominciai a seguirla. Lei mi precedeva di qualche passo, muovendosi lieve come una farfalla, avvolta nel suo velo leggiadro, nel suo mantello grigio chiaro con inserti di ermellino bianco e nella scia del suo profumo ipnotico.
Non parlammo molto, poche parole ci furono tra noi, ma da quelle si riconfermò in me l’idea che mi ero fatta che doveva essere straniera. Di sé mi disse solo di chiamarsi Barbara, di me le dissi che il mio nome era Enrico. Per il resto parlammo della tristezza del mese di novembre, del fiume, della nebbia, poi di colpo si fermò e mi congedò con fermezza, sussurrando una vaga domanda che sembrò una promessa:
-Fermiamoci qui. Allora, a domani?-
Portandomi la mano sul cuore la rassicurai:
-Certo, a domani!-
Prima che avessi il tempo di aggiungere altro, sparì, come inghiottita dalla nebbia, lasciando nell’aria il suo profumo che già per me sapeva di nostalgia. La cercai con lo sguardo, fissando nella direzione in cui era sparita, ma nulla vidi, solo, quando, come d’incanto, la nebbia si dissolse, la luna piena, che in tutto il suo splendore si specchiava nel Po, illuminandolo quasi a giorno.
Un vago stordimento mi prese, come un senso di confusione che non mi abbandonò nemmeno una volta tornato nel mio alloggio in caserma, tanto che pensai di averlo sognato quel misterioso incontro. E a un sogno continuai a pensare anche l’indomani, al risveglio da un lungo sonno che non era stato affatto ristoratore, perché inquieto e agitato, assillato da un volto di dama velata che invocava il mio aiuto in preda a un indefinibile pericolo.
Ma quel giorno più le ore passavano e più cresceva dentro di me un’ansia e un’agitazione mai sperimentate prima, che faticai a celare ai miei superiori e ai miei compagni, ma che, magicamente, si dissolse quando a sera ripercorsi il lungofiume con in cuore un’assoluta certezza: l’avrei rivista.
E, infatti, esattamente come la sera prima, confusa fra la nebbia, di colpo mi apparve, si pose al mio fianco e si lasciò accompagnare. Di nuovo non disse nulla di sé, sospesa in vaghi discorsi, ma si lasciò sfuggire un sospiro, che somigliò a un gemito, quando, non so come, si scivolò a discorrere dei rimpianti e delle nostalgie.
Poi, proprio come la sera precedente, di colpo sparì, e con lei la nebbia, per lasciare spazio al chiaro di luna e al mio rinnovato desiderio di rivederla ancora.
Quei nostri incontri durarono diverse sere, infine, così com’era apparsa, più non si palesò, ma io, ormai, ardevo d’amore per lei.
Tornai più volte sul luogo degli incontri, ossessionato dal desiderio di rivederla, fisso nella mia mente il pensiero di lei, dal bisogno di riudire la sua voce dolce, di risentire quel suo ammaliante profumo, ma non la ritrovai più.
Questa mia ossessione mi spinse sull’orlo della follia, fui colto da una febbre violenta che, per giorni e giorni, mi fece delirare, prima sprofondandomi in uno stato di smania e di esaltazione, poi lasciandomi come stordito, infine le cure e la mia forte fibra giovanile mi risanarono. Tornai al mio lavoro e ai miei affetti certi, ma non dimenticai la dama velata, e, una volta guarito, rientrato in me, tornai sul luogo degli incontri.
Come se avessi ricevuto un compito da un superiore, cominciai a perlustrare la zona finché non arrivai alla fine della strada dei nostri incontri dove…strano non averlo mai notato prima… in fondo c’era un cimitero. Ne lessi il nome: “Cimitero di San Lazzaro”. Rimasi un attimo disorientato, ma poi, come in trance, spinsi il cancello ed entrai. Mossi solo qualche passo e subito la mia attenzione fu catturata da una statua a grandezza naturale, imponente, misteriosa, in candido e purissimo marmo bianco, che riproduceva una giovane donna, col volto coperto da un velo che non impediva di lasciar trasparire i meravigliosi lineamenti, affiancata da un medaglione con il suo ritratto sorretto da tre puttini. Sulla base c’erano incisi il nome e la data di nascita e di morte:
Barbara Jakovlevna Tatisjtjeva (1762-1792) moglie del principe Aleksandr Beloselskij-Belozerskij Ad epigrafe erano stati apposti dei versi che così recitavano:
Oh, sentimento! Sentimento!
Dolce vita dell’anima.
Quale cuore non hai mai colpito?
Qual è lo sfortunato mortale a cui non hai offerto
il dolce piacer di versar lacrime?
E qual è l’anima crudele
che, di fronte a questo monumento così semplice e pietoso,
non si raccolga con malinconia
e non perdoni generosamente
i difetti dello sposo che l’ha innalzato?
Il mio cuore sussultò quando, nelle fattezze della statua e nel volto del ritratto, riconobbi la misteriosa dama di cui mi ero così ardentemente invaghito.
Mi sembrava d’impazzire, ma, per non perdermi di nuovo, tenni ben saldo il controllo di me e cominciai a fare delle ricerche. Scoprii, così, che la statua di quella giovane donna era stata voluta dal marito, un ambasciatore russo che era venuto a vivere a Torino insieme alla consorte e alle tre figlie. Devastato dalla morte dell’amatissima moglie – avvenuta fulminea, quando lei aveva solo ventotto anni, dopo poco mesi che erano arrivati in Italia, a causa di una malattia di petto, provocata con tutta probabilità dall’aria malarica che risaliva il fiume – aveva fatto innalzare la statua e aveva composto per lei quei versi.
Tenni per me la mia scoperta, a nessuno mai raccontai, a me stesso incredulo, di aver conosciuto e frequentato per qualche tempo la misteriosa dama velata, ma posso assicurarvi che quanto vi ho confidato è vero, e che, ogni volta che sono ritornato in quel cimitero per riguardare il suo simulacro, mi è parso di udire, dall’interno del suo corpo di marmo, provenire gemiti e sospiri, forse di rimpianto e rabbia per la vita violentemente strappata, come una rosa recisa di colpo da un improvviso colpo di vento.
E non di rado, per anni e anni, ancora mi è parso di vedere, con passo lieve, quasi danzante, il velo sempre a proteggere ma mai a nascondere del tutto il suo volto angelico, la “mia” bella principessa avanzare solitaria e malinconica lungo le sponde del fiume.
(sezione b, accetto il regolamento)
Francesca Santucci
MERAVIGLIA
Quanto cielo fra noi … ma balzerebbe
di meraviglia il cuore
se fra il lento indugiare delle nuvole
al mormorio degli alberi nel vento
dal mare della notte nera
brezza la voce tua
giungesse a rischiarare.
Smemorati di noi riscopriremmo
la promessa d’amore mai raggiunta,
rimasta intatta a brillare come un fiore,
come il candido fiore di montagna
tra le nevi bianche
sul bordo del dirupo.
(sezione A Accetto il regolamento)
Ricordo d’un amore
Ora solare
Sposto dietro d’un anno
Il nostro amor
sezione A accetto il regolamento
SEZ A ccetto il Regolamento
La Chanson della Vita
Metto in ordine I miei pensieri
Mi nutro di parole
mentre vorrei fermare il tempo
e la bellezza della vita
I sogni danzano fieri
con la Chanson dei Cavalieri
sfidando il destino
Con coraggio vivo
nella mia evocale poesia
Come un racconto,un istinto,
una passione veritiera
che scava attenta l’emozioni
La Sicilia
Conosco la Sicilia
solo per la geografia
sono stato a Palermo
ma solo per un cenno
la destinazione era Marsala
ed invece colpa la cabala
la mia nave per il mare mosso
fu costretta a cambiare porto.
Ma la Trinacria bella ed antica
l’ho studiata e fatta amica
dalla Valle dei Templi allo Zingaro
da Segesta a Monte Ciofano
poi Noto Ragusa e Modica
con la sua pregiata cioccolata
che dire di Trapani e Catania
andare in giro è solo armonia
oppure Enna Messina o Palermo
Caltanissetta ed Agrigento
veramente sono tutte eccezionali
da portare nel cuore come opali.
Giuseppe D’ACCHIOLI
-sez A, accetto il regolamento
L’eterno di oggi
Oggi ho preso tutte le mie gioie,
le ho portate con me,
hanno viaggiato accanto a me
e non le ho lasciate andare,
le ho fatte rivivere tra le ombre
della sera scolpendole nell’anima.
Tra di esse c’eri tu,
mi cospargevi d’amore,
mentre io lo sigillavo.
Eri lontano,
ma il nostro sentimento
restava solido ancora.
Quel presente era tutto ciò
che avrebbe contato
in eterno.
Lauricella Giuseppina, accetto il regolamento, sez. A
ll cappotto di giornale
Ho sempre desiderato
quel bel capotto
color cammello
da abbinare
al mio tailleur nuovo.
Quest’anno va di moda
questo colore, tante tonalità
di beige che trasmettono
tanto calore
come lunghe distese di sabbia
che brillano al sole.
Un capotto che in realtà non mi serve,
ma è così bello, fa tanto caldo…
Si ho proprio deciso di acquistarlo.
Piove, oggi dopo tanti mesi, finalmente piove,
piove a dirotto..
Nonostante la pioggia, decido di uscire,
e mentre cammino, mi accorgo del popolo degli invisibili ,
della gente che non ha un tetto,
gente che dorme per strada , che indossa solo un sottile
capotto di giornale…
Mi sono vergognata, non voglio più
il mio amato cappotto
come possiamo essere così
insensibili?
Ci sono
Troppi cappotti di carta
@Teresa, argiolas
sezione B accetto il regolamento
Accetto il regolamento
Sez. A
Ogni cosa
Io voglio indossare la tua camicia
la tua sciarpa
Voglio prendere i tuoi anni i tuoi avi i tuoi figli i nostri figli
ed uscire
Voglio uscire baldanzosa per strada
perché qualcuno si confonda e mi chiami col tuo nome
Io voglio uscire col tuo profumo disarticolato
che partiva dal tuo cuore fino alle nocche delle tue dita
Voglio sversare ovunque il tuo odore
perché resusciti il tuo abbraccio
Io voglio prendere le tue gambe le tue scarpe lo sciame del tuo corpo
Ie transenne delle tue braccia
E ancora
il cappotto le sigarette
ogni cosa ogni cosa ogni cosa
Fino a franare di nuovo nel tuo amore
come una terra instabile
Notevole!! Leggendola mi veniva in mente una canzone della Mannoia in cui si parla di “lacrime di donna, cosmetiche e severe”
DENTRO
Dentro il tuo cuore canta un corpo
di centomila traversine dirompenti
affastellate da membra sopraffine
e dentro ogni inezia una vetrina
con treni in deraglianti amplessi
ogni stazione era una tua carezza
da tramandare a chi saprà aspettare
dentro i tuoi alibi da ufficio postale
dentro la metropoli fatta di colline
per ogni vicolo un petalo a conchiglia
per ogni piazza recintata
una lettera d’amore luccicante
e dentro ancora un angelo
che si arriccia i capelli alle tue spalle
e qualche volta intrepido scompare
dentro poesie della contrada accanto.
sez. A, accetto il regolamento
Quanto odio
nei secoli
ha scritto la storia
su distese di corpi
insozzati di sangue.
Patrie e religioni
i colori della pelle
rabbia e potere
ingiustizie e povertà.
Non di una sola umanità
la vita
su questo puntino di cielo.
Raffaele Di Palma
Accetto il regolamento, sez. A
I VAGABONDI
“ Peppino…Peppino…esisti ancora?”.
Anche questa volta non ho ricevuto risposta, forse egli ha cessato di esistere.
Se ciò fosse avvenuto, significherebbe che sono rimasto solo.
Io non ricordo da quanto tempo esistiamo o chi ci ha generato, non ricordo nemmeno quale fosse la nostra vera forma.
I gas, la polvere ed il ghiaccio si sono depositati su di noi fino a compattarsi pesantemente ed ora Peppino è un blocco di roccia e metallo non diverso dai tanti oggetti vaganti che abbiamo incontrato nel nostro infinito viaggio.
Anche io devo avere, adesso, probabilmente, la stessa forma.
Eppure siamo viventi e senzienti, noi non siamo solo fredda roccia e ferro ghiacciato. Tempo fa, abbiano udito una voce, una trasmissione ad ampio spettro che era degradata a segnale radio per via del lungo viaggio che essa aveva compiuto.
Noi abbiamo ricostruito la composizione di quella trasmissione ed essa conteneva delle immagini e delle sonorità strutturate.
Vi erano, infatti, delle entità, in un luogo illuminato dalla luce di una Stella, la quale si rifletteva sulla atmosfera gassosa di un pianeta.
Queste entità presentavano delle articolazioni superiori prensili e degli arti inferiori di appoggio.
Essi avevano una protuberanza superiore dalla quale emanavano delle sonorità vocali. Sulla stessa escrescenza, questi esseri, possedevano l’appendice di un apparato respiratorio e due organi visivi.
Queste entità avevano dei rivestimenti di tessuto sui loro corpi.
Due di esse presentavano dei rivestimenti molto pesanti mentre una terza entità aveva copertura più leggera.
Questa terza entità, poi, aveva un oggetto posto al di sopra della protuberanza superiore. I tre esseri stavano comunicando, mentre un quarto, non visibile, stava incamerando le immagini e i suoni di questo evento.
Non possiamo sapere cosa essi stessero dicendo, in quanto non ne conosciamo il linguaggio.
Però siamo riusciti a ricostruire due sequenze fonetiche che sono state ripetute più frequentemente: esse sono “ Totò” e “ Peppino”.
Non sappiamo cosa significhino tali emissioni gutturali, però riteniamo che siano gli appellativi propri della loro specie. Per questo motivo, anche noi, abbiamo assunto i medesimi appellativi, così da poter generare una emissione fonetica di riconoscimento, allorquando incontreremo queste entità.
Li stiamo cercando da allora.
Perché forse loro ci potranno dire chi noi siamo e da dove veniamo.
Il pianeta dal quale è partito quel segnale non deve essere lontano, perché il segnale si presentava, ancora, nella gamma della onda radio.
Se esso, invece, fosse giunto da tempi e luoghi più remoti sarebbe degradato in una semplice onda sonora.
Quindi, questi esseri sono qui vicino, da qualche parte.
Li dobbiamo trovare perché essi devono salvarci dal nostro infinito errare.
In questa porzione di Spazio non ci sono molte Stelle, forse è possibile trovarli.
Sto osservando, da tempo, un sistema stellare terziario, con due grandi Stelle ed una nana rossa. Forse essi sono lì.
Vicino a questa formazione Tristellare, poi, c’è una enorme nube gassosa, forse il resto di una antica SuperNova.
Quella nube, che quasi raggiunge il sistema Tristellare, emana una anomala luminosità.
E’ possibile che in essa si sia accesa una nuova Stella, la quale ha riformato dei pianeti e su questi, o alcuni di essi, potrebbero esserci le entità che cerchiamo.
Vorrei che Peppino fosse ancora esistente, così potremmo decidere dove andare, se verso la nube o in direzione del sistema Tristellare.
La scelta è difficile perché, in entrambi i casi, servirà un tempo inimmaginabile per raggiungere uno di questi due luoghi.
Ci deve essere stato un tempo in cui, forse, abbiamo avuto la possibilità di determinare i nostri spostamenti e la nostra direzione, però adesso non siamo più in grado di farlo.
Da allora vaghiamo alla deriva negli infiniti spazi.
Io sento che la mia essenza vitale, qualunque essa sia, si sta, lentamente ed inesorabilmente, consumando.
Forse raggiungeremo uno di questi due luoghi ma, per allora, anche io avrò cessato di esistere e questi esseri che vogliamo incontrare vedranno, solamente, due pezzi di roccia vaganti nel cosmo come tanti altri.
Chissà se la nostra particolare forma allungata, diversa dagli altri corpi rocciosi, desterà qualche sospetto in essi? Chissà se ci fermeranno e riattiveranno le nostre esistenze o se finiremo la nostra corsa infinita nelle fiamme eterne di una qualche Stella?
Comincio a domandarmi, adesso, se Peppino sia realmente esistito, o se non sia solo una mia simulazione…
Forse egli è solo un pezzo di roccia simile a me. Forse il mio eterno vagare mi ha fatto avvicinare ad un oggetto roccioso e mi ha fatto credere che esso fosse senziente come me. Fosse come me.
Così che io non fossi, unico e solo, in questo buio eterno.
Forse, però, Peppino non è mai esistito.
Forse io, Totò, non esisto più.
Forse sono sempre stato, soltanto, un freddo pezzo di pietra e metallo.
Ma allora perchè desidero, così tanto, conservare la mia esistenza?
Se essa non fosse reale, perché bramo tanto spasmodicamente di incontrare altri esseri senzienti?
Perché la solitudine è così orribile? Perché il terrore della eterna solitudine mi sta facendo compiere un gesto tanto terribile…!?!
Perdonami Peppino, ma io non ho altro modo di deviare la mia rotta e raggiungere la mia meta.
Devo scontrarmi con te ed imprimere una spinta verso la nube.
Ma non temere, anche tu virerai, seppur non verso la nube ma verso il Sistema Tristellare.
E’ questo il solo modo che mi permetterà di raggiungere la nube dei Totò e dei Peppino.
Forse entrambi saremo fortunati ed incontreremo altri esseri esistenti o, forse, lo sarai solo tu, in mezzo a quelle tre Stelle; mentre io, invece, in quella nube, non incontrerò nessuno.
Comunque sia, addio Peppino, addio per sempre; che tu sia esistito realmente o che tu sia solo una mia invenzione, grazie, comunque, dell’infinito viaggio compiuto insieme.
Possa il futuro riservarci la fine della nostra solitudine…in qualunque modo…
– Dedicato al passaggio di Oumuamua, avvenuto nel nostro Sistema Solare tra il 2018 ed il 2022 –
Accetto il regolamento. Sezione B
AVANCES
L’Etna e il Vesuvio
si erano messi a gara di gran lena
a fare la corte a Matera,
l’austera città dei sassi.
«Mi piacciono i tuoi buchi tra le rocce,
e le grotte e i tuoi anfratti ombrosi»
le diceva da Napoli il Vesuvio.
«In quella azzurra di Capri se mi sposi
passeremo la notte delle nozze,
con fuori Carosone che ci canta la canzone:
“Che bella pansé che tieni,
che bella pansé che c’hai,
me la dai, me la dai la tua pansé?”
E tutta la nottata sarà una serenata
al suono di chitarra e mandolino»
«Mandalo a caghé quel vulcano spento»
ribatteva l’Etna, irruento e malandrino,
«lo sai da quanto tempo non dà segni di vita?
Da cento anni, che dico?, da mille, se non duemila!
Dormireste in due dalla sera alla mattina.
La grotta azzurra: un piccolo speco!
Io ti porto a Taormina, a toccare con le dita
il ciclope con un occhio solo, e dal teatro greco
tutta la sera, bellezza!, potrai godere e gustare
l’ebbrezza di una eruzione senza tregua,
che ti riempirà ogni più piccolo pertugio»
«Se non ve ne andate entrambi affanculo» disse Matera
«vi prendo a sassate, e a calci nel sedere»
– sez. A, accetto il regolamento
Sto rileggendo con calma tutto… Certo che quella “er*zione” che “riempirà ogni pertugio” è davvero malandrina!
PHÀOS
Felicità,
una rincorsa verso il mare,
verso la foce che fissavi
nel lampo del bronzato ciglio.
Ravviva il tuo canto
come un giardino segreto
dove la voce si fa sinfonia,
abbraccia i tuoi silenzi
come terra incolta
che profumi di frutti,
di nuovi fiori,
dipingi il tuo microcosmo
come l’arcobaleno che da bambino
vedevi spuntare nel cielo,
come un sorriso.
SEZ. A – ACCETTO IL REGOLAMENTO
Rosario Vetrella – sez. A – accetto il regolamento
Mare
Tuffando
m’immergo
d’azzurro
OCCHI DI BIMBI, OCCHI DI GUERRA
Occhi immensi
che sorridevano al suono
di una voce nota
rassicurante e amata,
occhi sgranati
nell’immensità del nulla
dove i piccoli pensieri
non trovavano posto
nell’assurdità della ragione,
c’era una farfalla
variopinta e gaia
che svolazzava dintorno
e dipingeva l’aria
con ali di madreperla,
occhi che inseguivano rapiti
quel soffice posarsi delle pene
e una manina tesa
come ad afferrare un volo
nel senso sconosciuto della vita,
occhi sbarrati
nelle atrocità che d’improvviso
rompono quei giochi,
innocenti e ignari
che percepiscono solo la paura,
un’angoscia incompresa
di solitudine e resa,
un silenzio di madre
sconosciuto e orrendo,
polvere che piove
e grandina macerie
sul pianto disperato e solo,
occhi rimasti illesi
fra tanti per sempre chiusi,
ancora non sai chiederti perché,
non sai capire cos’è
questo rumore di morte
che nessuno mai
saprà spiegarti con coerenza,
mentre intorno a te
cerchi ancora la speranza
in una farfalla che più non c’è.
Maricà (Maria Carmela Dettori) – sez A
Accetto il regolamento
NREMB
(Driiiiiiiiinn!)
Dal citofono:
-Si? chi è?
-Sono Barzum
-Un extra- comunitario?
-In un certo senso, ma più esattamente no, sono un extra-terrestre, signora. Sono di passaggio e vorrei chiederle un’informazione
-Si, ed io sono Madre Teresa di Calcutta
-No, signora, lei non è Madre Teresa, che è pure morta, lei è la sig.ra Pampini.
-Sorprendeeeente, come ha fatto a indovinare?
-Cosa, che lei è la sig.ra Pampini o che Madre Teresa è morta?
-Senta, lasciamo perdere, cosa voleva chiedermi?
-Si, va bene. Volevo chiederle dove posso parcheggiare la mia astronave e se mi offre dell’acqua!
-La sua cosa?
-La mia astronave, la mia nave spaziale…non è così che chiamate le macchine aliene? Se vuole, però, le dico che noi su Cambriaromb le chiamiamo Remb.
-Immagino che lei parli le nostre lingue in virtù di qualche marchingegno tecnologico super progredito?
-No, siamo fatti così nel DNA, è incluso il traduttore automatico. Allora, mi dice dove posso parcheggiare la mia Remb? Si affacci che la vede…io le sto parlando da dentro e da dentro ho suonato il suo campanello, il primo che il sensore ha individuato, ma non a caso.
Al secondo piano una finestra stride mentre si apre…il sensore capta una faccia pietrificata con occhi allucinati-
-Mi crede adesso? Su su, si riprenda ché non la voglio mordere.
-Ah…eh…siiii…nooo… -poi guarda giù- ma… perché nessun altro si stupisce?
-Perché mi vede solo lei, Erica, nessun altro…noi possiamo far si che ci veda solo chi vogliamo, attraverso un sistema di intercettazione dei vostri sensori neurologici. Però…non possiamo scomparire materialmente, quindi, gentilmente, può dirmi dove posso parcheggiare il mio Remb qui nelle vicinanze?-
-Guardi, io non lo so se sto sognando o impazzendo, ma…con tutti i suoi sensori, non se lo capta da solo un parcheggio?
-No, sig.ra -replica paziente Barzum- non posso concentrarli su più di due obiettivi, tutto il resto intorno appare, ma con tutti i disturbi atmosferici che avete generato da secoli, il dintorno non viene individuato con precisione, per ora. Sa, non credevamo che foste così stupidi da rovinarvi l’ambiente che vi dà la vita. Dovrò lavorarci, ma ora mi serve un parcheggio e acqua, soprattutto acqua, molta acqua…quest’atmosfera inquinata mi sta disidratando…che schifo!-
-Ah bè, pure pretenzioso e schizzinoso! E quale sarebbe il secondo obiettivo?-
-La sua casa, e lei! Ora mi aiuta, per favore?-
-Ok ok…viri il suo…volante a destra, a circa 700mt da qui e vedrà un ampio terreno abbandonato.
-Era ora…e nel suo giardino c’è posto per una navicella grande quanto una vostra automobile?
-Si, ma guardi, l’avviso…se ha brutte intenzioni nemmeno si avvicini, sto chiamando la polizia!
-Che diffidenza! Ho solo bisogno d’acqua pulita…poi le spiego tutto!
Erica rimane alla finestra, in attesa. Poi vede una piccola navicella a forma ellittica adagiarsi nel giardino.
(Driiiiiiiin)
-Sono Barzum…mi fa salire?
-Guardi -(titubante)- le ripeto…
-Si si, ho capito, vengo in pace e voglio solo acqua…e magari un po’ d’attenzione.
(Driiin)
La porta timidamente si apre. Erica lo guarda interdetta: un pezzo di figliolo da levare il fiato.
-E lei…lei…sarebbe un alieno?
-Così pare…di che si meraviglia? Mi fa entrare?
-Ma è uguale agli uomini terrestri…direi pure…tra i più belli che abbia mai visto! Entri, entri entri…si accomodi.
-E perché avrei dovuto essere diverso? Posso bere?
Erica aveva già preparato due caraffe di acqua minerale naturale (forse!)
-Tutta per lei…e anche altra, se non basta.
-Grazie, lei deve sapere che l’Universo è pieno di pianeti popolati da altre razze, tutte uguali in tutto e per tutto, tranne che per il colore della pelle, che cambia a seconda del clima, della vegetazione, del cibo e… dei sentimenti! E le garantisco che i colori sono i più disparati. Voi vi chiamate uomini, gli altri popoli semplicemente il corrispondente nella lingua del loro pianeta.
-Il colore cambia a seconda dei sentimenti?
-Si, perché non tutti i pianeti sono stabilizzati in pacifica convivenza, ce ne sono in completa pace e ce ne sono che si combattono tra loro, esattamente come fate voi, da emeriti stupidi! Ma la pelle dei piccoli, i bambini come dite voi, qualunque sia il colore del clima in cui crescono, è sempre luminosa, si offusca a poco a poco per le responsabilità e preoccupazioni, ma se la loro anima è buona non perdono mai del tutto la loro luce.
-Si, lo so, ma non prendertela con me. Ma tu, Barzum -passando d’istinto al tu- come mai sei qui? E perché non luccichi nemmeno un po’? Sei cattivo?
-No, è colpa vostra…per entrambe le cose.
-Nostra?
-Si, io stavo tranquillamente gironzolando intorno a Cambriaromb quando una tempesta magnetica anomala mi ha tolto il controllo e trascinato qui. State facendo gravi danni al vostro pianeta, con guerre, esperimenti, rifiuti tossici.. incoscienti e stupidi, quando non malvagi! Il sensore ti ha individuata ed eccomi qua! Incastrato, e non luccico perché qui l’aria è scura e offusca anche l’anima.
-Non sono mica sicura che tu sia un extra-terrestre…però le tue macchine…e le vedo solo io! Sarò pazza?
-No, non lo sei. E ora devo andare. Grazie, Erica, un giorno forse potrà esserci qualche incontro tra popoli diversi programmato in pace. Ma ora devo rientrare, ti chiedo solo due o tre bottiglie d’acqua, sino ad uscire dalla vostra tossica atmosfera. Ti lascerò in dono il mio Nremb parcheggiato là fuori, la mia navicella…tanto puoi vederla solo tu…custodiscila bene!
-Ma…cosa posso farne? Non posso nemmeno usarla!
-Per ora no, limitati a tenerla, non si deteriorerà, nonostante voi. Un giorno forse tu, o i tuoi figli o nipoti, potranno usarla.
-Ma con quale carburante?
-Ne avete in abbondanza, solo che dovrete depurarlo per benino, così com’è oggi non funzionerà!
-E cos’è?
-L’Amore. E tu sei stata captata dai sensori solo perché dentro di te ne hai una buona scorta, buona, ma non sufficiente per alimentare il Nremb.
Nel salotto illuminato da un sole che filtra dalle tende ricamate, Erica è scossa da una mano che le carezza il volto, e da un bacio.
-Buongiorno, amore, ti eri appisolata?
La voce di Andrea le suona come un flauto nel bosco.
-Credo di si, amore, e pensa…ho fatto un buffo sogno su un alieno
-Quale, forse quello che in giardino ha lasciato un tappeto di belle margherite con in mezzo una fontana a forma di navicella spaziale e delle magnifiche ninfee? Come sei riuscita a fare tutto in questi due giorni che mancavo?
Erica non risponde, si affaccia al giardino ed è tutto vero, e la Nremb spicca fiera in mezzo alle margherite. Solo lei può vederla e…il bimbo nel suo grembo. Non era un sogno. Alza gli occhi al cielo, e le sembra più limpido. Sorride.
Maricà (Maria Carmela Dettori). sez B
Accetto il regolamento
AMARO DI TERRA
T’apri all’argentea luna,
terra pietrificata dal dolore.
Giaci sul misero giaciglio
d’un tempo dato via.
T’accori al crocchiare astioso
dei gusci d’anime perse.
Ferita da un’oscurità dilagante,
implori la clemenza del cielo.
Sezione A
Accetto il regolamento
Sandra Ludovici
Sogno siciliano
Amore passato, promessa futura,
promessa azzardata un giorno d’estate…
Tu padre, tu madre della tua stessa madre.
Conservo nel cuore quel sogno che fu,
mi resta il tuo amore, ma non sei più tu.
Ripenso e rivedo quel rosso screziato tramonto
che insiste, tacendo, lontano sul blu…
Sezione A
Accetto il Regolamento
Silvia Vercesi
La luna e il suo mistero
Rimane vigile un’ultima parola
mentre accanto sospira il vento,
raccolgo i cocci dei miei giorni
ed accarezzo lenta i miei pensieri.
Si avvolgono le onde una ad una
e rimane solo un urlo morbido
e silente, solitudine al tramonto,
voce soffusa nel silenzio dei colori
al calare delle ombre. Rumori.
Mi chiedevi dei fruscii, singhiozzi
di mare verso sera. Ricordi?
Sembra ieri: sfioravi la mia anima
col soffice tocco fragile di vita.
Ora solo suoni, distanti e perduti
e mi ritrovo in questa cuna del tempo
ad attendere invano l’infrangersi
del mare sulla riva, moto infinito.
Attendo la luna e il suo mistero.
Lucia Lo Bianco, Sezione A, Accetto il regolamento
DI CHE COLORE SIA LA VITA
Non so di che colore sia la vita
so che ha il colore bianco della luna
che sorveglia la veglia di una mamma,
ha il colore del coraggio di un uomo
che lotta per il suo futuro.
Ha il colore della terra bruna
che accoglie Noi, figli di un’era
distratta nei sentimenti,
distrutta da gesti avari di amore,
ha il colore del pianto di un pianeta
che lentamente muore.
Non so di che colore sia la vita,
so che ha il colore della dolcezza
di un bambino e del suo sorriso
di tenerezza intriso.
Tania Scavolini sezione A/ accetto il regolamento
Partecipo sez. (a) – Accetto il regolamento
” In cerca di un fiore
schiudo a un’ape
l’uscio che varca
l’estate trascorsa
sul retro s’incarna
il sentiero, ma piove
sull’ali che incontra “
Halloween
Dolcetto o scherzetto.
La voce dei bambini che sorridono mentre suonano i campanelli delle case.
Sono vestiti da scheletri, streghe, fantasmi
e tanti costumi per una notte da paura.
I loro sacchetti da halloween sono vuoti.
Basta una piccola magia per riempirli di dolci e caramelle.
La luce della luna è il loro cammino verso queste case che sanno riempire questi bambini d’amore vero.
Quella magia li renderà felici.
Quel giorno magico è pieno d’affetto.
L’autunno li accompagna con nuovi colori.
Riempirà le strade di tappeti di foglie.
Ci sarà chi porterà una zucca luminosa per riscaldare questi sentimenti.
– sez. A, accetto il regolamento
Disillusa è la speranza
Abbiamo perso tutto
abbiamo perso tutti.
Chissà se potremo di nuovo
vedere oltre
oltre la nebbia interiore.,
oltre l’indifferenza l’uno dell’altro.
Chissà se sopra alveari
di case abbattute
la disperazione vive
nel recluso silenzio.
Nelle paludi l’anima aleggia
tra feritoie di luce e fango.
Giuseppina Carta
Sezione A accetto il regolamento
Eternità’
Vita che nasce,cresce,muore
e rinasce poi in forme nuove.
Percepisco la sua presenza
in un raggio di sole,
nell’onda del mare,
in un soffio di vento,
nei colori di un arcobaleno,
nella bellezza di un fiore
che profuma ogni giorno del suo amore.
Sez a – accetto il regolamento
“L’Io puro oppone nell’Io ad un io divisibile un non-io divisibile.” (GOTTLIEB FICHTE)
Ero solo un pezzo di “Io puro”
mentre cercavo tra le cose
qualcosa che mi somigliasse.
Conchiglie, fiori, farfalle,
mi sembravano esagerate,
con quel loro contegno incessante
di emozioni e dramma.
Solo con le lucertole riuscivo a ritrovarmi in qualcosa,
anche se sentivo l’inferiorità di non riuscire
tra i muri, ad arrampicarmi.
Prendere il sole sulla spiaggia invece, l’adoravo,
tempo ne avevo del resto, in quelle giornate
inoperose, dove comprendevo sui volti femminili
un tepore più grande.
Allora non supponevo che il disordine regnasse,
e che oltre quegli sguardi promettenti
a cui mi consegnavo,
c’era un mondo fenomenico dove
– il nero dei cani neri-
era soltanto menzogna.
Anche Dio giocava ai dati in quell’abisso,
in quella superficie compatta,
dove affrontavo l’eternità,
o la mancanza di essa ogni giorno.
Inaspettatamente comparisti tu
a distinguere e a riordinare
-con mano- le cose.
L’insieme di tutto ciò che è degno.
Tutto radunasti in un noi vissuto all’unisono:
foglie, alberi, germogli,
ed io che non seppi darti neppure un bacio.
sez. a, accetto il regolamento
Buon Natale
Per la notte di Natale non voleva tornare a casa, voleva restare da sola come era stata lasciata.
“Sei bellissima, però non riesco più a capirti”.
Questo era stato l’addio.
Non gli aveva fatto dire nessuna altra parola, anche se lui aveva provato a dirne altre… lei lo fermò.
“Basta così, ho capito… ora però devo andare, sai è Natale e a casa mi aspettano. …”
A casa l’aspettavano, ma lei tardò… le decisioni più sagge si prendono con il giorno… così allungò verso il centro illuminato, con la speranza di distrarre il suo rammarico per quel ragazzo che
aveva amato tanto, senza ragione.
La pressione del sangue premeva con forza sulle pareti delle arterie cercando una via d’uscita, un sollievo che gli calmasse un po’ quel dolore insopportabile che le premeva il cuore.
Un etiope le si avvicinò cercando di venderle un accendino colorato di Natale, lei non voleva ma poi lo comprò, pensando che forse l’avrebbe potuto regalare a suo padre.
Suo padre, già suo padre, chissà ora cosa gli avrebbe detto.
L’aveva sempre messa in guardia da quel ragazzo.
Il suo orgoglio era stato ferito e ora non avrebbe sopportato il suo rimprovero.
Che sarebbe successo quando tornata a casa avrebbe raccontato tutto? Devi prenderti le responsabilità di ciò che hai fatto e guardare la notte e le tenebre con la tua luce più spietata… solo così puoi prendere la decisione più giusta.
Già la decisione più giusta… ma quale è la decisione più giusta, quando hai 17 anni… e devi decidere se far nascere un figlio… ma forse anche no?
La tempesta più immediata comunque ora era il padre, poi con la madre sarebbe tornata la calma. Già il padre… come glielo avrebbe detto al padre? Non avrebbe voluto dirglielo di fretta, ma lentamente, con le lacrime agli occhi… ora capiva suo padre… e voleva a tutti i costi che anche lui la comprendesse.
Uscire e guarire insieme da questo dolore lentamente… giorno dopo giorno, mese dopo mese, fino a rendersi conto insieme… di non soffrire più.
Si era fatto tardi, i negozi erano tutti ormai chiusi, gli ultimi ritardatari uscivano dai bar, anche lei ora doveva rientrare.
La finestra della cucina era buia, lei suonò ma il portone era aperto, salì le scale ed entrò, sua madre era nel salone che incartava l’ultimo regalo.
“Dove sei stata? Tuo padre ti è andato a cercare in paese” lei scoppiò a piangere mentre cercava di abbracciarla forte.
“Che hai fatto?”
Costava raccontargli tutto, ma non poteva più nascondersi, ora poteva gridare.
Pianse e si asciugò le lacrime mentre la madre l’ascoltava… ma solo quando vide lo sguardo di suo padre, che aveva sentito tutto, cessò il suo dolore.
Buon Natale papà.
Buon Natale Anna.
Poi corse ad abbracciarlo con tutta la disperazione e la speranza di una preoccupazione che da soli… non si può tenere.
Dai Anna, non piangere… tanto non scatteremo foto in questo Natale.
sez. b, accetto il regolamento
SEZ. B – Accetto il Regolamento – Laura Vargiu
LA PARTENZA
(A Tommaso, un soldato di ieri che mi ha donato la sua storia)
Questa mattina, per la prima volta, ci fanno uscire dal campo.
Succede all’improvviso, senza che nessuno ce lo abbia preannunciato.
Che gli americani siano di poche parole, del resto, l’abbiamo imparato fin dal primo momento. Forse non tutti lo sono, ma di certo quelli che ci hanno catturati non amano perdersi in lunghi discorsi, soprattutto quando si rivolgono a noi. Al loro posto, spesso e volentieri, lasciano parlare le armi che ognuno di loro maneggia con la maestria del perfetto tiratore: una pallottola a pochi centimetri dalla punta delle scarpe o appena sopra la testa, lo assicuro, risulta più eloquente di un sì o un no e di qualsiasi ordine espresso a parole.
Stavolta non è stato però necessario che sparassero manco un colpo per farci intendere che da qui dobbiamo andar via. Non per recarci dove noi vorremmo, naturalmente; la libertà, pur allo spalancarsi dei cancelli, è un’idea che nella nostra mente di prigionieri si rassegna ormai come un uccello in gabbia, malgrado il recente annuncio via radio che per un attimo ci ha illusi facendoci esultare di gioia. Tuttavia, trasferirci altrove è sempre meglio che restare a marcire in questo campo, appartenuto fino a poco tempo fa ai tedeschi ormai in ritirata, dove siamo stati ammassati dai nuovi venuti che, a detta di qualcuno, avremmo dovuto fermare addirittura sul bagnasciuga. In verità, molti di noi, vinti ancor prima dalla lunga agonia di una guerra che appare già persa, si sono arresi senza combattere. Me compreso, che pure avevo scelto di essere un soldato. In fin dei conti, quale utilità avrebbe avuto il nostro sacrificio se ormai tutto è perduto? Avremmo forse dovuto continuare a credere, obbedire e combattere in nome degli interessi di quei pochi che non sono nemmeno mai stati qui o su altri miserevoli fronti a penare accanto a noi e che da tali assurdi teatri si tengono anzi ben a distanza?
Ed eccoci qua, circa duecento uomini in marcia, senza più casa né onore, con indosso soltanto la nostra impolverata divisa e le menzogne altrui, come una mandria disorientata al seguito di pochi militari che nemmeno ci puntano le armi, tanto sono certi che non fuggiremo da nessuna parte. Andiamo verso sud, presumibilmente in direzione della costa.
Alle nostre spalle, la città di Agrigento ci lancia il suo muto addio, mentre davanti a noi s’apre questo tratto di terra siciliana tanto amata che prende a scorrere a poco a poco con i suoi colori e profumi dell’estate. Inutile voltarsi indietro in un momento come questo; solo il cuore, nel proprio guazzabuglio di pensieri ed emozioni, ci riesce. Si pensa a tutto e a niente, lasciandosi sospingere dall’onda del destino. Sono viaggi strani, quasi irreali, quelli che la guerra impone: nel nostro caso, non ci si deve nemmeno preoccupare dei bagagli al seguito, che infatti non abbiamo, né degli alloggi in cui sostare, che forse non avremo.
Si marcia lungo un vecchio binario ferroviario che, a un tratto, attraversa una galleria per almeno un centinaio di metri. È qui che i nostri ufficiali, spezzando il silenzio che accompagna i nostri passi, iniziano a intonare il “Va’, pensiero” di Verdi. In un crescendo di viva commozione, le nostre voci si uniscono all’unisono in un coro che coloro che ci scortano ascoltano con rispetto.
“Oh mia patria sì bella e perduta!
Oh membranza sì cara e fatal!”
Che fine faremo noi tutti? Che fine farà il nostro sciagurato Paese? Sembra che ci interroghi il nostro stesso mesto cantare.
Senza aver nel frattempo trovato le risposte, giungiamo a un arenile che si estende per chilometri e sulla cui morbida sabbia dorata affondano le nostre orme stanche e affamate. Al sole di mezzogiorno sonnecchiano pigramente alcuni robusti barconi, all’apparenza adatti al trasporto di derrate alimentari e rifornimenti di vario genere destinati alle truppe; ma anche a quello di non meno ingombranti carichi umani da deportare oltremare.
Qualcuno ci ha già preceduti, molti altri ci seguiranno.
Il mese di luglio volge al termine, al pari della nostra stagione di soldati. Io ho ventiquattro anni e mi accingo a partire, mio malgrado, per il viaggio più lungo e difficile della mia vita, nonostante il mare appena increspato dal vento e le non troppe ore che richiederà la traversata.
Oltre l’azzurro orizzonte d’acqua ci attendono l’Africa e l’incognita della nostra sorte.
Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1943 gli Alleati sbarcarono in Sicilia.
Fu un evento che, per il massiccio dispiegamento di uomini e mezzi, segnò il corso della seconda guerra mondiale che, tuttavia, in Europa si sarebbe conclusa poco meno di due anni dopo. Demoralizzati e mal equipaggiati, migliaia di soldati delle divisioni italiane presenti sull’isola non poterono fare altro che arrendersi agli anglo-americani, dai quali vennero poi trasferiti nei campi di prigionia allestiti in Africa settentrionale; da quei luoghi, dove non sempre si garantivano condizioni di vita dignitose, non avrebbero potuto far ritorno in patria se non tempo dopo la fine del conflitto.
Laura Vargiu
SEZ. A – Accetto il Regolamento – Laura Vargiu
MILLE VOLTE ANCORA FAREMO RITORNO
(Al mio amico poeta Tommaso Mondelli (1919 – 2020) che rivive nel ciclo eterno della Vita)
Come foglia ti sentii
abbandonare d’improvviso il ramo
nell’ora amara d’un ultimo volteggio.
Una stagione di parole finiva
ma di cenere viva fecondasti le zolle.
Sarai nuova terra, filo d’erba
e intimo germoglio
cui lacrima solitaria di rugiada
sospirerà ancora nel sogno.
Sarai linfa e nutrimento
e tempo che torna al tempo
nel vorticare rinnovato della vita
dove s’accende color di rododendro
con sempre innocente meraviglia.
Sarai respiro di montagna
e dell’aquila che alta veleggia
il guizzo fulmineo fra le ciglia.
Presto della quercia
benedirai radici e ombra
e il rifugio d’ogni fronda
nell’incavo amorevole del cielo
allorché l’eco del silenzio
annuncerà alla fine del sentiero
altro inizio, altra primavera.
E sarai il vento inatteso
che dolce discende la sera
a scompigliarmi capelli e pensieri
donando una carezza alla mia pena,
sussurrando al tremito del cuore
che seppur perisca il giorno
sotto novella e più tenace forma
mille volte ancora faremo ritorno.
Laura Vargiu
SEZ. A – Accetto il Regolamento – Lucio Felice
RICORDO DI GALATI MAMERTINO
Padre, bisogna tornare dove la neve
risplende su rocce, alberi e chiese.
Bimbo chiedevo alle lepri del nascere
dei funghi, delle nocciole e lesto mi
lasciavo dondolare dai rami dei pini
tuffandomi con valigie piene di sogni.
Padre rivivo i Nebrodi, sacro altare
verde teso al cielo. Dai tornanti, agli
occhi, i borghi meravigliosi presepi.
Antiche torri, campanili, castelli come
solerti mani materne a sbrogliare fili
ispidi di lenze, a riordinare stanze,
a dissolvere le distanze da un io a
un altro riappacificando la memoria.
Svegli alle melodie dei ruscelli, l’acqua
nello scorrere, suggeriva, saggia azione
il coltivare la storia in fecondi innesti
col presente, alleviando l’emigrazione.
Padre, torno spesso ai tuoi amati comuni.
Le strade strette immutate come il pane
profuma ancora per giorni.
E sorseggio – inebriandomi di dolcezza –
il caffè dei tuoi racconti.
Lucio Felice
Stupenda! E il tuo paese è bellissimo!
SEZ. B – Accetto il Regolamento – Lucio Felice
UNA FETTA DI TORTA
A 40 anni suonati, l’avvocato Cario i fine settimana, lasciava gli anziani genitori, per raggiungere l’abbazia benedettina ai piedi dell’Etna per rigenerarsi dagli ultimi anni burrascosi.
Era giunto ad un passo dal suicidio. Aveva visto la morte per le pene d’amore.
All’inizio era stato felicissimo anche se, talora, si sentiva come risucchiato in una “materia arcana” che lo superava, manovrava e limitava. Della sua, “ la mia più importante storia d’amore” vi parlerò.
L’avvocato era stato conquistato da Sa. Così la chiamava in un modo tutto personale.
Il suo amore era nato in modo strano. Una scintilla era scattata all’inaugurazione di una mostra d’arte, dove aveva preso la parola una procace critica d’arte. Lui era rimasto affascinato dal suo discorrere.
Fu un onore conoscerla grazie a un suo amico, amico di un artista che stava esponendo, particolarmente elogiato per la sua tecnica innovativa, per le pennellate di raffinata lucentezza, per i giochi di colori che conducevano a vortici onirici.
L’avvocato, come la critica finì l’intervento, si alzò di per parlarle.
Come la raggiunse schiarendo la voce e porgendole la mano si presentò: “ Molto onorato di far la sua conoscenza. Lei è una studiosa speciale. Dalle sue parole scommetto che è stata ed è tutt’ora un’artista geniale”, la critica con un sorriso: “ Grazie. Ha indovinato. Complimenti!”.
E l’avvocato: “Sa, ho un certo intuito. Amo l’arte e l’arte mi ricambia”.
“Davvero una vita speciale” di rimando la critica.
A quel punto, per i misteri della vita, s’avvicinò l’amico comune e disse: “ Cara dottoressa, Le presento uno dei miei migliori amici: l’avvocato Tommaso Cario, un uomo all’antica, con sani principi. Vive ancora coi suoi e con tre gatti e un cane in una villa in campagna, vicino la Timpa acese”.
E la critica lisciandosi i lunghi capelli corvini: “Piacere conoscerla. Se avrò bisogno di una
consulenza legale potrò disturbarla?”
L’avvocato con gli occhi che brillavano: “ A disposizione. Vedrò come aiutarla al meglio”.
E di rimando la donna: “ sa, immagino lei, nel suo studio, tanto impegnato e io necessito di una certa cura ed attenzioni”.
E l’uomo: “ Sono paziente. I casi li studio per bene, dovessi ridurmi a dormire soltanto due o tre ore la notte. Amo il mio lavoro e specie dove vedo dei torti, ingiustizie, interessi legittimi lesi, sono pronto e disposto a dare il massimo”.
Intanto la donna aveva spostato il suo sguardo ammaliante sulla tasca superiore dell’elegante giacca blu di Tommaso come a voler indicare qualcosa.
L’avvocato intuì il messaggio e con un tocco elegante dal taschino interiore della giacca prese una scatolina dorata e porse con leggiadria alla critica il suo biglietto da visita e sussurrò: “ Ecco i miei contatti. Ora ha tutto.”.
La serata prosegui con un sontuoso rinfresco e note musicali.
L’avvocato, con sua gioia, era rimasto nel gruppetto dei fortunati che seguivano la critica commentare questo e quell’altro quadro con dovizia di particolari ed interpretazioni perspicaci. Il suo era un incantare l’ascoltatore con voce melodiosa e parole erudite di una sapienza quasi sovrumana.
Per Tommaso fu una serata a dir poco speciale e l’aver fatto la conoscenza di quella maliarda gli aveva scosso certe corde profonde. Ecco che immaginando questa o quella situazione ebbe un’idea che gli sembro un’ottima carta da giocare e così avvicinandosi alla critica le disse: “ Potrei farle una confidenza in un certo senso artistica?” e l’artista fissandolo con dei magnifici occhi magnetici: “ eccomi tutta sua”.
Tommaso avvicinandosi alle sue orecchie sussurro: “ sa, a casa ho delle tele antiche dei miei bisnonni e degli amici tante volte mi han consigliato di farle valutare da un critico d’arte”
la critica bloccando la frase illuminandosi “ ed è finalmente giunto il momento. Sei contento?!, però devi avere un po’ di pazienza”.
In quell’istante ecco entrare un giovane elegante che si avvicino alla critica dicendo: “ Dottoressa eccomi qua. Sono le 23. Eccomi pronto per riaccompagnarla quando desidera”.
Passarono pochi minuti e la critica salutando tutti andò col suo accompagnatore. E girandosi verso Tommaso: “ Troverò un ritaglio per “valutare” i tuoi quadri e non solo. Ciao.”.
Erano trascorsi 10 giorni ma nessun messaggio o chiamata dalla critica. Tommaso avrebbe già desiderato un cenno ma s’impose di non chiamare per non essere invadente.
Finalmente la mattina della quarta settimana ricevette un messaggio:
<>.
Ora il suo cuore era felice e rispose con un messaggio carino.
Alla mostra Anna era ancora più bella, sembrava una trentenne.
Tommaso aveva il cuore a mille per esserle stato sempre vicino. Con tremore e trepidazione fu colto dalla richiesta di Anna: “ Sai potrei chiederti una cortesia?”
“Dimmi pure” ed Anna “ Sai lo chauffeur ha avuto un incidente, potresti accompagnarmi tu a casa? Te ne sarei grata.”.
Tommaso cercando di nascondere la gioia e l’imbarazzo per la spontaneità disarmante di Anna: “ Mi spiace per l’autista e spero niente di grave. Ti accompagnerò volentieri”.
Giunti a destinazione Anna sussurra: “ per sdebitarmi t’invito a salire da me per offrirti una più che meritata fetta di torta alle mele preparata da me”.
Lui come ipnotizzato la seguì senza fiatare. Entrando nella sua casa arredata stranamente, con oggetti particolari e piena di tele si sentì come risucchiato in una vita precedente.
Seduto di fronte ad Anna mangiava a piccoli morsi la torta e l’ascoltava parlare dei temi più vari fin quando giunse a parlare di reincarnazione.
In quell’istante Tommaso letteralmente trasalì e s’alzò la pressione, accelerarono i battiti. Di colpo dopo una trentina di secondi rimasto immobile si alzò, si mise dietro Anna e con le dita iniziò delicatamente a massaggiarle il collo.
“ma che fai Tommaso, smettila per favore!, io ti parlo di reincarnazione e tu che fai?!”
il poveretto sentendosi rimproverato si bloccò ed iniziò a piagnucolare, al che Anna alzandosi e stringendogli la mano sinistra esclama: “ ed ora che fai?! Orsù chi sei?! Sei un bambinone?! Io non ti stavo rimproverando. Se vuoi continua a massaggiarmi ma in modo più completo”.
E tenendolo sempre per mano lo condusse in camera da letto, lei togliendosi tutti i vestiti, rimanendo completamente nuda si distese tra le candide lenzuola e come una sirena cantò: “ e ora fammi sentire il tocco delle tue mani dove e come vuoi.”.
Dinanzi alla pelle morbida ed eburnea e alle rotondità Tommaso ebbe un piccolo eccitamento ma seppe controllarlo. Così iniziò a massaggiarla in un’altalena di dolci ed energici massaggi.
Anna: “ Ma sei davvero bravo. Mi suoni come un’arpa e in me nascono armonie che…” e voltandosi ad un tratto mostrando dei seni turgidi disse: “ ma sei sicuro di volerti fermare qui?!”.
E lui dopo alcuni secondi: “ ebbene si possiamo finire”.
Anna sghignazzando: “ma certo che sei un tipo speciale!”
Il poveretto con le mani incrociate l’ascoltava ed Anna alzatesi e fissandolo negli occhi senza una parola avvinghiandosi eccola a slacciare i pantaloni.
A un certo punto si fermò per dare un bacio passionale con le sue labbra carnose. Poi lo buttò nel letto e giù pure lei.
Fecero l’amore per ore ed ore. Era come una sorta di ritorno a casa, i suoi abbracci erano come conosciuti, i suoi baci tenevano il sapore dell’acqua che tante volte lo aveva lavato e dissetato.
I primi mesi furono un idillio ma poi col trascorrere delle settimane tutto diventava più complicato poiché Anna era sempre più fuori per: mostre, convegni, conferenze, esposizioni; a seguire i suoi artisti e tanto altro ancora. Si vedevano soltanto nei weekend.
Tommaso era follemente innamorato di Anna ma questa di lui sempre meno.
Trascorrono i mesi ed Anna neppure rispondeva sempre alle sue chiamate e messaggi ed email. Si vedevano persino una volta al mese ed Anna era senza di fretta e fredda e come assente, lì ad incontrarlo come se facesse chissà quale favore o per espiare chissà quale colpe.
Tanti erano gli ostacoli ed impedimenti.
Ma forse semplicemente Tommaso non si avvedeva di come non interessava più ad Anna mentre lui ne era come stregato, legato a un sortilegio dal quale perdeva concentrazione, forza, lavoro, clienti, amici e si ritrovava sempre più solo e disperato.
E dire che tutto era iniziato dal suo salire per assaggiare una fetta di torta.
Lucio Felice
Speranza
Come una leggera brezza
che soffia a sera
in riva al mare
è la speranza,
una voce lieve e soave
che riscalda il cuore
con le sue amabili parole.
È un sussulto dell’anima
che sfiora il rubino della vita
e, accarezzando le sue pareti,
getta l’ancora
per attraccare ad un porto sicuro.
Ella, la speranza, è come un faro
che ci orienta verso l’infinito domani,
ci indica la rotta da seguire
e, come la mano di una mamma
che tiene quella del suo bimbo
per la via,
così è l’amata speme,
un sostegno che ci accompagna
lungo il cammino della vita.
La speranza è luce che accende il cuore.
Fiorella Fiorenzoni
sez. A, accetto il regolamento
— CONTEST SCADUTO —
I finalisti saranno avvertiti via e-mail.
Ringraziamo per la partecipazione e per la lettura di tutte le opere in gara.
FINALISTI CONTEST:
Sez. A
Luciano Tarasco con “Dentro”
Silvia Vercesi con “Sogno siciliano”
Angelo Napolitano con “Guardami amore”
Lucilla Vezzi con “E piove sangue”
Luana Farina Martinelli con “Alos”
Donatella Ronchi con “Mentre”
Bruno Centomo con “Insufficienti e mortali siamo”
Sez. B
Piero Pullini con “Anemone com Amur”
Laura Vargiu con “La partenza”
Francesca Santucci con “La dama velata”
Giovanna Li Volti Guzzardi con “La parata dei pinguini”
Luisella Grondona con “Sei tornata, finalmente”
Marco Leonardi con “Parole pericolose”
Alessio Romanini con “Lo stesso mare”
Buongiorno. Non ho molte parole per esprimere la sorpresa e la gioia di questo risultato insperato. Quelle parole che tanto abbondano nei miei scritti senza speranza. Posso solo ringraziare coloro che mi hanno incluso nei finalisti: è pur sempre un meraviglioso traguardo.
Grazie di cuore.
Lucilla è magnifico sentire la tua gioia :) Ci gratifica tanto!
Grazie davvero, anche se a mio parere due o tre racconti non votati meritavano di più del mio… Che dire? Sono contento che la giuria l’abbia pensata diversamente!!
È sempre soggettivo. Tanti meritano.
Lietissima di esserci: grazie infinite!
Complimenti Francesca!
Grazie mille, non me lo aspettavo. Felicissima di essere tra i finalisti.
Congratulazioni
Ringrazio la giuria e tutti voi che siete il cuore di questo sito culturale meraviglioso
per aver gradito la mia opera! Un risultato splendido che mi incoraggia a scrivere.
Grazie di cuore.
Complimenti a tutti i finalisti e ai numerevoli partecipanti.
Grazie!
Alessio congratulazioni e buona scrittura (ma anche lettura…)
Grazie di cuore!
Si, in realtà scrivo molto ….ma leggo anche tanto.
Un abbraccio.
L’augurio rivolto a te nel commento è per tutti coloro che scrivono. Oggi in molti preferiscono “scrivere” e non si interessano di libri altrui o di recensioni, mentre ciò che procura linfa sempre nuova alla scrittura è proprio confrontarsi con gli altri scrittori o recensori.
Verissimo! Concordo.
Leggere classici e moderne scritture aiuta a scrivere meglio.
Grazie di tutto
Una bbraccio